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Compreso il meccanismo base del carcinoma ovarico invasivo

Nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato, le cellule tumorali mostrano una propensione a formare metastasi in alcuni organi intraperitoneali – in particolare l’omento – inizialmente aderendo e attraversando le cellule mesoteliali e, successivamente, invadendo e colonizzando nuovi tessuti. Identificare i potenziali nodi di vulnerabilità nelle interazioni tra le proteine coinvolte in questi processi è fondamentale non solo per capire come le cellule tumorali diventano più aggressive, ma anche per identificare possibili bersagli molecolari al fine di bloccare il processo metastatico. I risultati pubblicati sulla rivista Cell Reports di uno studio del gruppo di ricerca diretto da Laura Rosanò, dell’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm) di Roma, fanno un importante passo in questa direzione.

“In questi processi, le cellule tumorali formano protrusioni invasive, chiamate invadopodi, attraverso cambiamenti dinamici e coordinati del proprio citoscheletro di actina, e la secrezione di enzimi che degradano la matrice extracellulare”, spiega Laura Rosanò. “Con la nostra ricerca abbiamo identificato una nuova via di segnalazione che comprende diverse proteine che agiscono a staffetta: la segnalazione, guidata dal recettore A dell’endotelina, coinvolge le proteine b-arrestina1 e ILK; quest’ultima, a sua volta, attiva a cascata un’altra proteina segnale, la GTPasi Rac3, favorendo l’attivazione dell’invadopodio. Inoltre i nuovi dati chiariscono per la prima volta il ruolo di queste molecole nella formazione di interazioni fra le cellule tumorali e le cellule mesoteliali per aggirare la barriera mesoteliale e sostenere l’invasione mediata dagli invadopodi”.

Lo studio – realizzato con il sostegno di AIRC in collaborazione con gruppi di ricerca di Istituto Regina Elena di Roma, Istituto Superiore di Sanità e Campus Biomedico di Roma – apre anche interessanti prospettive applicative. “Questi risultati indicano inoltre nuovi potenziali terapeutici per il principio attivo farmacologico ambrisentan, un antagonista del recettore A già approvato per il trattamento dell’ipertensione polmonare. Ambrisentan potrebbe essere riutilizzato in queste pazienti per interferire con il processo a cascata prima descritto e limitare il potenziale metastatico delle cellule tumorali”, conclude Rosanò. “La ricerca ha infatti dimostrato, in cellule in coltura e animali di laboratorio, che ambrisentan è efficace nell’inibire sia l’adesione agli organi intraperitoneali che la diffusione delle cellule tumorali”. Studi clinici con i pazienti saranno necessari per confermare questi risultati della ricerca.

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