Enna. La scrittrice ha fatto tappa nella sua città d’origine nell’incantevole scenario del caffè letterario Al Kenisa.
Per Roland Barthes oggi è più indecente parlare di sentimenti che di sessualità.
E quando, all’interno di questa caleidoscopica sfera, ci si imbatte negli abbandoni e nelle dipendenze emotive, il terreno diventa sdrucciolevole, e si rischia di scivolare nel sentimentalismo e nel lacrimevole.
Un rischio mai sfiorato da Mavie Parisi, autrice del romanzo E sono creta che muta, presentato venerdì 26 marzo al caffè letterario “Al Kenisa” di Enna dalla giornalista e saggista Anna Pavone.
Alcuni brani del libro sono stati letti dall’attrice Salvina Fama.
Il romanzo indaga nelle pieghe di un mondo conosciuto e attraversato, ma di cui forse si continua a restare in superficie: chi abbandona è sempre “carnefice”? E come vivrà, dopo, l’abbandonato? Come potrà riscrivere la geografia del proprio corpo, delle proprie emozioni, della propria casa? Chi vedrà riflesso nello specchio? Chi ha amato diventerà un passante senza nome?
La protagonista di E sono terra che muta è Kita Narea, una donna di mezza età che viene lasciata dal marito per via di una stanchezza esistenziale che, apparentemente in silenzio, pervade e consuma ogni aspetto della vita, e che quindi inevitabilmente incancrenisce il rapporto di coppia. Al lettore non è dato sapere da dove venga quest’ansia, questo senso di soffocamento. Che sia il sintomo o la causa, il matrimonio si sgretola tra le mani dei protagonisti.
Ma su tutto c’è un assioma: non ci sono vittime e carnefici, non esiste un mondo manicheo.
Quasi del tutto asincrone sono le voci di Kita e degli altri personaggi, attorno a lei gravitano pensieri, lucette lampeggianti della chat, fili di voce appesi ad un telefono o lettere apparse sul monitor, ma anche persone e situazioni fisiche, reali. O forse è lei a girare attorno a tutto questo.
Uno stile pacato, sobrio, modellato accuratamente su personaggi e situazioni, uno stile quotidiano che allontana picchi e cadute. Un’epica della quotidianità che si fa letteratura.
Alla voce di Kita fa da eco e contraltare quella di un narratore onnisciente, che permette alla scrittrice di esprimere i sentimenti altrui, di raccontare le situazioni guardandole da prospettive diverse. A volte le due voci si fanno eco, narrando gli stessi episodi, altre volte si rincorrono come in una staffetta.
Il foltissimo pubblico intervenuto si è incollato al racconto delle pagine, parte integrante di un io collettivo, quello che si identifica empaticamente nel romanzo, indipendentemente dal suo ruolo.