giovedì , Dicembre 26 2024

Viva la mascherina (e il distanziamento)

Premessa: sappiamo bene che questo articolo, se ci si ferma solo al titolo (cosa che avviene abbastanza di frequente) porterà ad una serie di invettive. Se lo si leggerà per intero le invettive potrebbero essere effettuate con triplo salto carpiato.

Fatta la dovuta premessa, in questi giorni (ma più o meno da tutto il periodo pandemico) un ampio dibattito è emerso sull’uso delle mascherine, arrivando ad accusare addirittura la soppressione della libertà. Ora, partiamo da lontano e facciamo una domanda provocatoria: chi andrebbe in giro totalmente nudo (ma proprio totale totale, non valgono le minigonne più mini che gonne)? Non è forse questa una soppressione della libertà di dover nascondere il nostro corpo (più che altro certe parti incriminate)? Eppure lo facciamo: ci copriamo, soprattutto in inverno, per evitare di ammalarci o andare in ipotermia. Quindi, aldilà delle marche e delle griffes, la prima funzione del vestito è quella di coprirci, ergo di tutelare la nostra salute. Però, d’altro canto, coprirci è limitazione alla nostra libertà di stare nudi (moralmente, ancor prima che legalmente, deprecabile). Perché questo ragionamento non può valere per le mascherine? Domanda: quanti di voi quest’anno, tenendo le mascherine e mantenendo il distanziamento sociale (non alla buona ma correttamente), si sono ammalati di influenza o comunque di malattie dell’apparato respiratorio? C’è gente che in un inverno se si ammalava tre volte era addirittura fortunato (nel senso che ci sono stati anni in cui le volte sono state anche 5-6) e quest’anno non ha beccato neanche un raffreddore. O un mal di gola (forse più fastidioso del raffreddore). Qual è stata la differenza tra gli anni precedenti e questo? La mascherina e il distanziamento. Oh, ma allora a qualcosa servono! Come per i vestiti, abbiamo “rinunciato” ad una certa libertà (chi qui vede un senso di libertà non ha comunque capito proprio nulla di libertà) per poter vivere meglio la propria vita (e magari più a lungo). Tra una vita in salute con la mascherina e una vita sempre raffreddati con mal di gola per non aver indossato la mascherina, quale preferite? Da ciò discende quindi il nostro appello ad usare la mascherina aldilà di ogni dibattito, perché l’utilità della mascherina è oggettiva. Similmente il distanziamento. Qualcuno potrebbe obiettare “sì, vabbè, però in questo caso dobbiamo considerare che l’uomo è un animale sociale e ha bisogno del rapporto umano”. Obiezione corretta. Ma nessuno, parlando di distanziamento, vuole arrivare all’estremo vincolo di renderci monadi vaganti sulla terra. Gli estremismi sono sempre deleteri, perché, con l’ “ammucchiamento” oltre al rischio per la nostra salute, a ben pensarci, non corriamo anche il rischio di una svalutazione affettiva? Di un rapporto inerziale tra noi e il mondo? Si dice che il segreto per un buon matrimonio sia quello di innamorarsi ogni giorno mentre la tomba dell’amore è il matrimonio perché si rende abitudinario un qualcosa. Ebbene, quanto può essere più bello un rapporto alimentato non per inerzia ma per desiderio di alimentare. Un rapporto qualunque, sia esso di amore, di amicizia, o più in generale sociale. Trovare un giusto equilibrio, quindi, tra il “lascio tutto e me ne vado” e “non ce la faccio più di stare solo”. Il Leopardi (eh, capirai, direte, qual misantropo è stato citato) vede che il piacere o è “figlio d’affanno” o è attesa. O è, quindi, momento successivo ad un pericolo (qual piacere abbiamo provato l’estate scorsa, usciti dalle restrizioni e dal pericolo della prima ondata, nell’incontrare gli altri) o è attesa (l’attesa di incontrare gli altri). Eppure, spesso, nell’abituarci, non riusciamo a comprendere di trovarci in un momento felice, o comunque che può avere dei lati positivi. “Garzoncello scherzoso, | cotesta età fiorita | è come un giorno d’allegrezza pieno, | giorno chiaro, sereno, | che precorre alla festa di tua vita. | Godi, fanciullo mio; stato soave, | stagion lieta è cotesta. | Altro dirti non vo’; ma la tua festa | ch’anco tardi a venir non ti sia grave” è l’ultima strofa de “Il sabato del villaggio”. Una strofa rivolta a tutti i ragazzi, a tutti gli adolescenti che desiderano di diventare adulti e non comprendono la gioia dei loro anni, della loro felicità, del loro piacere che deriva anche dall’attesa di diventare grande. Sciupare l’età, sciupare le attese, soffrire per un’attesa, per una presunta mancanza senza apprezzare cosa si ha ci porterà al “Ahi pentiromi, e spesso, Ma sconsolato, volgerommi indietro”. Ecco, quindi, cosa ci può insegnare il covid: ad apprezzare ogni attimo, a non renderci schiavi di rapporti inflazionati e vissuti con inerzia. In un certo senso, il covid ci può insegnare la più nobile di tutte le filosofie che diventa pratica di vita: lo stoicismo. E, perdonandoci i salti logici a volte arditi fin qui fatti, riprendendo Montanelli, per capire cos’è lo stoicismo, basta leggere la poesia “Se” di Kipling che qui riportiamo (peraltro tradotta da Antonio Gramsci col titolo “Breviario per Laici”).

Se saprai mantenere la calma quando tutti intorno a te
la perdono, e te ne fanno colpa.
Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano,
tenendo però considerazione anche del loro dubbio.
Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare,
O essendo calunniato, non rispondere con la calunnia,
O essendo odiato, non dare spazio all’odio,
Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo da saggio;

Se saprai sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se saprai pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo,
Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
E trattare allo stesso modo questi due impostori.
Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto
Distorte dai furfanti per abbindolare gli sciocchi,
O a vedere le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
E piegarti a ricostruirle con i tuoi logori arnesi.

Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
E rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
E perdere, e ricominciare di nuovo dal principio
senza mai far parola della tua perdita.
Se saprai serrare il tuo cuore, nervi e tendini
nel servire il tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non c’è più nulla
Se non la Volontà che dice loro: “Tenete duro!”

Se saprai parlare alle folle senza perdere la tua virtù,
O passeggiare con i Re, rimanendo te stesso,
Se né i nemici né gli amici più cari potranno ferirti,
Se per te ogni persona conterà, ma nessuno troppo.
Se saprai riempire ogni inesorabile minuto
Dando valore ad ognuno dei sessanta secondi,
Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio!


A cura di Alain Calò

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