venerdì , Marzo 29 2024

Lettera al fu presidente

AlzheimerIllustrissimo signor Berlusconi vederla irretire i suoi sudditi catodici è stato per tanti, troppi anni, deplorevole. A lei, noi già miseri, dobbiamo un imbarbarimento dei modi e un discutibile mudus vivendi, appannaggio fino a qualche tempo addietro ai soli bonobo. Le è stato concesso tutto, l’ impunità morale prima ancora che giuridica. Sarebbe opportuno però che ora lei comprendesse il limite imposto dal buon senso al decoro e alla decenza di cui, temo che lei signor Berlusconi, ignori l’esistenza. Fare battute sulla perdita di memoria o paventare miracolose cure per il morbo di Alzheimer è ignobile e vile. Offende infatti e il malato e il parente che lo assiste e che per sua causa ne patisce. Il malato di Alzheimer non dimentica solo i nomi dei figli e dei nipoti, ma dimentica se stesso. Il malato di Alzheimer perde pezzi di sé, perde pezzo, pezzo la vita che si è costruito a fatica e il parente del malato: figlio, moglie o compagno è in questa lotta contro il nulla: solo. Solo contro lo Stato da lei impersonato. Solo contro il fastidio degli altri, i sani, solo contro il tempo che arretra. Ai familiari, di scherzare non va proprio, non hanno tempo di far battute sulle dimenticanze perché sono troppo presi dall’accudimento vero, quello fatto di pillole spesso sputate, di pannoloni da cambiare e di urli da sedare. Lei cosa ha fatto fino a ora di tutto questo, signor Berlusconi? Ha consolato un figlio orfano di un padre vivo? Ha accarezzato un uomo di sessant’anni con il cervello di un novant’enne? Ha pianto per una vita smarrita chissà dove? Ai familiari dei malati non viene spiegato cosa accadrà, non viene detto loro come accudire al meglio il malato né quali ricerche si stanno facendo per la nuova peste. I familiari si trovano caricati di un peso psicologico, emotivo, sociale ed economico enorme e al dolore di vedere il proprio caro morire giorno dopo giorno, alla fatica di assisterlo, si aggiunge pure la rabbia per una pessima battuta. Le anticipo qualche motivo di scherzo, qualora ne avesse ancora voglia: i malati non riconoscendosi più allo specchio spesso si mettono a discutere con quell’estraneo che il loro corpo vuoto. Giunti poi al terzo stadio della malattia, non parlano più e devono essere vestiti, lavati, imboccati e cambiati. Passano le lunghe e sempre uguali giornate dentro casa, facendo avanti e indietro per le stanze spogliate dei mobili, oggetto delle loro molteplici ossessioni. Sono vite dimenticate, sono prigionieri di un mostro che divora loro e chi gli sta vicino. Stia attento è un mostro ingordo, quello, potrebbe mordere anche lei. Stia sereno comunque se mai le toccasse a noi di ridere proprio non verrebbe.

Gabriella Grasso

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