Origine e fondamento della famiglia umana
Caratteristiche socio-antropologiche
Nell’esperienza primordiale Dio-Trinità, Padre, Figlio e Spirito, tre Persone, una sola Divinità, vive una comunione perfetta e indissolubile d’amore e ‘inaugura la prima comunità – famiglia’.
Ogni sviluppo umano e creativo dovrà partire da questa corrispondenza tra trascendenza e storicità socio-comunicativa-affettiva divina: «Io sarò per lui un padre, egli sarà per me un figlio» (Eb 1,5), afferma l’autore della lettera agli Ebrei, parlando dell’Incarnazione di Gesù. E più sotto: «Tutti hanno un unico Padre: sia Gesù che purifica gli uomini dai peccati, sia gli uomini che da lui vengono purificati. Per questo Gesù non si vergogna di chiamarli fratelli» (ib. 11). Se, dunque, c’è questa paternità divina, tutti gli uomini sono fratelli e tutti i fratelli, nessuno escluso, sono uguali dinanzi a Dio.
La solitudine è estromissione da ciò e da chi ci circonda, è abbandono, desolazione, privazione più assoluta e, quindi, infelicità. Ecco perché al momento della Creazione Dio mise quale garante di ciò che aveva portato alla luce, la coppia, non l’uomo o la donna sola, ma l’uomo-donna, con un compito complementare di relazionalità, per coordinare e rappresentare, dominare e coltivare, oltre alla prosecuzione della specie stessa.
Ma i progenitori, l’umanità primitiva, non compresero il valore profondo del legame (almeno nei termini esoterici divini) e ruppero subito questa comunione con Dio, con i fratelli, con se stessi, con il creato. Così, dopo essersi ribellati al Creatore, si riconobbero individui e si accusarono l’un l’altro: «È stata Eva, la donna che tu mi hai posto accanto…», disse Adamo, e questa: «Il serpente mi ha ingannata…». I due ‘si esclusero’ a vicenda, salvaguardando la loro individualità.
Dopo questo primo “divorzio”, Dio non lasciò la coppia in balìa di una lotta senza fine, ma ribadì la valenza dell’unione, quale prima comunità umana fondata sul vincolo del sangue, e confermò come il maschio sia stato creato per la femmina e viceversa: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno una sola carne». In questa compiutezza, uguale per dignità, spesso, però, sbilanciata e non priva di difficoltà, sta la vita e l’essenza stessa della famiglia.
Dio, nell’esperienza che fa con i figli di Abramo, continua a riconoscere il popolo come parte di sé e a trattarlo come famiglia, chiama il “resto d’Israele”: mia figlia, figlia di Sion… Il suo atteggiamento è superiore a quello di un padre e di una madre nei confronti dei figli: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49, 15). Parecchie sono nelle Sacre Scritture i richiami e le analogie con la famiglia: la donna partoriente, le sue viscere, il grembo, il seno, l’allattamento, le braccia… la nascita e rinascita… le nozze e la festa… il gregge, la barca…
A dare sacralità e importanza alla famiglia ci ha pensato Gesù. Per sigillare questo valore egli volle nascere da una famiglia, a essa volle essere suddita e obbedire; in concomitanza con il volere del Padre, in essa volle lavorare come qualsiasi giovane del suo tempo.
Con la sua venuta e incarnazione Gesù ha costituito una sola famiglia, “popolo di Dio”, fino al punto da non essere più gli uomini «né stranieri né ospiti; ma concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio» (Ef 2, 19). Volle istituire attorno a sé una famiglia di discepoli e tra questi ne scelse alcuni che fossero più intimi: gli apostoli, posti a fondamento della famiglia dei battezzati. Il sodalizio che c’è tra Cristo e la Chiesa, sua sposa, c’è nel Sacramento del matrimonio tra i ministri stessi: marito e moglie. Sulla croce l’immagine della famiglia relazionale è esplicita nelle parole di Cristo: «Ecco tua madre», dice a Giovanni e a Maria: «Ecco tuo figlio». Nel discepolo affida l’umanità a Maria e alla famiglia umana sua madre come protettrice, garante, confidente, mediatrice…
Se, quindi, l’origine della famiglia è così nobile e le fondamenta solide, si denota che l’importanza della struttura è destinata a essere duratura nel tempo, non come valore arcaico ma che si rinnova continuamente per essere elemento portante di un cammino, senza il quale il vivere non ha senso.
Ciò che avverrà in seguito, sarà destinato a rapportarsi analogamente con il focolare domestico. La famiglia è, infatti, sinonimo di unità, dono, calore, complicità, intimità, dialogo, educazione, formazione, continuità, sacralità, tolleranza, integrazione, laboriosità, sacrificio, generosità, amore…
Si parla di famiglia estesa alla comunità umana con caratteristiche diverse in situazioni storiche e geografiche, composta da più persone aventi un rapporto di “convivenza, parentela, affinità”, quali elementi fondamentali di qualsiasi società, con l’obiettivo della loro relazionalità: la riproduzione finalizzata al prolungamento della specie nel tempo.
Per mantenerci su un piano generale, faccio riferimento a una tassonomia classica della famiglia. Le relazioni familiari assumono strutture diverse, dissimili o omogenee, a seconda le caratteristiche. Dal punto di vista antropologico e sociologico la famiglia è una piccola società (primaria) avente una residenza comune, una collaborazione economica e riproduttiva. Essa può essere costituita da un nucleo fondamentale: padre, madre e figli o solo marito e moglie (nucleare).
È diversa dalla famiglia patriarcale fondata sull’autorità del paterfamilias: i membri sono interdipendenti, la fertilità è elevata e i figli diventano un investimento economico in vista della vecchiaia, l’autonomia dei componenti è penalizzata da una sovrapposizione degli stessi membri, essa costituisce un’unità politica.
A seconda la composizione, se fondata su uno o più vincoli matrimoniali, la famiglia può essere: monogamica o poligamica. Poliginica, se l’uomo ha, contemporaneamente, vincoli matrimoniali con più donne; poliandrica, quando sono più uomini ad avere, nello stesso tempo, vincoli matrimoniali con una sola donna.
Se la famiglia vive in luoghi o condizioni diverse, si parla di famiglia rurale, contadina, urbana, operaia, borghese, ecc.
Similmente il termine “famiglia” è entrato a far parte di una serie di aggregazioni che, a modo di origine, discendono da valori comuni, perseguono gli stessi ideali, vivono una convivenza: hanno «legami, vincoli, interessi, impegni, doveri». Si parla così di famiglia religiosa, famiglia di scrittori e poeti… per parlare, poi, di famiglia anche nel campo vegetale e animale.
Da alcuni decenni a questa parte, nella società moderna, grazie a un’estesa mobilità umana e a delle caratteristiche di inurbamento, si è fatta strada, soprattutto in Occidente, la famiglia nucleare, «in essa – come afferma la Treccani – vengono maggiormente evidenziati i comportamenti sociali e le pulsioni individuali da cui emerge la formazione dell’identità personale sulla quale intervengono successivamente fattori culturali e sociali». Kagitçibaşi chiama quest’ultima della dipendenza o dell’interdipendenza emotiva, poiché caratterizzata dal venir meno dei legami di dipendenza materiale tra genitori e figli.
Mi auguro da questa prima analisi empirica che possiamo calarci in una visione realistica di famiglia e considerarla vero nucleo dominante della società. Si possa ritrovare il ruolo di motore centrale, quale cellula rivitalizzante della relazionalità, della moralità, di una nuova civiltà nella quale la famiglia umana trovi in essa le risposte a un’esistenza, degna di essere vissuta in tutti i suoi momenti di vita, gioiosi e di sofferenza.
SALVATORE AGUECI