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Le primarie del Pd, un rituale già visto e inadatto ad affrontare i problemi veri di un partito

Ha senso scrivere delle primarie del Pd? Non è domanda peregrina a sentire quello che vanno dicendo i tre candidati alla segreteria nazionale e a vedere come si stanno svolgendo nelle realtà locali. ”Tre uomini e un fantasma”, titola ‘L’Espresso’ di questa settimana uno degli articoli dedicati alle primarie del Pd. Dei tre candidati alla carica di segretario, Zingaretti è quello che ha le idee più chiare su come tirare il Pd dalle secche in cui è rimasto incagliato dalle elezioni politiche del 4 marzo dello scorso anno: operare una rottura radicale con il renzismo. Martina ci tiene a precisare che i suoi avversari non sono Zingaretti e Giachetti e ne indica tanti altri, tutti esterni al Pd, da farne un lungo elenco, talmente lungo da suscitare la simpatica battuta di delegato napoletano all’assemblea nazionale del Pd: “A Martina, con tutti questi avversari come facciamo a tornare a vincere?”. Sullo scialbo e patetico epigono del renzismo, Giachetti, l’equivalente in politica di quello che in fisica si chiama vuoto, è meglio stendere un velo pietoso.
Stiamo assistendo a un rituale già visto e, per molti aspetti, noioso e probabilmente anche inutile perché sul Pd si sono aggrovigliati tanti di quei complessi problemi che non sono alla portata delle primarie. Dietro le primarie, che hanno sostituito il congresso, c’è una concezione di partito personale e di democrazia plebiscitaria. Proviamo a riassumerli questi complessi problemi, che possono essere discussi e avviati a soluzione solo con un congresso vero, che il Pd non ha mai fatto. Non c’è ancora una dignitosa e plausibile spiegazione delle sconfitte inanellate dal referendum sulle riforme costituzionali del 2016 alle elezioni politiche del 2018. Non c’è stato nessun dibattito né al centro né alla periferia del Pd. Non c’è stata una campagna di ascolto della società e di coinvolgimento di soggetti esterni al Pd per cercare di capire quello che è accaduto nella società italiana. Giusta l’osservazione di chi sostiene che “il partito, dopo la disastrosa esperienza della leadership di Renzi, risulta un corpo morto e svuotato di ogni energia vitale, intellettuale e collettiva”. Se vuole uscire dall’irrilevanza in cui renzismo l’ha relegato, il Pd deve fare una seria discussione sulle scelte strategie politiche e sulla linea politica da adottare, che non può essere quelle di comprare il pop corn e aspettare per vedere come andrà a finire la partita che stanno giocando la Lega e il M5S. Una politica, quella del pop corn, che spinto il M5S nell’abbraccio con la Lega, che rischia di stritolare i grillini, e condannato il Pd all’insignificanza. A Zingaretti, che tutti i sondaggi danno per vincitore, appena sarà eletto segretario, spetterà un compito immane: ricostruire un partito, una cultura e un’organizzazione.

Silvano Privitera

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