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Vita umana ed etica naturale

Vita umana ed etica naturale

Il compito del non credente


Tra le tante suddivisioni che facciamo del genere umano ce n’è una che li seziona in credenti e non credenti, religiosi e atei. Fino adesso ho scritto parecchio, da credente, su altri credenti da un’ottica religiosa, ponendomi una chiave di lettura che è la fede cristiano-cattolica. Vorrei pormi per un istante da una prospettiva prettamente umana, mettendo da parte il sentimento sacro per concentrarmi su quello ateo-profano.

Nella mia carriera scolastica ricordo che alcuni giorni prima di un Natale di parecchi anni or sono, il dirigente scolastico che si dichiarava apertamente non credente e ateo, mi chiese di contattare il vescovo della diocesi del tempo per compiere un gesto di cortesia e fare gli auguri natalizi (era una formalità, perché chi non crede in Gesù Cristo, quali auguri pretendeva di fare? Gli auguri hanno una valenza religiosa in un cammino pastorale e spirituale di una comunità e dell’individuo). Durante l’attesa mi pose una domanda: “Non so che differenza ci sia tra me irreligioso e voi cristiani?” È una domanda che oggi si pongono parecchi uomini e donne lontane da Dio. Io ne prendo lo spunto per soffermarmi sulla domanda e cercare un po’ di chiarire il senso.

Dal punto di vista umano non c’è alcuna differenza, sia il credente che il non, sono ambedue creature umane, venute al mondo per volontà esplicita dei nostri genitori, come frutto di un amore. Per ambedue, sia che ne siano coscienti o no, c’è un Reggente superiore che ha stabilito la loro nascita in un contesto familiare, umano, geografico, etc. Il cammino che noi facciamo dalla nascita alla morte, apparentemente, è simile all’altro, ambedue abbiamo gli stessi diritti e doveri da osservare e da fare osservare. Ambedue camminiamo lungo una strada, a prima vista segnata, anzi, a volte, dal punto di vista intellettuale, d’impegno e di risposta il non credente può essere più impegnato e la sua opera migliore di chi crede. Eppure una differenza dovrà esserci.

Prima di procedere desidero chiarire che ogni essere umano è formato da un’anima e un corpo. Già fin dall’antichità si credeva alla presenza dell’anima. Nell’antico mondo greco e romano si pensava all’Ade come luogo del regno dei morti, delle anime. Per Platone l’anima è immortale e dopo la morte ritorna nel mondo delle idee, nell’Iperuranio, per reincarnarsi. Per Aristotele l’anima è la forma del corpo e quando questo muore l’anima non esiste più. L’anima non è per lui immortale, ma esiste una parte razionale che è responsabile del pensiero umano e questo per esistere non ha bisogno di un supporto specifico, quindi può agire separatamente dal corpo. L’anima identifica la persona e siccome ogni persona è diversa dall’altra, ogni anima è creata nella sua unicità.

La seconda puntualizzazione e il termine “ateo”. Di per sé è chi nega la presenza di Dio e ne esclude l’immanenza e la trascendenza. Nonostante ciò, nelle religioni naturali esiste Qualcuno che ha creato le cose ed è al di sopra di tutto: il racconto della creazione ha un meccanismo mitologico per indicare che tutto proviene da un Essere superiore, da un “grande ingegnere” (S. Zavoli, Credere non credere, Rai-Eri-Piemme, Casale Monferrato 1996, p. 251). In alcune religioni primitive lo rappresentano come un tronco d’albero piantato per terra, per indicare la verticalità di dio che sta sù e il creato che sta giù: il cielo diventa la sede dell’Assoluto. Personalmente non credo all’uomo a-teo e anche se il soggetto afferma di esserlo, di fatto non crede nel Dio cristiano o in un Essere supremo, come è stato pensato da altre religioni, ma ognuno, credo, abbia un punto di riferimento, qualcosa e qualcuno per il quale vive, crea e lavora, divinizza, in un certo qual modo. Non sto qui a disquisire sulle motivazione dell’esistenza di Dio, lo rimando, ritorno alla domanda iniziale: quale differenza tra credente e miscredente? O per dire meglio, tra non credente e cattolico? Il termine credente, infatti, ha un raggio di definizione più ampio perché è chi aderisce a una religione o a un qualcosa, il cattolico segue Cristo che opera attraverso il suo vicario, il Papa, i vescovi e il popolo di Dio in comunione con loro.

L’interesse non è quello di invogliare l’ateo a credere o a seguire un certo cammino spirituale ma è di capirlo, nel rispetto della sua libertà e individualità.

La differenza è nella coscienza che il cristiano ha di sentirsi parte di Dio, da Lui amato infinitamente. Egli crede non in un Dio che non ha mai visto ma nella Persona di Gesù Cristo, come Figlio di Dio, che si è incarnato ed è venuto a insegnarci e a farci conoscere il Padre, ci segue nella storia terrena attraverso lo Spirito Santo che ci indica un cammino. Il credente ha un obiettivo ben definito di amare Dio e coloro che sono stati creati a immagine sua: tutti gli uomini indistintamente. La Comunità diventa luogo e fonte di aiuto divino e umano, attraverso la Grazia ricevuta e dispensata; il cristiano ha un sostegno anche di ripresa che sono la Parola, i Sacramenti e la preghiera. Egli aspira a una ricompensa che non dovrà essere terrena ma eterna. La responsabilità del cristiano è, comunque, maggiore di chi non crede e così le aspettative e il premio saranno adeguati.

Al “non credente” mancano questi riferimenti: ha dei richiami comuni col cristiano, ma oltre non può andare, manca a lui la capacità di sublimare la sua esistenza. Paragono (nei limiti che esso ha) ambedue a uno studente e un autodidatta. Chi impara da sé può arrivare a una conoscenza delle cose ma gli manca il confronto, il laboratorio, l’applicazione; lo studente ha un supporto nell’istituzione, docenti e compagni. Alla fine del percorso può raggiungere un titolo di studio che lo riconosce esperto in tutti i luoghi e gli ambiti ove si trova, l’autodidatta è privo di questo riconoscimento. Il non credente non vive in funzione di una ricompensa ultraterrena: la sua vita con la morte pensa che finisca, la sua è una soddisfazione temporale e personale. Egli non crede che la collaborazione gli possa giungere attraverso una comunione di Grazia ma solo di un aiuto vicendevole che trova nei suoi simili qui e ora. Ha una visione planetaria dell’uomo per quello che può servire nel campo scientifico, culturale, geofisico, ambientale…

Nel suo comportamento il non credente ha un’etica naturale e umana da osservare, ad essa dovrà fare riferimento tirando in causa la sua coscienza, il credente, oltre all’etica innata, amplifica la sua morale e la corrobora, la completa con la Parola rivelata.

C’è un percorso comune tra credente e no nel quale ambedue le tipologie sono chiamate a collaborare e dare i loro frutti su un piano di responsabilità. Anche se il non credente non è alla pari di chi crede, alla fine dei suoi giorni può superare quest’ultimo nella ricompensa terrena e finale. Non è, infatti, rispetto alla quantità e ai mezzi che l’uomo si salva, ma al modo e all’impegno che esso metterà nel contribuire alla creazione e nel condividere con essa le sue meraviglie. Teilhard de Chardin parlava, a tal proposito, dell’uomo “con-creatore” con Dio, anche se l’ateo sa di non esserlo. Gesù si sacrificò sulla croce, anche a loro insaputa, per tutti gli uomini, del passato, del suo tempo e per quelli che abiteranno la terra nel futuro. E avvertì: «I ladri e le prostitute vi passano avanti ed entrano nel regno di Dio» (Mt 21, 31).

SALVATORE AGUECI

 

 

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