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Violenza politica: differenze e tratti comuni tra quella di oggi e l’altra degli anni ‘70

Al giornalista che, nell’intervista comparsa ieri su “la Repubblica”, gli chiedeva se le diverse manifestazioni si questi giorni sono il segno di un ritorno al clima degli anni ’70, il presidente Gentiloni dava una risposta di una genericità disarmante: sono azioni di minoranze estremiste e violente. Gli anni ’70 sono rievocati nei commenti sugli ultimi episodi di cronaca con i quali vengono messi a confronto. E’ una comparazione suggestiva, ma spesso si sottovalutano le differenze tra epoche e fenomeni diversi. Gli anni del decennio 1970 – 1980 sono gli anni di piombo, dello stragismo neofascista manovrato dai settori deviati dei servizi segreti e dell’apparato statale, del terrorismo delle Brigate Rosse e dei movimenti di massa ispirati a ideologie rivoluzionarie di matrice marxista rivolte al futuro, che avevano conquistato una parte consistente dei giovani di allora. Ci furono, in quel decennio, scontri con la polizia, aggressioni, coltellate, violenze verbali e fisiche. Erano anche gli anni della straordinaria espansione dello stato sociale, che aveva aperto le porte all’istruzione superiore ed universitaria agli strati sociali, che ne erano stati sistematicamente esclusi. Furono anche gli anni della conquista dei diritti civili (divorzio, aborto e nuovo diritto di famiglia) e di un avanzamento di tutta la società italiana verso moderni standard di vita e migliori condizioni economiche e sociali. Certo, verso la fine di quel decennio si manifestarono le avvisaglie di una virulenta reazione neoliberista, che avrebbe dispiegato il suo potenziale distruttivo nei decenni successivi, non sufficientemente contrastata dai partiti e movimenti di sinistra. In quel lontano decennio, si poteva guardare al futuro con un certo ottimismo. Non è così negli anni che stiamo vivendo. Oggi gran parte della società italiana è precipitata in condizioni di precarietà esistenziale e lavorativa. Da anni assistiamo all’impoverimento del ceto medio, che – come ricorda Marco Revelli, docente di Scienza politica, nell’intervista rilasciata a “Il Fatto Quotidiano” del 22 febbraio – “è stato il bacino di coltura di processi di fascistizzazione profonda delle società”. Per Revelli, la situazione di oggi è diversa, ma per certi versi più preoccupante rispetto ai durissimi scontri degli anni ’70, che registrarono un numero impressionante di vittime: “L’aggressività mostrata da alcune minoranze rischia di saldarsi a un sentimento di frustrazione molto ampio: un innesto potenzialmente esplosivo”. Delle differenze tra gli anni ’70 e il periodo che stiamo vivendo, due mi sembrano meritevoli di grande attenzione: l’immigrazione, oggi, che allora non c’era, e il mutamento della comunicazione sociale attraverso internet. Di fronte all’immigrazione, non sono pochi quelli che, dichiarandosi fascisti o nazisti, pensano a soluzioni di tipo fascista. Aggressioni verbali e insulti c’erano allora e ci sono oggi. Allora non c‘era internet, che invece c’è oggi. Internet è uno strumento rapido e pervasivo di comunicazione che ha enormi possibilità di ascolto. E’ uno strumento, con una forte carica di suggestione imitativa, che dà a molti naviganti la sensazione di poterlo utilizzare senza avere alcuna responsabilità per quello che si lancia in rete. Internet aggrava in maniera sensibile le conseguenze dei messaggi violenti e razzistici immessi in rete.

Silvano Privitera

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