sabato , Luglio 27 2024

Momenti di lotta e conquiste dei minatori ennesi

Carusi_miniereDelle zolfare e della vita piena d’immensi e quasi inumani sacrifici dei minatori e dei suoi “carusi” ne parlavano i padri dei nostri padri e, ancora più indietro nei tempi, i nostri avi.
Un lavoro per un tozzo di pane che, giorno per giorno, aveva il sapore amaro di un duro sacrificio al limite della sopportazione umana e che, in ogni momento, si poteva vestire del doloroso nero colore della morte.
Nella provincia di Enna, così come ritengo in altri centri minerari della nostra isola, le zolfare costituivano, insieme all’agricoltura, le quasi uniche possibilità per racimolare un salario, che, se pur misero, serviva alla sopravvivenza materiale della famiglia rispetto al benessere di pochi eletti che si nutrivano e prosperavano col sangue dei loro simili senza avere il più minimo scrupolo e rimorso umano e cristiano.
I miei ricordi risalgono al 1947 quando, come caruso, a 12 anni, andai a lavorare alla miniera CAMIOLO-GERVASI che contava allora una trentina di addetti e, di questi, i due terzi erano i carusi; cioè coloro che trasportavano a spalla, dentro un sacco, il minerale estratto dai picconieri, facendo oltre 35 viaggi giornalieri dall’avanzamento al deposito, il che comportava mediamente dalle dieci alle dodici ore di lavoro.In quel tempo, nella provincia di Enna, le miniere (zolfare) esistenti erano oltre una ventina e vi lavoravano, complessivamente, 2.500 addetti circa.
Le più rilevanti dal punto di vista occupazionale erano:
La GIUMENTARO con circa 450 addetti – ENNA
La FLORISTELLA con circa 350 addetti – ENNA
La ZIMBALIO con circa 230 addetti – ASSORO
La SALINELLA con circa 200 addetti – ENNA
La BACCARATO con circa 200 addetti – AIDONE
La MUSALË con circa 170 addetti – PIETRAPERZIA
La PAGLIARELLO con circa 130 addetti – ENNA
La GASPA-LA TORRE con circa 130 addetti – ENNA
La VODI con circa 100 addetti – ASSORO
La GALATI con circa 100 addetti – BARRAFRANCA
La ROCCALUMERA-GARCIULLA con circa 80 addetti – VILLAROSA
La GIANCAGLIANO con circa 80 addetti – ASSORO
La GIUMENTARELLO con circa 50 addetti – ENNA
Altre miniere, che occupavano dai 10 -35 addetti circa, erano:
La CAMIOLO-GERVASI con circa 30 addetti – ENNA
La GALLIZZI con circa 20 addetti – VALGUARNERA
La GALIATO con circa 20 addetti – ENNA
La GERVASI con circa 20 addetti – ENNA
La SPRONE con circa 20 addetti – ENNA
La SEVERINO con circa 15 addetti – ENNA
La PIGNATO con circa 15 addetti – CALASCIBETTA
La ATTARDI con circa 15 addetti – CALASCIBETTA
La MUGLIA con circa 15 addetti – CENTURIPE
La PILERI con circa 15 addetti – ASSORO
La CANNARELLA con circa 15 addetti – ENNA
La GASPA S. DOMENICO con circa 15 addetti – VILLAROSA
La TAMBURELLA con circa 10 addetti – ENNA
Queste ultime venivano portate avanti con una conduzione di tipo familiare e, dati gli scarsi mezzi economici di cui disponevano i padroni, si registrava un maggiore aggravamento dell’ambiente di lavoro e della sicurezza.
troina_1950-minatori-ancipaNelle miniere più grandi, rispetto a quelle di entità minore, si poneva una maggiore attenzione all’ambiente di lavoro e alla sicurezza; tuttavia, anche in queste miniere, i padroni non si attenevano all’osservanza di quanto previsto dal regolamento di polizia mineraria pur in presenza di periodici controlli da parte del Corpo delle Miniere.
L’arretratezza delle attrezzature tecniche ed un ambiente di lavoro malsano causavano condizioni di lavoro quasi disumane e, in questo quadro, veniva fuori sopratutto, in tutta la sua tragicità, lo sfruttamento del lavoro minorile.
Questi “carusi”, quasi nudi e scalzi, con i loro visi pieni di polvere e spesso anche di pianto, lavoravano curvi sotto il peso dei sacchi pieni di minerale da trasportare; i loro occhioni erano tristi e sognanti a causa di un infanzia che trascorrevano sopratutto tra le tenebre e la voglia grande di voler vivere la loro età sotto il sole.
Dal punto di vista del salario vi era una grande inadeguatezza rispetto alle esigenze della vita poichè, quasi mai, venivano rispettate le paghe previste dalla legge.
Esistevano anche sperequazioni di trattamento salariale tra una miniera ed un’altra e, questa decisione, veniva determinata in base a criteri unilaterali di parte padronale.
Come pure, il ritardo nel pagamento del salario che, specialmente nelle piccole miniere, bisognava aspettare di “abbassare” (cioè di spedire il carico di zolfo), per potere ricevere le spettanze.
Queste situazioni e queste condizioni bisognava subirle per intero e in modo incondizionato, senza minimamente poter protestare, per non incorrere nel ricatto padronale del licenziamento.
Per quanto riguarda il trasporto del personale dalla miniera al paese di residenza, in quegli anni, non esisteva alcun mezzo.
minatori-4Di conseguenza, dovendo coprire distanze financo di oltre 20 chilometri e quasi sempre a piedi, si era costretti, dato il duro lavoro, a rimanere in miniera per una ed anche per due settimane; lontano dalle proprie famiglie che venivano raggiunte solo dopo questo lungo e non dignitoso periodo di forzata residenza in miniera.
Il lunedì mattino, per raggiungere la miniera e riprendere in orario il lavoro, bisognava alzarsi alle tre della notte e, una volta sul posto, anche se stanchi per la lunga strada percorsa, si doveva immediatamente scendere a lavorare in sottosuolo.
Di siffatta situazione complessiva della vita dei minatori, e specie delle condizioni ambientali di lavoro, si interessavano per primi gli stessi minatori che si riunivano nelle “LEGHE DEI ZOLFATARI” oppure, così come avveniva ad Enna, nella sezione del P.C.I. per mettere a confronto le proprie idee rispetto alle eventuali lotte da intraprendere per cercare di migliorare il proprio stato di vita ed il loro ambiente di lavoro.
Alcuni compagni, tra i più attivi politicamente, organizzavano in tal senso queste riunioni e molte volte era sufficiente esporre, il sabato, la bandiera del partito dal balcone della sezione per avvisare i minatori che la sera si sarebbe tenuta la riunione della categoria.
La partecipazione era totale, a testimonianza di una volontà e di un impegno politico teso a cercare di cambiare quell’incivile stato di cose, per migliorare la loro vita, quella dei loro figli e delle loro famiglie e per contribuire ad un cambiamento mirato ad una migliore giustizia per tutti i lavoratori e per tutti i cittadini.
Con la fine del fascismo le “Leghe dei Zolfatari” si rafforzarono e si costituirono anche nei più piccoli comuni dell’ennese.
Di conseguenza, prendeva sempre più reale consistenza l’idea e la possibilità di una maggiore e più incisiva lotta unitaria (minatori e popolazione) al fine di raggiungere anche più umani traguardi di avanzamento sociale.
Le grandi, epiche e tante volte lunghe lotte dei minatori della provincia di Enna, certamente si inseriscono nel quadro più complessivo delle lotte di tutti i minatori siciliani, delle loro donne e delle popolazioni dei centri minerari.
Il lungo sciopero del ’52, che durò ben 63 giorni consecutivi, iniziò con una grande manifestazione di tutti i minatori delle miniere della provincia di Enna, delle loro mogli e dei loro figli.
Bisognava immediatamente e con qualsiasi mezzo raggiungere Enna: questa era la parola d’ordine dei minatori!.
minatoriSi mobilitarono intere famiglie, partirono da ogni parte della provincia e tanti raggiunsero Enna anche con mezzi di fortuna.
Da Agira e Assoro, ancor prima che facesse giorno, i minatori, unitamente alle loro mogli ed alcuni dei loro bambini, passarono per prima dalle miniere di Zimbalio e Giancagliano per unirsi ai loro compagni che avevano effettuato il turno di notte.
Oltre 300 persone partirono a piedi per Enna che dalle miniere dista circa 35 chilometri; bisognava essere alla manifestazione a costo di qualsiasi sacrificio per lottare insieme ai loro compagni.
Verso mezzogiorno arrivarono quasi alle porte di Enna e precisamente al “Bivio Kamuth” quando furono bloccati dalla polizia dell’allora Ministro degli Interni Mario Scelba.
I minatori che si trovavano ad Enna furono avvertiti di ciò che stava accadendo ai loro compagni della Zimbalio e della Giancagliano e, in buona parte, si riversarono al “Belvedere” poichè da quel posto era possibile vederli e cercare di far giungere la loro voce.
Anche se da lontano, incominciarono a gridare tutta la loro solidarietà ai compagni e alle loro famiglie e tutta la loro rabbia nei confronti di chi calpestava e precludeva un diritto civile e democratico nella speranza di potere sbloccare quella inaudita ed inumana posizione assunta dalle forze dell’ordine nei confronti dei minatori, delle donne e dei bambini.
Al “Bivio Kamuth” i minatori della Zimbalio e Giancagliano cercarono di forzare il blocco delle forze dell’ordine per raggiungere Enna; purtroppo ogni tentativo risultò vano in quanto la polizia ebbe il barbaro coraggio di respingerli sferrando loro colpi di manganello e con la intimidazione delle armi.
I minatori non tornarono indietro; rimasero in quel posto con le loro mogli ed i loro bambini a soffrire la stanchezza ed anche la fame fino al tardo pomeriggio, a soffrire per non poter essere vicini ai loro compagni che manifestavano per il lavoro e per una vita più umana nel posto di lavoro.
minatori-2Ritornarono alle loro case solo quando la manifestazione ad Enna ebbe termine poichè, solo allora, la polizia decise di togliere il blocco e cos” poter dare la possibilità ai minatori di Enna di soccorrerli e procurare loro un mezzo per tornare nei loro paesi.
In quelle epiche giornate del ’52 furono arrestati alcuni minatori, dirigenti sindacali, i quali rimasero in carcere per oltre un mese.
Le ristrettezze economiche, in cui versavano in quel tempo i minatori, non impedì loro di aiutare con umana solidarietà i compagni che si trovavano in prigione e le loro famiglie.
Attraverso sottoscrizioni, garantivano agli stessi la possibilità economica per far fronte ai bisogni più basilari ed indispensabili della vita.
Da quelle lotte, desidero ricordare, si ottennero alcuni miglioramenti salariali giornalieri nella misura di L.150 per il picconiere e di L.130 per il manovale di miniera e l’impegno, da parte padronale, di attenersi a quanto previsto dalle leggi in merito all’ambiente di lavoro ed alla sicurezza.
Mi pare anche doveroso ricordare il senso di solidarietà dei contadini e dei commercianti che, oltre ad unirsi alle lotte ed alle manifestazioni dei minatori, li aiutavano in modo tangibile concedendo loro, a credito incondizionato, prodotti e merci essenziali al fabbisogno quotidiano.
Questa fiducia veniva sempre ripagata dall’onestà e dalla puntualità dei minatori, i quali, ripreso il lavoro, pagavano non appena percepivano il primo salario.
Le lotte e le manifestazioni dei minatori ennesi, rispetto alle intransigenti posizioni padronali, riprendevano ogni qualvolta la necessità l’imponeva per cercare di ottenere un minimo di aumento salariale, il miglioramento dell’ambiente di lavoro e, per quanto possibile, la salvaguardia del posto di lavoro.
Tra le tante lotte, per la salvaguardia del posto di lavoro, va ricordata quella dei minatori della miniera Giumentaro che, nel giugno del ’59, decisero per l’occupazione della miniera.
minatori-3Quella decisione fu assunta in quanto subentrava una nuova società: la SAGIS, che venne costituita dagli eredi Crescimanno (proprietari del feudo Giumentaro – Capodarso), che sostituiva la gestione Scalia, durata ben 99 anni, per fine contratto di sfruttamento del sottosuolo.
In quel passaggio di gestione la SAGIS aveva deciso di licenziare tutti i dipendenti per poi, in modo unilaterale, decidere chi e quanti di questi sarebbero stati riassunti in seno alla nuova società.
Fu uno sciopero che durò per oltre un mese.
I minatori tutti, giorno e notte, passavano le loro giornate nelle viscere della terra (sottosuolo), mentre le loro famiglie si alternavano durante il giorno a portare in miniera i pasti per i loro mariti, per i loro figli, per i loro fratelli e se ne stavano, per l’intera giornata, nel piazzale della miniera fino a quando non arrivava il mezzo di trasporto per il cambio dei turni.
Trascorso oltre un mese di sciopero i minatori decisero per l’autogestione della miniera che, dagli stessi, fu gestita per circa due settimane quando, finalmente, si sbloccò la vertenza e si pervenne tra sindacato e SAGIS ad un accordo che prevedeva, in contemporanea, il licenziamento e la riassunzione di tutti i dipendenti e la corresponsione della liquidazione di fine rapporto , maturata a quella data, dai lavoratori nella gestione Scalia.
Così si ottenne, altresì, di non far passare l’obiettivo della società che voleva sopratutto “liquidare” il gruppo sindacale della miniera.
mmangioneVa ricordato anche che il giorno 2 Luglio, ricorrendo “la Festa della Madonna” patrona della città di Enna e del popolo ennese, essendo i minatori ancora in sciopero gli stessi trascorsero, unitamente alle loro famiglie, questa grande giornata di fede e di festa in miniera.
Fu una giornata particolare rispetto a quei giorni difficili ed amari; le donne fecero tutto quanto era possibile per preparare un pasto festivo; i minatori, solo per quel giorno, salirono dal sottosuolo e nel pomeriggio si improvvisarono perfino delle danze.
In questo contesto, la mente ed il cuore dei propri familiari si rivolgevano alla Madonna affinchè anche per loro e per i propri figli si determinasse un futuro migliore.
Dal racconto di Mario Mangione (nella foto)


LA GERARCHIA IN MINIERA
Minatore
Il lavoro nelle miniere di zolfo era piuttosto faticoso e richiedeva diversi tipi di lavoratori: pirriatura, carusi, carritteri, arditura, capimastri.
I picconieri spaccavano il minerale, i carusi lo trasportavano, a spalla, all’esterno.
I carusi cantavano
Chistu viaggiu è di la Madonna
Lu capu mastru sutta la colonna.
Carusu:
giovinetto dagli otto ai quattordici anni,addetto al trasporto a spalla, sia in galleriache sul piazzale, del materiale scavato. I carusi utilizzavano o un canestro, lo stirraturi di circa 15/20 kg o i sacchi da 20/25 kg. Il loro turno sul “calature”, le gallerie di accesso in miniera, duravano almeno dieci ore.
La giornata lavorativa era divisa in nove tagliate, turni, ognuna delle quali doveva contare cinquanta viaggi, ad occhio e croce circa 450 viaggi al giorno (22-25 km al giorno). I carusi erano presi in affitto dalle famiglie meno abbienti, a queste il partitane o il picconiere dava una piccola somma di anticipo detta”soccorso morto”. Il caruso sarebbe stato liberato solo quando con il suo lavoro avrebbe scontato l’anticipo del soccorso morto. Moltissime volte la vera libertà del caruso veniva sancita dalla chiamata alla leva.
Pirriaturi
Il picconiere rappresentava il fulcro dell’attività estrattiva e viveva la sua giornata “la fronte” di coltivazione. Era coadiuvato dal manovale, addetto al riempimento dei sacchi o degli “stirraturi”.
Vagunaru
Nella maggiori miniere, soprattutto dalla fine del XIX secolo,le gallerie venivano scavate in orizzontale o su leggeri piani obliqui ed in esse venivano create delle vie a binario per l’uso di vagoncini. “U vagunaru” appunto.
Armaturi
Le gallerie venivano puntellate con armature in legno costruite e controllate periodicamente da addetti specializzati detti “armatura”.
Partitanti
Colui che sovrintendeva al riempimento del forno di fusione. Inizialmente piccoli forni circolari dette “Calcarelle” poi, a partire dalla metà del XIX secolo grandi forni circolari capaci di contenere sino a 200 metri cubi di materiale solfifero grezzo, i “Carcaruna”, infine i forni “Gill”, più piccoli ma molto più efficienti e capaci di condividere il calore tra loro.
Inchituri
Addetto al riempimento del forno ed alla sua copertura a cono, in genere aiutato da carusi.
Scarcaturi
Addetto allo svuotamento dei forni ad esaurimento del ciclo di fusione ed al deposito dei rosticci, le scorie, nelle grandi discariche dette “ginisara” che ancora oggi sono, con il loro colore rosato, una caratteristica paesaggistica saliente delle aree minerarie.
Ardituri
La figura specializzata nel governo del forno, dall’accensione all’apertura della bocca di fuoriuscita del fiotto di zolfo fuso, ” u pirtusu da morti”. Gli orditura, provvedevano anche al riempimento delle forme, “gavita” ed al loro raffreddamento con la produzione delle “valate” poi accatastate in attesa della vendita o del trasporto agli stabilimenti.
Capu masciu
Il sovrintendente al lavoro dell’intera miniera, nelle miniere minori coincideva con il proprietario o il gabbelloto, nelle maggiori i capi masci potevano essere diretti da un perito minerario o da un ingegnere minerario.
Picconiere
Pirriatura lavoravano nelle cave di pietra e di zolfo per estarre i minerali che in seguito erano trasformati e utilizzati.
Lavoravano con i picconi, soprattutto nelle miniere di zolfo l’attività era poco sicura e l’aria che si respirava era malsana.


La vita nelle zolfare
( Dalla Sicilia illustrata,nella storia, nell’arte. Gustavo Chiesi. Ed. Sonzogno 1898)
Chi non ha visitato le zolfare di Sicilia, in provincia di Girgenti e di Caltanissetta, o di Catania; chi non è disceso nelle miniere e non ha vissuto, se non per un giorno, almeno per qualche ora, la vita di quella singolare popolazione formicolante in quelle caverne a centinaia e centinaia di metri sotto terra; respiranti di un’ aria che non è più aria, ma un miscuglio d’aria e delle più fetide emanazioni; chi non ha sentito il rantolo affannoso, incessante dei carusi, portanti su per le scale ripide, lubriche, scivolanti, franose, fra i meandri angusti, oscuri, le some del minerale, all’aperto; chi non ha visto, in una parola, cos’è la vita umana in quelle bolgie, quasi infernali, che sono le zolfare, non può farsene un’idea. … Nelle miniere in piena attività, le gallerie, le scalinate si inoltrano per centinaia e centinaia di metri sotto terra, … ve ne hanno di quelle di cinquecento, di seicento e più gradini… non si può procedere senza la lampada … con un lucignolo mandante una fiammella rossa, incerta, fumosa e fetente, per la qualità infima dell’olio che vi si abbrucia. Lungo queste gallerie e scalinate chi discende incontra la fila continua dei carusi – ragazzi dai dieci ai dodici ai quindici anni al più- ( in verità ci sono anziani a Villarosa che raccontano di loro stessi a sette, otto anni già in miniera), i quali con la lampada nauseabonda in una mano, e coll’altra tenendo il carico di minerale, in sacchi di tela o in sporte di giunco, curvi sotto quel peso salgono faticosamente, mandando ad ogni gradino, col respiro affannoso, un gemito, un rantolo penoso, che a chi lo intende e non v’è abituato, produce al cuore una ben triste sensazione. Durante la salita verso l’esterno il caruso, ogni tanto e per non più di qualche secondo, si ferma ; dopo quell’istante di riposo – non possono fermarsi di più poiché farebbero arrestare la fila dei compagni che li seguono- il povero caruso si rimette in marcia grondante di sudore che gli stilla da ogni parte dell’ignudo, quanto sudicio corpicciuolo, esile, gramo, per la povera insufficiente nutrizione, deformato, ben di sovente nella estetica delle linee dalle continue fatiche,… hanno gambe sbilenche o stranamente arcuate od a linee divergenti a x; hanno ginocchi d’una grossezza e d’una rotondità anormali,… altri hanno la spina dorsale irreparabilmente curvata, … hanno le spalle fuori squadra… . I carusi dipendono direttamente dal picconiere o maestro cavatore: questi deve averne a sua disposizione non meno di quattro. E’ lui che li assolda, per non dire li compra, pagando un tanto alle loro famiglie,( sull’argomento leggasi il racconto di Vincenzo De Simone ” Patuni” ),è lui che ne ha la sorveglianza la cura ed il mantenimento ( questa pratica veniva chiamata ” del soccorso morto”). L’abbiamo visto il mantenimento di questi carusi . Un pezzo di pane di mistura segalino, al mattino ed al mezzodì, senza condimento di sorta: tanto che per poterlo trangugiare, quei poveretti lo intingono- lo abbiamo visto noi- nel fetido olio delle loro lampade. Alla sera, una scodella di pasta condita con un po’ di olio e di succo di pomodoro, quando c’è, ed eccovi il nutrimento del caruso per tutto l’anno. Il picconiere essendo pagato a produzione, lo sfruttamento dei carusi non potrebbe essere più completo e raffinato; … in media debbono portare dall’interno della miniera all’esterno, ventiquattro carichi al giorno. Pensando che le gallerie di produzione distano di sovente parecchie centinaia di metri dall’uscita delle miniere; pensando che talvolta per raggiungere quell’uscita debbono salire gradinate tubiformi di qualche migliaio di gradini, sconnessi irti, pungenti e viscidi per le infiltrazioni dell’acqua zolforosa e per la sporcizia, con un carico di mezzo quintale di minerale sulle spalle, si ha tutto il programma della vita infelicissima dei carusi nelle miniere di zolfo siciliane… il picconiere …scava, scava continuamente, scava sempre, gli anditi, i meandri intersecantisi in mille guise sotto la montagna; egli non vede durante la settimana, mai o quasi mai la luce del giorno. Sta dodici ore nelle miniere … e l’anno non ha per lui che una sessantina di giornate: le giornate di festa e di riposo; per il rimanente è sempre tenebre.

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