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Il linguaggio della simbologia

Il linguaggio della simbologia
La genialità umana capace di elaborazione oltre ogni confine

È nell’indole dell’essere umano compiere azioni che peculiarmente lo contraddistinguono da qualsiasi altra creatura esistente. Solo l’uomo è capace di sintesi, di astrazione, di confronto, di osservazione della realtà e trasferirla, elaborandola, in un quadro, in una scultura, in una composizione scritta o poetica. “L’uomo è veramente, totalmente uomo, – afferma Roberto Vecchione – quando scopre i simboli, quando capisce cioè che una cosa può sottintenderne un’altra, significare un’altra.” Anche ciò che è assoluto, metafisico, trascendente rientra in questa categoria, poiché possono essere trasferiti in simboli, forme concettualmente più alla portata dell’uomo: l’universale, in certo qual modo, genera il particolare.
L’uomo, in quanto dotato d’intelligenza, sa comunicare con i suoi simili avvalendosi di simboli: lo studio della simbologia ci permette di approfondire la natura antropica del singolo essere umano e le socialità più estese per studiarne i valori. Anche nell’ambito di scienze diverse o di valori, scopriamo un linguaggio figurativo appropriato alla natura disciplinare. Ogni determinato bisogno espressivo stabilisce così un insieme di figure e forme metaforiche, poiché determina un bisogno relazionale.
Originariamente, prima ancora che nell’uso latino, il termine proveniva dal greco σύμβολον, sýmbolon (segno), derivato dal verbo συμβάλλω (symballo), formato da σύν «insieme» e βάλλω «gettare», con il significato indefinito di “mettere assieme” due parti distinte. Aveva, infatti, il significato di “tessera di riconoscimento” o “tessera hospitalitatis (dell’ospitalità)”. Due individui, due famiglie o anche due città spezzavano una tessera, di solito di terracotta, o un anello, e ne conservavano ognuno una delle due parti a conclusione di un accordo o di un’alleanza: da qui anche il significato di “patto” o di “accordo”, ma anche di sigillo, di parola d’ordine…
Il simbolo può rappresentare un’altra materialità contingente empirica (persona, animale, oggetto, segno, gesto), «I simboli – come afferma J. J. Bachofen – portano lo spirito oltre i confini del finito, del divenire, nel regno dell’essere infinito. Essi destano suggestioni, sono segni dell’ineffabile e inesauribile». Ma, come già detto, significano anche una realtà astratta percepita e messa a disposizione dell’uomo per essere maggiormente comprensibile. Come tale può essere definita “Segno visibile di una realtà invisibile”.
In linea di massima dire segno, segnale, allegoria, simbolo, sacramento (dal latino), mistero (dal greco) è come se queste voci fossero sinonimi e si equivalessero, ma non è proprio così.
Nel significato semantico dei termini, alcuni autori (Hobbes, Charles Sanders Peirce e i positivisti e neopositivisti) sostengono che il simbolo, nel senso di “stare al posto di”, si possa scambiare con ‘segno’ assumendo quest’ultimo un significato di convenzionalità (Charles W. Morris). Il simbolo, inoltre, è diverso da ‘segnale’, in quanto questo ha un valore puramente informativo e non allusivo. Hegel distingue il simbolo dal segno. Nel segno, infatti, il contenuto è completamente diverso da ciò che rappresenta, nel simbolo l’oggetto simbolizzato è concreto, statico, simile alla sua efficacia simbolica. Nell’allegoria, invece, (espressione del linguaggio) chi parla utilizza una figura retorica (pittorica o plastica) per percepire un significato riposto in un concetto.
Il simbolo, a sua volta, può essere di due tipi: convenzionale ed analogico. Il primo ha un valore formale, concordato ed assume un carattere intersoggettivo, giacché è condiviso da un gruppo sociale o da una comunità definita (politica, culturale, religiosa…). Così sono la scrittura e le parole che assumono un valore e un senso, se utilizzate in una sequenza, che specifica il loro significato. Il secondo richiama a un rapporto tra un oggetto concreto e l’immagine mentale che di esso ce ne facciamo (esempio: offrire una rosa, fare un regalo, battere le mani…)
Nel neoplatonismo prima e, poi, nel Cristianesimo il simbolo ha assunto una valenza importante nell’ambito teologico.
Una tipica simbologia è stata assunta nel campo religioso, in particolare nel Cristianesimo, ma non solo: nelle religioni primitivo-naturali troviamo elementi di rappresentatività, tuttora, ad esempio, un tronco d’albero, piantato a terra, rappresenta la divinità; la verticalità esprime superiorità, potenza, padronanza, pienezza. Spesso non esistono testi scritti, archivi, per cui il solo racconto sotto il simbolo della favola, dei proverbi, dei miti (sintesi delle loro credenze) sono un cumulo di normative che regolano la vita religiosa del popolo. Tutta la vita vissuta è un misto di sacro e profano unito alle singole azioni rappresentative che vanno a compiere. Ad esempio il frutto della caccia dipende dai sentimenti di amore o odio che accompagnano il cacciatore in quel momento. Nella magia o nella stregoneria, oggetti e formule acquistano simbolicamente potere. Un concetto avanzato è che il Dio supremo non ha immagini né feticci.
La Rivelazione nella Bibbia avviene attraverso simboli in essa radicati. A partire dalle narrazioni si seguono i generi letterari del tempo in cui è stato scritto ogni singolo libro. Si passa, poi, ad altre immagini come lo sposalizio tra Dio e il suo popolo, la liberazione dalla schiavitù babilonese (Redenzione del genere umano), gli sponsali contenuti nell’Apocalisse e altri simboli: dell’alleanza, del regno, del pastore, della luce, dell’acqua…
Le categorie del simbolismo biblico le possiamo trovare nelle immagini (allegorie, metafore, parabole), nei rapporti tra Dio e il suo popolo (trono, regno, re, scettro, sposo, pastore, scudo, rocca), nei rapporti fra il popolo e Dio (alleanza, matrimonio, gelosia, adulterio, ribellione), nel designare il popolo di Dio (figlio, eredità, fidanzata, sposa, tortora, gregge, vite, vigna, campo, pianta, razza eletta, sacerdozio regale, edificio, tempio, membra), nel designare il Messia (re, profeta, germe, pastore, David), nella Redenzione in Cristo (riscatto, riconciliazione, seme, rinascita, adozione, eredità, liberazione, acqua viva…), nella Chiesa gerarchica (legare, sciogliere, pascere, chiavi, pietra), nelle opere cristiane (seminare, fruttificare, mietere, combattere, costruire, offrire sacrifici) (cfr. Dizionario Ecclesiastico, UTET, TO 1958, alla voce Simbolismo).
Ritornando al Cristianesimo, non tutti i segni sono uguali, ci sono quelli, infatti, che sono rappresentativi e i simboli-sacramenti che sono “efficaci” in sé. Se andiamo a vedere alcuni segni come la croce, gli oggetti di culto, i paramenti sacri, i colori liturgici, la gestualità, alcune immagini (il roveto ardente, il serpente, l’arca, il pesce e la pesca, l’ancora, il convito, il faro, la colomba, l’agnello, il pellicano, la fenice…) sono simboli che richiamano a uno specifico significato. Gli stessi “sacramentali”, istituiti dalla Chiesa, sono “segni sacri”, e servono a preparare gli uomini a “ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita” (1667, Catechismo della Chiesa cattolica). Il sacramento, a differenza, è un segno efficace della presenza del Cristo e della Trinità, della Grazia. Così Cristo è sacramento perché presenza incarnata del Padre, segno tangibile, non rappresentativo. All’apostolo Filippo che gli chiedeva di mostrare loro il Padre, Gesù risponde: “Chi vede me, vede il Padre che mi ha mandato” (Gv 12,45). In quanto “segno efficace”, ogni sacramento incide un segno effettivo, reale, indelebile: il Battesimo fa diventare veri cristiani, la Cresima trasmette lo Spirito Santo, e come ogni sacramento perpetua l’incarnazione visibile del Cristo e della sua Grazia. Nel Sacramento dell’Eucaristia, dopo la consacrazione, ovvero la transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Gesù, il celebrante pronunzia le parole “Mistero della fede”. Queste parole non sono a memoria di un fatto avvenuto duemila anni orsono, ma ci ricordano che quello compiuto è sacramento vivo, presente sull’altare, esso è quel Corpo e quel Sangue che Gesù ha dato e continuerà a darsi all’umanità, bisognosa di salvezza.
Un particolare Simbolo nella Chiesa Cattolica è il Credo. Esso è un complesso organico e conciso di verità di fede a cui i cristiani devono attenersi e contiene una sintesi dei dogmi definiti dal Magistero della Chiesa.
Tutta la creazione è simbolo di Dio-Amore perché è espressione della Sua bontà. Per questo ogni cosa e creatura sono buone e rispecchiano quello che noi non riusciamo ancora a percepire con le capacità intellettive. Anch’esse partecipano, come la parte al tutto, del Dio-Ragione.
Da ciò deduciamo che, come il figlio è simbolo della famiglia alla quale appartiene e ne ricalca geneticamente le orme, così ciascun uomo ha il dovere di essere simbolo del suo Creatore. I credenti tutti devono raggiungere una perfezione tale che li ponga a essere in tutto immagine di Dio, fino a diventare sacramento del Creatore (San Paolo). L’impegno che proclamano ogni volta i cristiani, dopo la consacrazione, a voce alta davanti a tutta l’assemblea: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta” diventa confessione di fede e di testimonianza. Solo allora la luce che è in loro può farsi simbolo della Verità (James Russell Lowell), il bello del bene morale (Immanuel Kant) e si può divenire – come afferma Teilhard de Chardin – con-creatori con Dio.

Salvatore Agueci

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