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Quando il colesterolo è una pesante eredità

colesteroloRoma – Circa 200.000 persone in Italia convivono con livelli elevati o elevatissimi di colesterolo LDL, non a causa di un’alimentazione disordinata e ricca di grassi, ma perché affette da Ipercolesterolemia Familiare, malattia genetica caratterizzata dall’incapacità dell’organismo di eliminare efficacemente dal sangue il colesterolo LDL.

A Roma, a margine del congresso della Società Italiana Studio Aterosclerosi (SISA) alcuni specialisti coinvolti nella gestione dell’Ipercolesterolemia Familiare hanno fatto il punto su questa patologia genetica molto diffusa ma poco conosciuta, sottodiagnosticata e sottotrattata: si stima che in Italia appena l’1% dei pazienti abbia ricevuto una diagnosi di Ipercolesterolemia Familiare (FH). Due le varianti della malattia, quella eterozigote (HeFH) molto più diffusa, e quella omozigote (HoFH), classificata tra le malattie rare, con una prevalenza di circa 1 caso su un milione di persone.

«L’Ipercolesterolemia Familiare è associata a un difetto a carico dei geni che regolano il recettore per le LDL, che non è sintetizzato correttamente, oppure manca del tutto» afferma Alberico L. Catapano, Presidente European Atherosclerosis Society (EAS), Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università di Milano. «Nei pazienti con FH, le LDL non seguono la via metabolica regolare: si scaricano nel sangue e, in parte, si accumulano nel fegato. I danni maggiori sono a carico della parete delle arterie, dove si formano presto placche aterosclerotiche imponenti, con conseguenze importanti e soprattutto precoci».

L’Ipercolesterolemia Familiare è una delle cause della malattia coronarica precoce soprattutto nella sua forma omozigote (HoFH), dove già alla nascita i livelli di LDL sono abnormi, attorno ai 600 mg/dl e crescono sino a raggiungere a volte valori di 1.000 mg/dl. Nella forma eterozigote, i livelli di LDL sono inferiori, tra 220 e 500 mg/dl, ma molto superiori a quelli considerati target.

«Entrambe le forme, eterozigote e omozigote, si manifestano in percentuali simili tra i due sessi e sono diffuse in modo omogeneo nel mondo» osserva Maurizio Averna, Direttore del Centro di Riferimento per la Regione Sicilia per la Prevenzione, Diagnosi e Cura delle Malattie Rare del Metabolismo. «La forma eterozigote si trasmette quando uno solo dei genitori è affetto sia dalla mutazione sia dalla malattia, mentre quella omozigote richiede che entrambi i genitori siano portatori della mutazione. Questo fattore è cruciale per capire come mai la forma eterozigote è così diffusa, si stima 1:500, mentre quella omozigote è presente in 1:1.000.000. È evidente inoltre che, nei gruppi di popolazione chiusi, dove ci si sposa tra consanguinei o stretti conoscenti, la prevalenza si concentra. Il caso da tutti citato è quello degli olandesi Afrikaaners del Sudafrica, ma anche in Italia sono presenti cluster riconosciuti».

Le conseguenze della FH e, ancor più, della HoFH, si manifestano presto e possono essere subito molto gravi: «L’aterosclerosi precoce e massiccia determina coronaropatia, angina e valvulopatia, con altissimo rischio di infarto» conferma Massimo Uguccioni, Direttore UOC Cardiologia UTIC 1, A.O. San Camillo-Forlanini di Roma. «Anche le carotidi sono coinvolte, con impennata del rischio cerebrovascolare. Di FH e ancor più di HoFH si muore troppo presto: poco dopo i 40 nella FH ed entro i 30 nella HoFH».

Quali sono i segnali di allarme? Una storia familiare di cardiovasculopatie precoci e morte improvvisa, colesterolemia superiore ai 310 mg/dl in un soggetto adulto o in un suo familiare; colesterolemia superiore ai 230 mg/dl in un bambino o in un suo familiare; xantomi (accumuli di grasso) tendinei nel soggetto o in un suo familiare; xantelasmi (accumuli di grasso ai lati delle palpebre). Tutti segnali da approfondire secondo criteri stabiliti e accettati a livello internazionale.

La diagnosi precoce è indispensabile, perché trattare questa patologia si deve e si può, confermano i clinici. La terapia ipocolesterolemizzante (con statine, ezetimibe, resine o fibrati) assicura buoni risultati nella maggior parte dei pazienti FH (ma non in alcune varianti particolari, come quella caratterizzata da eccesso di Lp(a) piccole), ma è insoddisfacente in chi soffre di HoFH. In questi casi bisogna ricorrere alla rimozione meccanica delle LDL, attraverso la tecnica della LDL-aferesi.

«L’aferesi è la rimozione selettiva dal plasma o dal sangue intero, delle lipoproteine – LDL, VLDL, Lp(a) – con metodiche chimico-fisiche o immunologiche» chiarisce Patrizia Accorsi, Direttore Servizio di Immunoematologia, Medicina Trasfusionale e Laboratorio di Ematologia, Ospedale di Pescara. «L’impiego è selettivo. Nei soggetti con HoFH è salvavita. Ma è indispensabile nei casi di FH che non rispondono, o rispondono in modo insufficiente, al trattamento medico convenzionale; nei pazienti FH che non tollerano la terapia in corso; in tutti coloro che hanno già subito un evento vascolare maggiore o un intervento di rivascolarizzazione; nelle varie forme di iperlipoproteinemia Lp(a)».

L’intervento va ripetuto a cadenze programmate, in genere ogni 10-14 giorni, il tempo medio per una nuova sintesi del colesterolo. Si tratta di un trattamento curativo in grado di assicurare un costante miglioramento e di ripristinare la sensibilità alla terapia farmacologica. Nel tempo la curva di innalzamento delle lipoproteine si abbassa, allungando l’intervento tra un’aferesi e l’altra, mentre gli effetti collaterali sono pochi e molto ben gestibili durante la seduta.

L’aferesi non è un procedimento semplice, anche se molto sicuro per il paziente. È anche costoso, perché deve essere mantenuto per tutta la vita. Sul versante farmacologico, del resto, la ricerca non si è mai fermata: lo scorso mese di luglio, l’EMA ha approvato una molecola per uso orale, lomitapide, indicata nei pazienti adulti affetti da HoFH, che inibisce selettivamente la MTP (Microsomal Transfer Protein), una proteina fondamentale per l’assemblaggio e la secrezione delle lipoproteine contenenti ApoB.

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