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Otto marzo

donne pipìLeonforte omaggerà l’otto marzo in tanti e diversi modi: feste, pizze, pizze e spogliarello, silenzio. L’Università Popolare invece interessata com’è al “nostrano” ha pensato di festeggiare la donna, raccontando le donne leonfortesi. In occasione della data di cui sopra la professoressa Giovanna Maria parlerà del ruolo delle paesane ai tempi dei Branciforti e lo farà dianzi a loro. Al convento dei Cappuccini sono infatti sepolte le donne del principe e al convento dei Cappuccini si terrà l’incontro alle ore 19, mai luogo fu più indicato dunque. Era il tempo in cui “compito di una femmina non monacata era sposare, figliare, fare sposare le figlie, farle figliare, e fare in modo che le figlie sposate facciano figliare le loro figlie che a loro volta si sposino e figlino…” per le aristocratiche si aggiungeva pure l’impegno di “alleggerire le feste, gli incontri, le cene, programmando per dame e cavalieri momenti di chiacchiere e divertimenti frivoli”. Caterina, principessa e moglie di Nicolò Placido Branciforti, viene ricordata da Giovanni Fiume come bella, elegante, competente e discreta. Dionigi di Pietraperzia racconta che ogni gravidanza rappresentava per Caterina l’occasione per tornare dalla madre ed allontanarsi un po’ dal “troppo molesto” marito che però coinvolgeva la sposa nelle scelte urbanistiche e architettoniche della nascente Leonforte.
Nel libro di padre Filippo Rotolo “La Sicilia nella luce dell’Immacolata” si legge che, essendo Nicolò Placido Pretore a Palermo negli anni dell’epidemia di peste del 1624, la moglie Caterina con parole appassionate convinse lui e il Senato cittadino a ricorrere all’intercessione non solo di S. Rosalia, ma anche della Vergine Maria Immacolata il cui culto aveva appreso in gioventù dai Monaci Benedettini. Forte e discreta fu dunque la principessa mentre assai irosa fu la badessa, che ancora oggi tormenta gli orchestranti del Massimo. Di origini leonfortesi sarebbe infatti il fantasma palermitano che con la sua inquietante presenza rivendica il monastero delle Stimmate di San Francesco che alla fine dell’800 venne demolito per costruire il teatro Massimo, appunto. Leggenda, cuntu. Vero è invece il suggerimento che si legge in un documento del tempo: “CARISSIMA MIA FIGLIOLA…. ORA TI TRAGGO DAL MIO SENO ED ESCI FUORI DALLA SIGNORIA DEL TUO PADRE E ANDRANE AL TUO MARITO E SIGNORE ONDE NON SOLAMENTE GLI SARAI COMPAGNA MA SERVA E UBBIDIENTE …. È MOLTO CONVENIENTE CHE LA DONNA SAPPIA CONDISCENDERE AL PIACERE DEL SUO MARITO”.


Gabriella Grasso

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