Famiglia e sinodalità
Caratteristiche per un cammino di condivisione
La Chiesa che è in Italia sta facendo, in tutte le diocesi, un cammino di sinodalità. Sotto l’azione dello Spirito Santo ha cominciato nel primo biennio 2021/22 a raccontarsi, ad intra e ad extra, raccogliendo le istanze che provengono da tutti i battezzati e da nicchie di socialità, compresi i luoghi di ritrovo, filtrando domande e critiche che provengono dai lontani. Avvertiamo con inquietudine che “il mondo è cambiato”, “non c’è più religione” si dice. Lo stesso papa Francesco ha definito più volte metaforicamente la chiesa “un ospedale da campo”, prendendo atto che essa sia in minoranza e stia combattendo una battaglia di trasformazione storica.
La mia analisi si concentra sulla famiglia come luogo permanente di sinodalità. La famiglia ha, infatti, tutte le caratteristiche che sono proprie di un sinodo ecclesiale, non a caso è stata definita “piccola chiesa domestica”; la Chiesa, a sua volta, è sposa di Cristo (Ef 5, 22-33). Se partiamo dal termine stesso di sinodo che vuol dire “camminare con, insieme”, diciamo che la famiglia, coniugi e figli, sono l’esempio tipico di due persone che il piano salvifico di Dio ha fatto incontrare per fare un percorso comune, sorreggersi ed edificarsi l’un l’altro nella storia sociale e di coppia. Nella famiglia dovrebbe esserci una comunione perfetta in cui l’Amore di Dio si specifica come passaggio da un membro all’altro con assoluta disponibilità e donazione.
Papa Francesco nell’omelia alla XVI assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi (9 ottobre 2021) ha voluto tracciare delle linee guida sulla sinodalità. La famiglia con i suoi componenti non solo partecipa attivamente ai vari sinodi che si tengono nelle chiese locali (diocesi), al suo interno dovrebbe fare già un cammino le cui caratteristiche sono quelle indicate dal Papa: incontro, ascolto, discernimento.
Quando parliamo d’incontro non ci riferiamo al primo che i coniugi hanno avuto e dal quale è partita una fiammella di attenzione, stima, affettività, ma al confronto che in ogni momento della giornata i coniugi, la famiglia, devono avere, accorgendosi l’uno dell’altra e viceversa. Incrociando gli sguardi, con la loro corporeità, fermandosi e guardandosi negli occhi i partners devono togliersi le maschere d’occasione o evitare i rapporti formali. Essi devono vivere l’incontro in comunione con Dio nella preghiera e con il dono di sé lo trasformano visibilmente in amore. Mi diceva una mamma che sua figlia, drogata e ormai critica verso i genitori, rimproverava loro che in famiglia si respirava Dio. E alla considerazione della madre che loro, per non esasperarla, evitavano di parlare di Dio, lei rispondeva: “la vostra presenza mi parla di Dio”.
Una seconda connotazione è l’ascolto in famiglia. Ormai non si ha più tempo per fermarsi e ascoltarsi tra genitori e questi con i figli. La vita frenetica, il lavoro di entrambi i coniugi, i parecchi impegni scolastici ed extra, impediscono un reale scambio di vedute e un aprire il cuore l’uno all’altro. Non ci si emoziona, piangendo magari sulla spalla della madre o del padre, non c’è più il momento della confidenza partecipata. Il dialogo non è più uno scambio di vedute costruttivo. Ci si sente messi al mondo ma abbandonati, poi, a se stessi. I figli sono parcheggiati, da piccoli, o davanti alla televisione e un cellulare o a scuola: viene meno la corresponsabilità dei genitori nell’educazione e questi con gl’insegnanti poiché si delega loro un ruolo fondamentale della formazione. Questo sistema di vita e di non incontro oggi porta sovente alla separazione con enormi conseguenze per tutta la famiglia, specie per i figli. Se l’ascolto fosse orientato alla voce di Dio che parla al loro cuore attraverso l’elevazione quotidiana, facendo diventare ogni gesto orazione e la sua Parola fosse maggiormente incarnata, mettendo nelle mani di Gesù risorto, come i discepoli di Emmaus, tutta la loro vita, avremmo meno divorzi e più coppie che sappiano edificare. Oggi i matrimoni per il sessanta per cento sono nulli in partenza poiché sono condizionati da tanti fattori che ne delimitano la donazione totale del sé all’altro e il loro offrirsi scambievole non è alla luce di Dio per tutta la vita: le parole pronunciate diventano formali, non veritiere ma di circostanza.
Il terzo elemento distintivo familiare è il discernimento. Il dialogo ci permette di conosce l’altro, scavare nel suo intimo, e ci si mette a nudo perché si possa far conoscere quello che realmente siano. Trasmetto al partner non solo il mio pensiero ma perché agisco in un modo piuttosto che un altro. Ciò vuol dire discernere l’amore con cui l’altro mi ama e al quale mi sento di offrire il mio incondizionatamente. Evidenzia in me la premura che nutro, poiché ogni desiderio o cenno dell’altro per me vuol essere un comando. Significa porre, in qualsiasi momento, la nostra coscienza al servizio; la mia trasparenza anticipa il giudizio di Dio. Scavare nella vita dei coniugi vuol dire non chiudersi come famiglia in un guscio per vivere egoisticamente la loro dimensione, ma aprirsi al mondo, in una visione di missionarietà piena, vuol dire avere occhi sui bisogni che nascono ogni giorno dalla società. La famiglia, come l’individuo, deve aprirsi all’universalità della bellezza e dell’amore per magnificarli, leggerli alla luce del Vangelo, attraverso tutte le creature, animate e no. Non siamo, infatti, stati creati per noi stessi ma per collaborare con Dio a condurre l’uomo verso la salvezza, passando attraverso le difficoltà della vita e di ciò che essa ci pone quotidianamente sul cammino.
La sinodalità allora è un momento di grazia per la chiesa affinché da vecchia, piena di rughe e sdentata si faccia bella, mettendosi in ordine, indossando il vestito della festa, per presentarsi adorna davanti al suo Sposo ed essere “santa e irreprensibile” (Ef 5, 27), credibile agli occhi degli uomini.
SALVATORE AGUECI