Il Papa ha firmato il documento, ancora inedito, che tira le conclusioni dei due Sinodi sulla famiglia: una «esortazione apostolica» di circa 200 pagine, che indicherà alcune «scelte coraggiose» che la comunità cattolica deve compiere per reagire alla crisi della famiglia. Sarà pubblicata a metà aprile.
Le indiscrezioni prevedono un testo senza affermazioni clamorose, dottrinali o giuridiche, ma con molte scelte pratiche innovative per quanto riguarda la preparazione al matrimonio e le coppie in situazioni irregolari: non solo i divorziati risposati ma anche le coppie di fatto, quelle composte da un credente e da un non credente, quelle che sono sposate solo civilmente.
Ci saranno indicazioni sul ruolo che queste coppie possono avere nella comunità e a quali condizioni possono essere ammesse ai sacramenti. I ruoli per chi non è in regola ma riconosce la propria irregolarità e desidera essere attivo – poniamo – nella vita di una parrocchia sono molti: catechisti, animatori di associazioni o gruppi, lettori nella liturgia, padrini ai battesimi e alle cresime, testimoni nei matrimoni. Attività che oggi sono per loro proibite o scoraggiate.
Quanto all’ ammissione ai sacramenti si esclude che il Papa detti una regola generale di «apertura» agli irregolari, ma si prevede che dia indicazioni su come procedere nel decidere caso per caso, secondo il cammino di «penitenza» compiuto, una volta provata l’impossibilità di correggere la situazione che si è venuta a creare con la nuova unione: per esempio, ci sono nuovi figli e sarebbe un dramma abbandonare il nuovo partner.
Si prevede che il Papa su questa frontiera delle situazioni difficili assegnerà un forte ruolo ai singoli vescovi, come del resto ha già fatto con la riforma del processo matrimoniale, nel settembre scorso. Per i processi di riconoscimento della «nullità» del primo matrimonio ha stabilito che il vescovo sia «giudice unico» chiamato a decidere, sia demandando i casi a un tribunale di sua nomina, sia trattandoli in prima persona. Ci si attende un ruolo analogo dato ai vescovi per la valutazione delle «irregolarità» matrimoniali.
Parlando in aereo con i giornalisti di rientro dal Messico, il 18 febbraio, Francesco ha detto: «La parola chiave che ha usato il Sinodo – e io la riprenderò – è “integrare” nella vita della Chiesa le famiglie ferite, le famiglie di risposati». E ha poi spiegato che quell’ integrazione può avvenire per tante vie e che la meta può anche essere la riammissione ai sacramenti, ma prima c’ è la necessità di integrarle nelle attività caritative e nei vari servizi che vengono svolti nella comunità.
«Integrare nella Chiesa – ha detto ancora Francesco in quell’ occasione – non significa “fare la comunione”, perché io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa una volta l’ anno, due, [e dicono]: “Ma io voglio fare la comunione”, come se la comunione fosse un’ onorificenza. È un lavoro di integrazione, tutte le porte sono aperte ma non si può dire: d’ ora in poi possono fare la comunione». Non ci saranno sanatorie ma neanche sbarramenti, perché il «lavoro di integrazione», ha detto in aereo, può anche portare alla comunione: «Se c’ è qualcosa di più, il Signore lo dirà a loro, ma è un cammino, è una strada».
La possibilità di una riammissione decisa dal confessore in casi particolari e senza eco pubblica era già riconosciuta e il passo in avanti su questa frontiera sarà nel ruolo del vescovo: non solo il confessore – d’ ora in poi – ma anche il vescovo potrà dire la sua, e potrà dirla in aiuto al confessore, se interpellato, o di propria iniziativa.
Luigi Accattoli per il “Corriere della Sera”
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