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SIAM TUTTI VITTIME

Ogni giorno, tra giornali e telegiornali, sembra sempre più montare una nuova moda: quella del vittimismo. L’ultima ai danni del noto attore Checco Zalone che nel trailer promo del suo nuovo film ha ricevuto accuse di essere un razzista nei confronti dei neri. Tempo fa, con una recente risoluzione dell’UE in cui veniva equiparato Nazismo e Comunismo, apriti cielo con l’Anpi che si è sentita vittima. L’astensione in Parlamento della Commissione Segre? È stato un vile attacco di matrice fascista! E giustamente, poi, il 25 Novembre tutti a tingerci di rosso per la giornata contro la violenza sulla donna. Sono quattro esempi, ma potremmo citarne ancora, di un vittimismo che nasce in totale malafede (oppure si è troppo ingenui) sol per far notizia. Zalone razzista? No! È un maestro della satira e non si comprende come mai, anche all’interno di uno spirito di integrazione, non si possa prender di mira con la satira un immigrato come si prende di mira un qualunque politico (forse il vero razzista è chi non vuol toccare gli immigrati, confinandoli ad “essere intoccabili”, espressione che difficilmente ha avuto un significato positivo). Nazismo e Comunismo non sono uguali? Le vittime di Auschwitz sono forse più importanti delle vittime delle foibe e dei gulag? O della Strage di Oderzo? Non siam certo noi a stabilirlo con una risoluzione (e i poveri morti staranno tutti insieme sia quelli “rossi” che “neri” a ridere di queste miserie umane nostre) perché a stabilirlo, in quei tragici tempi, furono le lacrime versate da loro e dai parenti. Lacrime uguali sia per gli uni che per gli altri.
Non è un attacco fascista l’astensione in Parlamento della Commissione Segre, ma nella dialettica parlamentare (chi è democratico e conosce un po’ la storia sa bene quando sono state raggiunte le unanimità e in che modo) se qualcosa non convince bisogna discuterne. E lo si spiega con un semplice esempio: tutti vorremmo vivere 120 anni, ma sicuramente tra vivere 120 anni tra atroci sofferenze e viverne 60 in piena salute c’è chi (come me) preferisce la seconda alla prima (e non penso di essere un folle suicida che non capisce niente della vita). Ma il clou è la data del 25 Novembre, come quella del 27 gennaio, come quella del 10 febbraio, come quella dell’8 marzo. Tutti femministi, contro la violenza sulle donne, tutti pro ricordo di Auschwitz, pro ricordo di foibe quasi fossero squadre di calcio. Stiam parlando di morti che di queste date non se ne fanno nulla e che avrebbero di gran lunga preferito che non venissero create semplicemente perché non dovevano succedere quelle cose che oggi ricordiamo. Quelle date servono alla nostra ipocrisia, in un collettivo lavaggio della coscienza che, con la leggerezza del “compitino fatto” già dall’indomani ci comportiamo peggio di come si comportò chi si rese artefice di quei massacri. Perché fare gli auguri ad una donna per l’8 marzo o piangerla per il 25 Novembre non è un vanto ma una vergogna, perché abbiamo bisogno di date per ricordarci quanto è meschina la razza umana e quindi (provare ad) essere virtuosi.
Provare ad essere virtuosi tutto l’anno è, invece, troppo complicato.

Alain Calò

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