I boschi siciliani sono ritornati, anzi, per essere più precisi, è ritornata la normativa che li proteggeva e che era stata abrogata lo scorso anno da una geniale iniziativa legislativa del Parlamento siciliano. Stiamo parlando del divieto di «nuove costruzioni» all’interno dei boschi, delle fasce forestali e delle zone di rispetto (commi 1, 2 e 3 dell’art. 10 della l.r. n. 16/96 e dell’art. 15, primo comma, lettera e), della l.r. n. 78/76. La soppressione dei limiti alle attività edilizie nelle aree boschive e dei vincoli, per gli strumenti urbanistici comunali, di arretramento dal confine di tali aree, operata con la l.r. abrogatrice n. 2/2021, ha comportato, nelle more dell’approvazione dei piani paesaggistici, l’eliminazione di limiti generali di sorta al loro possibile utilizzo edificatorio e di conseguenza la cancellazione della disciplina di salvaguardia sostanziale.
La scellerata norma abrogatrice è stata però annullata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 135, depositata lo scorso 3 giugno, poiché il legislatore siciliano ha esorbitato dalla competenza legislativa primaria prevista all’art. 14, lettera n), dello statuto speciale, ponendosi in contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale contenute agli artt. 135 e 143 cod. beni culturali, violando, al contempo, anche gli artt. 3 e 9 della Costituzione.
Dopo un anno d’incontrollato uso del territorio, nel contesto del quale qualcuno ne ha certamente beneficiato, assistiamo alla «riviviscenza» delle abrogate norme di tutela e salvaguardia dei boschi a seguito di annullamento costituzionale delle norme abroganti. L’ennesima poltiglia giuridica «in salsa siciliana».
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