giovedì , Aprile 18 2024

Aree interne, laboratorio di un nuovo modello di sviluppo

Dentro il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) non c’è un richiamo esplicito alla questione dello spopolamento dei comuni delle aree interne. Negli ultimi 50 anni 300 piccoli comuni hanno perso più della metà della loro popolazione e 2000 comuni hanno visto diminuire la loro popolazione del 20 per cento. Se non si inverte questa tendenza allo spopolamento dei comuni delle aree interne, nel 2050 il 70 per cento della popolazione si concentrerà nelle grandi aree urbane.

Non c’è nel Pnrr una politica complessiva, un’idea di come affrontare quest’emergenza. Ci sono tante altre cose utili che bisogna andare a cercare per declinarle sulle aree interne in via di spopolamento e in deficit di sviluppo. Come dire che le ricette nel Pnrr non ci sono, però ci sono gli ingredienti che bisogna saper dosare. Non è un compito facile al quale non possono sottrarsi istituzioni e comunità locali delle aree interne. E l’approccio al Pnrr dei sindaci non può essere quello di chi pensa di prendersene una parte e farne una cosa carina per il proprio comune. I comuni devono lavorare insieme. Devono saper costruire coalizioni progettuali da cui nasceranno nuove geografie amministrative. Nell’assolvere questo compito istituzioni e comunità locali devono elaborare una visione e un progetto politico di ampio respiro che guardino oltre i confini municipali partendo da un dato: uno degli obiettivi del Pnrr è il superamento degli squilibri territoriali, che sono quelli tra Nord e Sud, tra montagne e pianure, tra aree interne e aree urbane. Questi squilibri territoriali sono il risultato di un modello di sviluppo che ha privilegiato grandi aree urbane, ponendole al centro, a danno delle aree interne rurali, che le ha marginalizzate. Nel cambiare questo modello di sviluppo le aree interne sono un laboratorio per il futuro dell’intero paese e devono svolgere un ruolo straordinario da protagoniste. Per fare questo, istituzioni e comunità locali devono lasciar perdere alcune cose. Per prima cosa devono abbandonare la rappresentazione di paese presepio dei loro paesi. Non possono più pensare di ridurre i loro paesi ai balconi con i gerani fioriti e pensare che la questione si risolva solo con il recupero di bei palazzi e di castelli rimessi a posto. Non è solo una questione di rigenerazione urbana. E’ anche, e soprattutto, una questione di rigenerazione sociale per la quale occorre individuare i soggetti innovatori che la animano. Si tratta in particolar modi di recuperare il senso del borgo come modello di vita, di una concezione di comunità. Devono uscire anche da un equivoco di fondo che li ha indotti a pensare che la questione dei borghi della aree interne si risolva portandoci i turisti. Il turismo è un elemento che può aiutare, ma non è quello risolutivo. E’ necessario mantenere una connotazione manifatturiera dell’economia locale. A riabitare i borghi delle aree interne devono essere le giovani coppie alle quali bisogna procurare il lavoro. A pensarla così ci sono anche Fiorello Primi, presidente dell’Associazione “I Borghi più belli d’Italia”, Lino Gentile, delegato dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) per le aree interne e sindaco di Castel del Giudice (Is), e Massimo Castelli, coordinatore nazionale dei piccoli comuni Anci e sindaco di Cerignale (Pc). Se lo dicono loro, c’è da crederci.
Silvano Privitera

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