Il compito della poesia tra visibile e invisibile
L’anticipazione della felicità con la sublimazione del sé
La natura, questa meravigliosa opera d’arte, è quanto di più bello ed entusiasmante possa apparire davanti ai nostri occhi. Con essa e in essa ha inizio un cammino nel qui e ora verso la maturità e la perfezione.
Con la creazione abbiamo il compimento e anticipiamo, attraverso l’interiorizzazione e la realizzazione nell’anima, l’eternità.
Abbiamo un crescere insieme alla natura con la connessione tra anima e paesaggio, interiorità ed esteriorità. L’anima s’innamora del paesaggio ed emigra verso di esso, come la natura si sposta verso l’anima.
Esiste un linguaggio che solo un orecchio attento può comprendere. La natura parla? Si! Nel silenzio, nelle catastrofi, nei tramonti e in ciò che invia messaggi da coinvolgere l’anima. Protesta anche. “Tutte le volte che la natura viene violentata, la natura si ribella” affermava il mio prof. di filosofia.
Tanti poeti si sono cimentati con successo nello scandagliare l’umano e il divino e i drammi che attraversano queste due verità. Due fra tutti, senza sottovalutare gli altri. Petrarca contrappone l’amore terreno a quello divino senza cogliere lo smarrimento dell’animo umano. Laura rappresenta le incertezze della vita terrena. Per Dante nei suoi versi traspirano le miserie umane, le colpe, con la volontà di riscatto, certo che il bene eterno l’avrà vinta sul male.
Grazie alla fusione con la luce e i colori, le linee e le forme, finché non comincia a vivere e trasformare il cuore: la terra cresce nell’anima fino a radicarsi in essa, la terra diventa “promessa”, santa.
In questo cammino l’uomo scopre l’importanza della relazionalità come ringraziamento al dono dell’esistenza. L’elevazione a Dio con la lode diventa la forma più intensa di vita.
Questa preghiera della creazione diventa l’intensità più alta della felicità, della vita: inizia la sublimazione e l’estasi.
È la chiusura del cerchio (pensiero greco): il colpevole deve rendere conto all’Uno-tutto, all’infinito, ed espiare, con la morte, la colpa di essere nato. La finitezza dell’uomo con il dolore e la morte si ricompone nella riconciliazione: il finito è annullato nell’infinito.
Nel linguaggio e nella fede cristiana non basta, subentra e completa il cammino la Redenzione. Redimere la colpa non è solo chiusura del cerchio, ma è frutto di libertà, sia da parte di Dio che dell’uomo. Il perdono è riconosciuto da Dio al peccatore che lo chiede, è il massimo dell’Amore e della riconciliazione: Dio si fa uomo e l’uomo è divinizzato (non a caso nella liturgia cattolica è incensato), divenendo con-creatore con Dio (Teilhard de Chardin).
In questo processo la poesia e l’arte ne intuiscono le sfumature senza interpretazioni. La sensibilità del cuore umano riesce a cogliere l’essenza per superare il dramma umano e raggiungere la catarsi con l’epilogo della purificazione. Schopenhauer esalta l’esperienza della tragedia umana come la forma poetica più imponente e ne indaga il significato.
La poesia diventa l’arte dell’attesa e del sognare, come speranza del dover essere, per uscire dal sé e catapultarsi nell’infinito. L’uomo come essere incompiuto si avvale della speranza e con la poesia s’immerge e anticipa la felicità eterna che diventa Amore perenne di poesia e di contemplazione.
La potenza della poesia è che essa dà voce ed esalta persino le piccole cose, facendo emergere ciò che a un occhio superficiale non dice nulla o poco, perché le cose più semplici coinvolgono lo spirito e lo innalzano.
Tutti siamo poeti e artisti perché ognuno ha sentimenti ed emozioni da cogliere ed esternare della natura e del “divino”. Tutti, di fronte a un albero, a un fiore, a un paesaggio, a un bambino, a dei colori… ci fondiamo e incantiamo, lasciando che lo spirito sia trasportato verso altezze profonde.
La mia poesia, in lingua italiana e siciliana, in versi liberi, analizza i temi, coglie le sfumature del creato e da essi ne ricava lo spunto per un insegnamento finalizzato a una riflessione che contribuisca a dare il senso della vita e trasportarci, almeno per un istante, nel mondo del sublime.
Mi auguro che ciascuno sappia cogliere e vivere quest’attesa terrena come meraviglia e in questa contemplazione della bellezza anticipare la beata eternità nel qui ed ora.
«La poesia è – affermava Mario Luzi – il linguaggio della sintesi, è la metafora stessa del valore estremo della parola, della sua forma e del suo contenuto. Il parlare della poesia non consente parafrasi. Assistiamo invece alla dissociazione di tutto, al perdersi del senso, del significato. Tutto è devoluto al concreto, al pratico, al conveniente. Cioè al visibile. Gesù invece pretendeva dagli apostoli che leggessero l’invisibile. Occorre ridare voce all’uomo esiliato nel suo egoismo, nella sua angusta individualità, perché ritrovi la strada di tutti, del Tutto».
Fare l’esperienza della natura e spiritualizzarla per vedere l’invisibile significa, in un processo contemplativo, vedere, attraverso la superficie, ciò che vi sta dietro. Vedere lo Spirito trasparente nella natura, fare un passo avanti ed entrare già in relazione con Lui. Il visibile, come l’invisibile, vengono decodificate per trovarne il legame (S. Francesco d’Assisi).
Dove c’è stupore, commozione, là inizia la contemplazione e il bisogno dell’anima di scavare per immergersi nell’invisibile, nell’Assoluto di Dio. Occorre cominciare ad abbandonare lo spazio del pensiero e dei sentimenti per fare l’esperienza di Dio.
Da non dimenticare, però, che l’esperienza con i nostri sensi inizia dal qui e ora per sperimentare l’oltre, un qualcosa che va al di là del processo scientifico. Prima di passare alle esperienze mistiche è necessario partire, quindi, da un’esperienza immanente di Dio, imparare a vederlo nella quotidianità.
Il nostro compito, allora, è scoprire che le cose temporali sono immagine dell’eterno. Contribuire nel far diventare tutto armonico, primo passo, assumendo quella responsabilità della natura e del creato a partire dal nostro piccolo, dal quartiere, dalle città, perché la musicalità, la bellezza partono dalla pulizia del territorio e dalla purezza interiore, dal rispetto delle regole quotidiane e degli altri: fermarsi ai semafori, dare precedenza, mettersi in fila e quant’altro.
Ciascuno dovrà divenire poesia vivente, trasformandosi dovrà coinvolgere chi gli sta attorno. La sua persona dovrà sprigionare gioia, entusiasmo, splendore, equilibrio, partecipazione, accoglienza. Fare sentire che la vita merita viverla, catapultandosi in essa per renderla più amabile.
La poesia dà dignità alla persona, alle persone e alle cose perché tutto dovrà essere in ordine (cosmo) e l’ordine renderà musicale, incantevole, eterno, il coinvolgimento al grande mistero dell’Essere.
Salvatore Agueci