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Riflessioni da 8 marzo: esiste un linguaggio per gli uomini ed uno per le donne?

Esiste un linguaggio per gli uomini e uno per le donne, ha senso parlare di genere quando la parola si trasforma in scrittura, in suono o immagine? Questo è il dilemma su cui ci interroghiamo. E allora facciamo un piccolo percorso. Le parole non sono neutre. Questa affermazione assume quasi valore assiomatico nella comunicazione. Basti pensare a quanto affermava Arthur Krock (Corrispondente dell’Associated Press) nel lontano 1963, quando sentenziò: “…se ci riesce la colpa è della stampa. Kennedy, manipola le notizie in modo impudente, cinico e scaltro”. Dunque la riflessione deve partire prima di tutto dalla parola e come affermava Piero Ottone, maestro del giornalismo italiano nel suo “Storia del giornalismo italiano”:“La parola, il linguaggio, la comunicazione servono anzitutto a manifestare bisogni, ad avanzare richieste, a imporre comportamenti; tendenzialmente, a dare ordini, affinché prevalga la nostra volontà…Ma la parola serve anche a raccontare; a raccontare qualche cosa per il gusto di farlo, senza chiedere nulla in cambio…Raccontiamo perché col racconto entriamo in contatto con altre persone, stabiliamo un rapporto, sfuggiamo alla solitudine, non siamo più soli: anche per questo ogni essere umano sente il bisogno di comunicare.” Allora, una prima distinzione possibile è tra parola parlata e parola scritta. Il linguaggio giornalistico è sempre di più una contaminazione di questi due aspetti, e va addirittura oltre. I sensi del pubblico sono più coinvolti, vista, udito, tatto e addirittura olfatto. I media le tecnologie ad essi associate amplificano l’aspetto emozionale a discapito di quello razionale.Il linguaggio strumento essenziale per l’intelletto umano, è ciò che gli consente di alfabetizzarsi di ampliare le proprie conoscenze, di staccarsi dal coinvolgimento emotivo e di acquisire maggiore coscienza.Così la parola parlata, si trasforma in un discorso nel quale intonazione, lessico, sintassi e mimica accompagnano le idee che attraverso le parole trovano una rappresentazione. Da questo insieme colei/colui che ascolta in modo rapido e in parte implicito riceve un messaggio che viene quindi elaborato e che da origine ad una reazione, forma un’opinione.La parola scritta lascia il tempo della sedimentazione, scorre solo attraverso l’unione di lessico e sintassi, essa risuona nella mente di ognuno con una intonazione ogni volta diversa.Ma in entrambe i casi l’aspetto fondamentale che si associa al modo con cui si da forma alla parola è la percezione, il modo in cui essa è recepita, assorbita dal pubblico e da luogo al processi di formazione dell’opinione. Il prof. Sartori nel suo celebre saggio “Homo vindens” sostiene che con l’avvento della televisione è stato stravolto quello che era il processo di formazione dell’opinione che definisce “a cascata” ..” o meglio come una successione di cascate interrotte da vasche nelle quali le opinioni si rimescolano”. La “videocrazia” – ancora aggiunge – ha fabbricato una opinione massicciamente etero-diretta che svuota la democrazia come governo di opinione. Per tornare al quesito di partenza esistono linguaggi per pubblici diversi? Le donne in particolare, sempre più attive presenti, portatrici di nuovi bisogni, necessitano di un codice di comunicazione diverso? Adattato al proprio DNA di genere? Molti studiosi della cultura di genere sostengono che si provenga da una cultura fondamentalmente maschile, che è il risultato di un sistema percettivo della realtà appreso nei diversi contesti e patrimonio storico genetico del nostro vissuto. Questo significa che nella comunicazione sono utilizzate regole predefinite e in parte inconsce che sono frutto di quanto sopra esposto. Così l’oggetto che sarà definito nel momento del dialogo o della scrittura e rappresentazione sarà strutturato secondo quelle regole. Allora si può affermare che più che di differenza di linguaggi siamo ancora in una logica di cultura prevalente. E’ vero però che lentamente i modelli si stanno modificando che il radicale cambiamento di ruolo della donna nella società occidentale ha innescato un processo evolutivo che si intreccia con quello dell’affermazione di identità sessuali diverse rispetto al genere di appartenenza. Nella comunicazione in linea generale è vera l’affermazione che esistono pubblici, diversi, target, definiti sulla base del genere dei gusti, del potenziale di acquisto, dell’orientamento politico. Se così non fosse l’editoria specializzata non avrebbe luogo di esistere. Perciò nei femminili troveremo una scaletta di argomenti che compone il sommario che fa riferimento alle differenze di genere tipiche ed ancora emotivamente percepite nella società. Ma a questo punto è necessario introdurre un elemento di differenziazione dato dal fattore età. Infatti anche i femminili al loro interno realizzano una segmentazione del target in funzione delle fasce di età cha da luogo da interessanti considerazioni proprio sull’utilizzo del linguaggio. Basti pensare ai concetti che vengono definiti a seconda degli autori Female Thinking o Male Thinking e ancora Drive Maschile o Drive Femminile. Questi non sono coincidenti con l’appartenenza di genere ma rappresentano il sentire il modus pensandi, e come asserisce Francesco Morace: “ …il gioco di ruoli, di scambi, di relazione tra uomo e donna è passato dalla dialettica parità – differenza all’attuale posizione dove si trovano nuovi modelli di –alterità- , perché comunque, nel corso del tempo, i codici, i linguaggi, i comportamenti degli uni e degli altri si sono progressivamente avvicinati, contaminandosi a vicenda…”. Basta osservare le copertine di mensili o settimanal per vedere che i punti di contatto sono molteplici, dalle rubriche sul sesso, al fitness ai sex symbol che risvegliano l’immaginario del lettore/lettrice. Scorrendo gli articoli risulta ancora più evidente che gli argomenti sono molto simili anche nel modo in cui sono redatti. Il linguaggio utilizzato è sempre più diretto, senza parafrasi. I bisogni, le aspettative sono simili, la prova costume vale per tutti…, l’oggetto del desiderio, tanto per citare gli esempi più lampanti. Si potrebbe opinare che il mercato dei femminili è così vasto e quello delle riviste per il pubblico maschile è molto più ridotto a dimostrazione del fatto che le donne necessitano di un linguaggio dedicato. In realtà per dirla con gli esperti di marketing, le scelte e gli acquisti restano una prerogativa femminile e che sempre di più le donne costruiscono intorno all’oggetto acquistato e o da acquistare un complesso processo di analisi che non è solo basto sul prezzo o sulla marca. Da questo insieme di fattori nasce l’esigenza di comunicare di più per muovere all’acquisto, ecco che cresce il panorama delle riviste a fronte di un mercato pubblicitario pronto a investire ingenti risorse per trovare spazi anche non tradizionali di comunicazione. Al termine di queste riflessioni è opportuno tornare a fare il punto sulla nozione stessa di giornalismo, su come la notizia deve essere costruita e rappresentata e su come sulla base di questa, sia esso testo scritto, parlato, ipertesto, si costruisce, come scrivevamo nella premessa un rapporto con l’individuo, pubblico/lettore. E perché il rapporto sia libero è necessario che l’individuo sia in grado di comprendere, sia munito di strumenti che gli consentano un’interpretazione libera e personale.Così per tornare a citare Piero Ottone, possiamo concludere questa dissertazione con questo brano tratto dallo stesso volume: “L’uso della parola nella funzione estetica è la massima aspirazione del giornalista, è l’essenza della sua vita. (Nella speranza che egli senta il desiderio di raccontare soltanto cose vere. Se poi, per intensificare l’attenzione altrui, inventa storie fantastiche, è bene che il nostro soggetto rinunci al giornalismo, e diventi romanziere).

Francesco Pira

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