mercoledì , Dicembre 4 2024

Putij e putiara “à chiazza” di Enna

Enna-achiazzaEnna. Fino a qualche anno fa la sua voce inconfondibile si sentiva reboante tutte le mattine nella strada che gli ennesi chiamano “à chiazza” ma che nella toponomastica ufficiale è via Mercato Sant’Antonio. “La voce” era quella di Carmelo Castagna la cui “putija” di frutta e verdura si trovava di fronte la salsamenteria di Paolo Lavore, ora gestita dalla figlia Rita e dal genero signor Fernando Russo.

Fino a qualche tempo fa, le voci erano diecine: si accavallavano e s’intrecciavano l’una con l’altra per tutta la giornata. I banchi d’esposizione della merce in vendita erano sistemati a destra e a manca della strada, l’uno a fianco all’altro. Un’attività tramandatasi da padre in figlio, che iniziò nei primi anni del secolo scorso con il nonno don Carminiddrru.

E’ stato definito, il signor Castagna, l’ultimo “putiaru strillatore” di via Mercato S. Antonio.

In tempi non troppo lontani nel mercato “da chiazza” si poteva comprare di tutto. Ogni mattina, fino agli anni ‘70, gli abitanti di questa strada, sita nei pressi del Municipio, parallela alla Via Roma, erano svegliati molto presto: intorno alle ore sei d’estate, le sette d’inverno. Nessuno dei residenti si è mai lamentato del chiassoso vociare esistente in questa strada, dovuto al caratteristico mercato di frutta e verdura, pesce fresco o in salamoia, carni caprine e bovine fresche e di basso macello, generi alimentari e mercanzie d’ogni genere; un mercato, a “cielo aperto”, insomma, che “serviva” quasi tutta Enna in mancanza della grande distribuzione (super e ipermercati) e del “mercatino del martedì” di Piazza Europa, istituito qualche decennio fa.

Erano concentrati lì, “a’ chiazza”, quasi tutti gli operatori commerciali del settore: una folla di “putii” (botteghe) grandi e piccole con un’altrettanta folla di “putiara” (bottegai), tutti personaggi che ormai il tempo ha quasi rimosso dalla nostra memoria.

Dietro ”à chiazza”, (via S. Giuseppe, angolo via Candrilli) vi erano i locali adibiti a macelleria di basso macello e la pescheria. Trovavano posto anche i contadini i quali vendevano direttamente, “dal produttore al consumatore”: galli e galline legati alle zampe da spennare a casa; conigli in gabbia e pulcini da allevare in cortile; uova fresche di giornata; “finucchiddri” e “cicunieddrra” di campagna appena raccolta; “ficudìnij” (fichi d’India) sbucciate a vista, da consumare seduta stante. Anche i venditori ambulanti di pomate per i calli, occhiali da sole e da vista, mastice attaccatutto e mercanzia varia trovavano “ospitalità” in qualche angolo di questa caratteristica strada. Nelle traverse e stradine adiacenti (vie S. Giuseppe, S. Girolamo, Franco Longo e Candrilli) vi erano altri bottegai quali venditori di carbone, petrolio per lumi, candele stearine, acetilene, terraglia e vasellame vario. Vi erano anche: barbieri, calzolai, stagnini, falegnami; vinalora (rivenditori di vino): “Paluddru” il più noto (al secolo il Signor Barbusca); merciai e panettieri oltre che noti commercianti: d’olio (i fratelli Milazzo, Nino e Peppino); di cereali (Giuseppe Restivo).

Tutte attività che prendevano linfa (oggi lo chiameremmo indotto) dal “mercato da chiazza”, data la tanta gente che lo frequentava tutti i giorni e a tutte le ore. Vi era anche una locanda, la “Locanda Roma”, gestita dalla famiglia Murgano. Numerose le macellerie: le più caratteristiche quelle delle diverse famiglie Lo Giudice: “i gallaccio”,“i folisi”, “i bbersaglièra”, simpaticamente così “intesi” forse per distinguerli tra loro.

Quelli più avanti negli anni hanno ancora un buon ricordo del signor Turiddrru Murgano, allora titolare di una salsamenteria di fronte la chiesa dell’Addolarata, noto per la sua “passione” di organizzare annualmente le feste di “ù Signiuruzzu dù Lacu” e “da Madunnuzza dé Carusi”. A partire dal mese di giugno e per tutta l’estate, un altro Murgano, il signor Giuseppe, noto pescivendolo, accatastava diverse centinaia di angurie nei pressi della cancellata della chiesa, vendendole anche “a prova”: in tal caso praticava un sovrapprezzo.

“A’ punta à chiazza” – a destra per chi proveniva da piazza Municipio (“ù chianu dé casi ranni”) – vi era la bottega di generi alimentari gestita dalle signorine Nicosia, due bionde e prosperose ragazze, alle quali faceva “la guardia” il fratello Ciccino. In questa bottega, in passato, vi era un esercizio storico gestito da un caratteristico personaggio, don Sariddrru Bonsignuri, droghiere di grande notorietà. Oggi poche sono le botteghe aperte: è rimasta una rivendita di frutta e verdura (Valera); quattro macellai; due pescherie e pochi negozi d’alimentari. Com’è desolante vedere tante saracinesche abbassate, poca gente a tutte le ore ma, soprattutto, è triste veder scomparire tradizioni e modi di vivere legati a luoghi e persone che hanno segnato un’epoca.

Salvatore Presti

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