I francesi sono a volte più eleganti di noi, almeno nel linguaggio, perciò non usano espressioni come “immigrato illegale”, “clandestino”, etc. ma il termine oggettivo di “sans papiers”, cioè senza documenti, senza carta d’identità.
L’argomento è complesso e certamente preferiamo la lettura musicale che ne ha fatto Manu Chao (per i meno progressisti, cantautore e chitarrista francese di origini spagnole) a quella di tanti opinionisti televisivi più o meno umanitari, più o meno intransigenti, più o meno leghisti, più o meno fascisti.
Ma non vogliamo parlarvi di questo ma solo introdurre la campagna elettorale ennese.
A scorrere l’intero tabellone non si trova un solo simbolo di partito, se si esclude quello del Movimento Cinque Stelle che non a caso rifiuta sdegnosamente l’appellativo di “partito”. A dire la verità, di simboli di partito ce n’è uno taroccato, made in China, ma lì la questione si fa complicata e spinosa e ve ne parleremo più avanti.
Quello che viene da chiedersi è: come è possibile? Tutte liste civiche come nei comuni più piccoli? Nessuno ha più un’identità? Nessuno si riconosce in una formazione nazionale o regionale che sia? nemmeno ex deputati ed ex assessori, ex consiglieri etc. etc.?
Si vergognano così tanto dell’attuale panorama politico o del loro passato?
Se andiamo a scorrere le liste, infatti, troveremo di tutto e di più ma non simboli ufficiali. Uno scambio di casacche e di schieramenti da fare invidia alla partita del cuore, Vecchie Glorie contro Resto del Mondo. Chi era a destra ora volge a sinistra, chi era alleato a favore ora è alleato contro.
Nemici storici nel vecchio centro destra diventano improvvisamente alleati tra loro e con i ribelli del vecchio centro sinistra. Ex comunisti, diventati nel tempo anti comunisti, si alleano con i neo progressisti e i veterodemocristiani in una lista decisamente di sinistra (ma non c’è nemmeno lì il simbolo di SEL o qualcosa di simile, come ad esempio “L’altra Enna con Tsipras”).
Ma a destra non c’era nemmeno uno straccio di leghista? Tra Maroni e Meloni, Fini e Salvini, non hanno trovato una rima o un semplice appiglio? Un Fratelli del Nord e del Sud unitevi? E del defunto PdL (Forza Italia prima e dopo) che ne hanno fatto? l’hanno venduto a Mr Bee come il Milan? La verità è che da molte parti non si potevano usare simboli noti perché non ce la facevano a fare la lista e soprattutto a giustificare alcuni arruolati dell’ultima ora e certe convergenze davvero imbarazzanti (e questo vale anche per il tanto chiacchierato NCD, alla fine anch’esso virtuale).
I simboli presentati, poi, gridano vendetta all’Italia di EXPO2015, al paese dei designer più famosi al mondo. Sono forse più adatti all’immagine che ha fatto all’Expo la Regione Siciliana dell’era Crocetta (a proposito neanche l’ombra di un megafono questa volta, segno che se ne sono accorti anche loro di quanto valga il grande Rosario…).
Il simbolo graficamente più decoroso è quello di Patto per Enna, anche perché una mano provvidenziale ha deciso di mettere il nome del Sindaco (anche se così assomiglia all’Italia dei Valori) al posto del motto originale che compare ancora qua e là: IO CI STO. Qual era il guaio? che c’era appresso alla O un bell’apostrofo galeotto: io ci sto’. Ma no! era un accento, dirà l’incauto disegnatore. Il buon vecchio Sgarbi a questo punto griderebbe: capra! ignorante e bestia! perché sulla prima persona singolare del presente indicativo del verbo stare non ci va né l’accento né tanto meno l’apostrofo e finiamola lì perché il nostro maestro delle elementari si sta rivoltando da qualche parte.
Negli altri simboli è un fiorire di torri e castelli più o meno stilizzati o naif e una continua sovrapposizione degli stessi nomi e cognomi in liste diverse, così che la confusione sia massima.
Simpatica e intuitiva l’immagine dell’altra città fiorita, certamente alternativa a quella che c’è oggi; una città a cui i candidati promotori avrebbero potuto dare negli ultimi anni miglior contributo, anziché stare sull’Aventino, dando ascolto ai loro cattivi maestri e ai loro improvvisati compagni di viaggio. Comunque questo rimane il simbolo più simpatico e diretto, anche se un po’ smorto nei colori, come l’atmosfera in cui la loro vicenda elettorale si è sviluppata (vedi l’ultimo Q di un altro Borghese: Un uomo chiamato cavallo parte III – la vendetta).
E veniamo al clou della serata. Il simbolo del PD. Perché il centro di tutta l’attenzione nazionale è stato questo benedetto simbolo, che ora c’è, ora non c’è, ma certo che c’è. Due vice segretari nazionali, Serracchiani e Guerini (fino a qualche mese fa anche lui “Guerini-chi?”), che forse non sanno nemmeno dov’è Enna, si sono uniti al coro più o meno belante dell’ovvio e del ritrito contro il “cattivone”.
Che lo facciano uomini locali, che vengano dal vecchio PCI o dal brigantaggio pietrino o dalla ormai defunta ex provincia regionale, ci sta tutta. Chi non ha vorrebbe avere; chi ha vorrebbe avere di più; chi sa non si dà pace, chi non sa finge di sapere. Tutto assolutamente normale, giustificato e giusto. Ma chi a Enna non ci ha mai messo piede cosa c’entra?
Il Mirello nazionale ha deciso per una via di mezzo: se il simbolo spetta al partito ennese (per parola del Segretario Regionale, mica cazzi), allora faccio a modo mio e vi schifìo. È inutile lamentarsi e gridare allo scandalo perché si tratta, né più né meno, di quello che fa giornalmente Renzi con la minoranza del PD.
Ma la sostanza qual era? C’erano novità giudiziarie dell’ultima ora per non volere Crisafulli candidato PD? Scoop straordinari di baci o abbracci compromettenti? No, solo la solita vecchia sceneggiata che altri (almeno i più onesti intellettualmente) hanno descritto molto meglio di quanto sapremmo fare noi, riportando testualmente il famoso colloquio con il mafioso, espressioni colorite comprese. Niente di niente, ma il sentito dire, il riferito, anche da un Pif qualsiasi, anche da un cartellone su ruote qualsiasi (ricordate cinque anni fa?) è rimasto un ritornello difficile da dimenticare e da riportare alla verità della cronaca.
Qual è stata allora la conclusione?
Crisafulli, o meglio il PD, poteva tirare la corda e insistere sul simbolo. Prima o poi, spinto dai tanti interessi veri o fasulli, anche il signor Segretario nazionale plenipotenziario avrebbe dovuto (suo malgrado, visti i casi di Salerno etc. etc.) intervenire. La via di mezzo è sembrata a tutti la più comoda. Non sarà elegante, ma fra tanti difetti non sarà questo il peggiore.
Crisafulli, grazie anche a questo trucco, a questo gioco di prestigio, finalmente è candidato a sindaco di Enna, e noi che amiamo questa città abbandonata ormai da anni, ne siamo contenti.
Q – G.L. Borghese
Q è la quindicesima lettera dell’alfabeto italiano e la diciassettesima di quello latino ed è l’unica lettera che nella nostra lingua non si può leggere da sola, se non accompagnata dalla “u”.
In questa ottica Q è una lettera “singolare”, nel senso di particolare, unica, e “plurale” nel senso che non può stare da sola.
Q è pure il titolo di un romanzo scritto da quattro autori sotto lo pseudonimo multiplo di Luther Blisset, e che si definiscono “nucleo di destabilizzatori del senso comune”.
Q è dunque “plurale” anche in un senso più ampio. Lascerà di volta in volta a voi lettori informatici il compito di completare ed interpretare, secondo la vostra libera scelta o inclinazione politica, le provocazioni che vi verranno proposte dall’autore, un ennese che da lontano ma puntualmente segue, attraverso internet, gli eventi che travagliano questa terra.
Q è “plurale” anche in un senso più ampio.