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Cerami: i mulini ad acqua

Gli arabi a Cerami apportarono una ventata di rinnovamento in ogni campo ed, in particolare, migliorarono con lavori d’incanalamento dell’acqua dei torrenti, l’agricoltura e la pastorizia. Cerami, sotto la dominazione araba, diviene una cittadina attiva ed importante; lo stesso geografo Ibn-Idris ne fa menzione nei suoi itinerari in età successiva e, nel descrivere il paese ed i fiumi presenti nel territorio, accenna alla presenza di mulini idraulici. L’amenità del posto e l’abbondanza d’acqua furono, quindi, gli elementi che gli arabi seppero utilizzare magistralmente per sviluppare alcune delle colture da loro diffuse, anche se quella prevalente rimase sempre la cerealicola, grano e orzo, poiché la natura dei terreni costituì un ostacolo alla diffusione di altre piante d’interesse agrario. L’uso agricolo dell’acqua in Sicilia, dove la tecnica idraulica musulmana aveva conseguito notevoli risultati, era comunque esteso; diverse le zone dove persistevano ambienti agrari elaborati dai saraceni e nei quali, accanto alla produzione cerealicola, era diffusa l’arboricoltura da frutto, i gelseti, gli ortaggi e le piante tessili, che potevano coltivarsi solo utilizzando l’acqua. Quell’acqua prelevata in gran parte da sorgenti e da fiumi, lungo le cui rive si era favorito il sorgere di casali. A metà ’800 il territorio di Cerami, pari a complessive 4766,605 salme legali, equivalenti a 2430,968 salme locali, presentava 2362,304 (= 1204,775) salme a seminativi, pari a circa il 50% dell’intera superficie comunale50. Luigi Anello in Storia di Cerami, così descrive i mulini ad acqua posti sulle rive del Fiume Cerami: I mulini sono ancora piantati sulle rive del fiume, qualcuno ancora efficiente anche se, da qualche anno inoperosi; altri ormai ruderi…; ed ancora: I ruderi di antiche fabbriche lungo i suddetti corsi d’acqua richiamano alla mente la quotidiana attività di molitura e di follatura della lana che si svolgeva nel tratto di sponde indicato dal geografo arabo [Idrisi] e nei luoghi ricchi di acqua.

I mulini presenti nel territorio di Cerami sono stati localizzati attraverso ricognizioni e sopralluoghi, consultando mappe catastali e topografiche, facendo riferimento ai diversi lavori di storia patria. Secondo la tradizione, tali mulini risalirebbero tutti al periodo arabo in Sicilia; è consuetudine, appunto, tra i contadini, indicare gli antichi edifici come originari del periodo saraceno. L’itinerario inizia nella parte alta del Fiume Cerami, precisamente in località Cipolluzze e Mendola, nei pressi del Vallone Marigreca, a quota 630 metri s.l.m., dove sono presenti due mulini, i cosiddetti Mulini della Roccella. Più a valle, a 600 metri di quota, nel punto di incontro tra il Fiume Cerami ed il Torrente Giammaiano, si erge in maniera evidente il Mulino Grande, costituito un tempo da diverse macine. Sempre lungo il tratto del Torrente Giammaiano erano presenti, più a monte, due Mulinelli. Segue il cosiddetto Mulinello,ubicato nell’omonima contrada, lungo il fiume Cerami. Attraversando il Ponte Vecchio, si giunge in località Casale, oggi territorio di Nicosia; qui, un tempo, nei pressi del Torrente Spirini, a circa 550 metri d’altitudine, era il Mulino Sant’Ambrogio. Infine, un po’ più distante, a quota 470 m, già in territorio di Cagliano Castelferrato, insistono i ruderi ad Mulino Nuovo, posto in contrada San Giorgio. Anche tra questi manufatti, già da alcuni anni ridotti a ruderi, i più evidenti e meglio conservati risultano i Mulini della Roccella ed il Mulino Grande. In particolare, i tre principali mulini, della Roccella, Grande e Mulinello, in origine erano azionati dalle acque di un unico canale che aveva inizio dalla parte alta del Fiume Cerami. Uno dei mulini della Roccella, denominato anche Mulino Marigreca (Mulinu Marareca) per via dell’omonimo vallone dal quale riceveva le acque, è ubicato sulla sponda sinistra del Fiume Cerami, a valle di contrada Cipolluzze, al confine tra i territori di Cerami e Capizzi . Esso raccoglieva in una vasca in terra battuta le acque provenienti dal torrente denominato, appunto, Vallone Marigreca. Di tale impianto resiste ancora la vasca di accumulo dell’acqua (uria o gièbbia), l’acquedotto ed un modesto fabbricato a due elevazioni. Il mulino, risalente al 1825, venne fatto funzionare ininterrottamente per centocinquant’anni, fino al 1975, anno della sua definitiva chiusura. La struttura si presterebbe ad essere riutilizzata per fini didattici. Il secondo mulino, più a valle e poco distante dal primo, viene denominato Mulino della Roccella (Mulinu ‘a Ruccedda). Alimentato direttamente dalle acque del Fiume Cerami per mezzo di una presa dalla quale si dipartiva un canale e, probabilmente, in un secondo tempo, dalle acque fuoruscite dal Mulino Marigreca, veniva azionato anche durante la stagione siccitosa. Il basamento di tale mulino, ben conservato e preservato, analogo in alcune parti strutturali al Mulino Santa Giara di Troina, può essere datato intorno al XIV-XV secolo; di esso resistono ancora, oltre al fabbricato, la vasca ed il lungo acquedotto, la cui parte terminale risulta simile ad una torre. Il Mulino Grande, è ubicato nei pressi della confluenza tra il Torrente Giammaiano ed il fiume Cerami, in località Oliveri, territorio di Cerami. L’impianto veniva azionato dalle acque provenienti dal Fiume Cerami; le planimetrie catastali mettono ancora oggi in evidenza un canale, della lunghezza di quasi due chilometri che si diparte dal predetto fiume, nei pressi della Roccella, costeggia la strada comunale della Rocca, fino ad immettersi nella vasca del mulino. L’acquedotto principale, visibile a distanza, sembra esprimere un senso di potenza e di distinzione; esso risulta unico nel suo genere per il territorio nel quale si inserisce. Infatti, la parte sommitale della torre, invece di essere a pianta quadrata, si presenta a cilindro; acquedotti così imponenti, riferibili alla stessa tipologia, sono presenti nella zona sud della provincia di Enna. In origine presentava tre macine, azionate rispettivamente da altrettante ruote ma, negli ultimi anni del suo funzionamento, fu ridotto ad un solo palmento. La prima macina si identifica col Mulino San Gaetano o Mulinu Supranu, il più grande; appartenuto al Principe Rosso di Cerami, prima che venisse trafugato in questi anni, presentava sul prospetto principale, sopra la porta d’ingresso, un rilievo con lo stemma della famiglia. Rimane ancora, sullo stipite della porta la data 1711, incisa a ricordo dei rimaneggiamenti sostanziali effettuati all’edificio in quel periodo. Sempre sul prospetto principale è presente una nicchia dove era allocata l’immagine di San Gaetano, dal quale il mulino prende il nome. Di tale mulino, che dovrebbe essere salvaguardato maggiormente, oltre alla vasca ed al maestoso acquedotto sono ancora visibili i locali di molitura, ben conservati, e le mole; infatti, l’impianto è rimasto in piena attività fino agli anni ’60 dello scorso secolo, gestito dai Mascerà, mugnai di generazione a Cerami. La seconda macina, appena più a valle rispetto alla prima, va identificata con il Mulino San Giuseppe o Mulinu Suttanu, che utilizzava le acque provenienti dal Mulino San Gaetano. Di questo secondo impianto resistono ancora i ruderi di un modesto acquedotto e la stanza di molitura, danneggiata negli ultimi decenni per dare spazio all’ampliamento della Strada Provinciale che conduce al centro abitato di Capizzi. Prospiciente a quest’ultima strada sono i resti di quella che doveva essere un’edicola sacra dedicata a San Giuseppe. Le acque accumulate nella grande vasca del primo mulino potevano azionare autonomamente lo stesso, quello sottostante, o ambedue contemporaneamente. Infine, la terza macina, ancora più a valle, era il cosiddetto Mulinazzu, palmento utilizzato per la molitura del sale e delle granaglie per i mangimi animali. L’impianto, oggi non più esistente, era azionato dalle acque fuoruscite dal secondo mulino. Seguono, più a valle, lungo la sponda sinistra del Fiume Cerami, i ruderi del Mulinello, dal quale prende il nome la località. Il nome Mulinello, dato a questo manufatto, si contrappone a quello dell’altro mulino denominato Grande. La presa dalla quale affluivano le acque del Fiume Cerami si trovava nei pressi del ponte nuovo, realizzato lungo la Strada Statale 120, anche se in origine l’impianto era azionato dalle acque di un canale che si dipartiva dal Mulino Grande. Per far sì che tali acque attraversassero il vallone denominato Fosso Molinelli, venne realizzato un ponticello in muratura con arco ogivato, tutt’ora esistente. L’opificio, secondo qualche autore, dovette servire in un secondo tempo anche alla lavorazione della canna da zucchero o cannamela, coltura introdotta probabilmente anche in questo territorio; una striscia di terreno pianeggiante, posta sulla sponda destra del fiume, nell’ambito di contrada Sciascia, quasi dirimpetto al Mulinello, viene ancora indicata col nome di Cannamele. E certo, comunque, che i mulini servirono anche per la stigliatura del lino e della canapa. L’ipotesi però più accreditata identificherebbe il Mulinello come paratore. Il Mulino Sant’Ambrosio, ubicato in contrada Casale, territorio di Nicosia, veniva denominato pure di Santa Agrippina o di Caféfera. Il mulino, dedicato a Sant’Ambrogio, patrono di Cerami, appartenne alla Chiesa Madre. Azionato anch’esso dalle acque diramate dalla fiumara di Cerami, si trovava ubicato nell’ambito del Feudo del Casale, alle foci del Torrente Spirim; feudo che, nella seconda meta del 700 era ancora di pertinenza della Mensa Vescovile di Patti. In una mappa del 700 relativa al feudo, si evince che il mulino e l’antistante stretto, venivano controllati da una torre, denominata di don Francesco La Valle o di Sajath. Un documento del 14 maggio 1778, conservato presso l’Archivio Storico di Troina mette in evidenza l’importanza di questo manufatto: …le usurpazioni fatte al Feudo del Casale sono in primo luogo nel Molino denominato di S. Ambroggio esistente in quei feudo, e di aver inteso dire, che il detto Molino, unitamente colle due terre aggregate fu un tempo possesso della Matrice Chiesa di Cerami, la quale ne pagava un’annua pensione alla Menza Vescovile di Patti il Molino di S. Ambroggio collaterale al Fiume di Cerami colla pianura di terre attorno a quel Molino, che oggi possiede il Barone di S. Agrippina [risulta] essere di pertinenza della Vescovile Menza di Patti per trovarsi nel compreso del Casale, il quale vien diviso dal Fogo di D. Maria dal Fiume di Cerami…. Il mulino pare che fosse stato costruito ex novo nel 1451 da un tal mastro Ruggero Cavalen di Nicosia, per conto del vescovo di Patti, e che concesso in enfiteusi dava un profitto elevato con un reddito netto di 10 once l’anno. Del Mulino Nuovo ubicato in località San Giorgio, agro di Cagliano Castelferrato, appena più distante dagli altri manufatti sopra descritti, si sa ben poco. Realizzato sulla sponda sinistra del Fiume Cerami è posto poco più a valle di contrada Caferferi. Per quest’ultimo motivo incerta rimane la localizzazione del già citato Mulino di Caféfera, contesa tra il Mulino Sant’Ambrogio e il Mulino Nuovo. Il mulino presenta un grande acquedotto la cui estremità viene evidenziata da una torre simile a quella riscontrata nei Mulino della Roccella. Non più esistenti ma ricordati ancora dalla tradizione orale sono altri due impianti; il Mulino San Giorgio, posto più a monte del citato Mulino Nuovo, ed il Mulino di Nardo, ubicato nell’omonima contrada, a valle di quest’ultimo, sempre lungo il corso del Fiume Cerami in territorio gaglianese. Infine, vengono menzionati altri due mulini, a ridotta capacità molitoria, denominati Mulinelli ubicati lungo il Torrente Giammaiano, detto anche Oliveri ed azionati dalle acque derivate dallo stesso torrente e dalle sorgenti del Giardino. La portata del Torrente Giammaiano risulta abbastanza cospicua se, in passato, riusciva a muovere le ruote di questi impianti, posti più a monte del Mulino Grande.

Nicola Schillaci

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