sabato , Luglio 27 2024

Gli altri

lavanda_piediEra il tempo dell’ipocrisia e della doppiezza, era l’epoca del si fa ma non si dice, era il momento dell’oggi nostalgico di ieri. Ordine e apparenza erano la “conditio sine qua non” delle brave persone: mamme e papà ortodossamente coniugate, zie e zii, nonne e nonni tutti attenti a mantenere il decoro e la rispettabilità. Abiti lindi, capelli curati, profumi e creme dall’olezzo nauseabondo; case ammobiliate con gusto, auto costose e appariscenti e poi borse d’ogni foggia e misura. Così acconciate le brave persone passeggiavano la domenica dopo la messa serale, scambiandosi saluti e sorrisi, stringendosi mani curate che si sporcavano di cose che gli altri non dovevano sapere, celebrando feste comandate, compleanni , processioni e la Cosa Pubblica. Tutti occupavano un posto in società. Lo stesso che non doveva essere modificato, mai. Il galantuomo faceva il galantuomo, il povero elemosinava la carità bastante alla sopravvivenza, ma non tale da fargli mutar di stato perché gli ultimi restassero gli ultimi e i primi fossero sempre irraggiungibili e la donna affiancava l’uomo suo, chiunque fosse e qualunque cosa facesse. L’ipocrisia regnava e il verbo suo dilagava. Tutti sapevano le colpe di tutti, ma nessuno ne proferiva parola. “che bravo ragazzo” “che persona a modo. Educata, generosa e poi come si veste bene…” Questo fino a che il peccato divenuto manifesto portava alla gogna. Così si usava allora. L’epifania era la colpa: il rispetto si nutriva di tenebra e l’onore altrui se ne alimentava. Era la dimensione sociale, era l’epopea della finzione, era la propensione al clamore. La gente poi… erano sempre gli altri: i sudditi della callistocrazia. Gli arroganti coi più deboli, gli zerbini coi potenti, i replicanti, quelli tutti uguali, così uguali che non si potevano distinguere gli uni dagli altri. Gli altri erano quelli che dicevano, quelli che avevano, quelli che vivevano col timore di sembrare poveri, ostentando e invidiando. Gli altri erano quelli che il sabato sera dopo la pizza con la famiglia andavano con le ragazzine, amiche delle figlie e figlie degli amici. Gli altri erano gli altri, da noi sempre. Quando poi capitava che qualcuna di quelle brave persone si rivelasse “ tinta” ma “tinta, tinta” si ricorreva alla mafia: il chiacchiericcio sussurrato sottovoce col suggello del “mi raccomando” prorompeva tuonando in mezzo alle brave persone che cominciavano a dire di moralità, giustizia ed equità. Dimenticando che il giorno prima avevano glorificato quei teddy boys pasoliniani: teppistelli di quarant’anni con la parlata sicura e lo sguardo fiero. Eroi delle cittadine borghesi, ammantati di perbenismo e bonomia. Eroi della brava gente, contestatrice di finocchi e mignotte, pronta a emarginare il diverso perché diversamente vestito o il povero che sudando per guadagnarsi il pane puzzava o la culona col pantalone scolorito o lo stempiato occhialuto o il bambino autistico emarginato dai genitori dei suoi compagnetti. Soloni pronti a celebrare i furbetti dal sorriso aperto e dalla pacca facile e a bandire i mischineddi. Era un tempo lontano, oggi è peggio….

Quando le giovani donne capiranno che la libertà non è il fantasma della libertà. La libertà è innanzitutto consapevolezza dei propri limiti. Coprire una tetta tonda e carnosa o non ostentare un deretano antigravitazionale può anche, al tempo della callistocrazia, equivalere a una forma di rispetto e libertà. Quando i giovani e i meno giovani uomini comprenderanno che la giusta equiparazione dei compiti e dei doveri non equivale a un attentato alla loro virilità. Quando? Oggi la sovrapposizione di stereotipi e pregiudizi ha portato all’accentuazione delle diversità e oggi diverso è il bambino autistico che i genitori dei suoi compagnetti di classe non vogliono, la mendicante all’angolo, la cicciona col culo fuori taglia, lo stempiato occhialuto, il papà malvestito o la mamma spettinata.

Gabriella Grasso

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