Cercasi Patriota (senza macchia) per il Quirinale
di Massimo Greco
Correva l’anno 2010 e precisamente il 27 maggio, quando il Presidente del Consiglio, pro-tempore, Silvio Berlusconi telefonava in Questura a Milano per chiedere che venisse rilasciata la minorenne Karima El Mahroug detta “Ruby Rubacuori”, apostrofandola come la nipote del Presidente egiziano Mubarak. A seguito dell’apertura di una fascicolo giudiziario aperto dalla Procura della Repubblica di Milano per l’accaduto, il 5 aprile 2011, 315 Deputati della Camera dei Deputati votarono per negare l’autorizzazione alla perquisizione richiesta dalla stessa Procura, sostenendo che le sette telefonate fatte da Berlusconi in Questura per farla rilasciare erano state fatte nella qualità di Presidente del Consiglio per ragioni di Stato. In quella occasione si chiese altresì alla Corte costituzionale di dichiarare il difetto di giurisdizione del Tribunale di Milano a vantaggio del Tribunale dei Ministri (tesi, ovviamente, respinta poi dalla Consulta). Non partecipò al voto, solo per consuetudine, il Presidente della Camera Gianfranco Fini, il cui partito votò compattamente a favore della fiaba, con la sola astensione di Luca Barbareschi.
Oggi Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, alla domanda se Silvio Berlusconi risponda al profilo di “patriota” dalla stessa richiesto per aprire le porte del Quirinale, afferma che “…rispecchia quello che stiamo cercando”.
Ora, che il Cavaliere sia titolare del diritto pieno di elettorato passivo e come tale candidabile alla carica di Presidente della Repubblica nessuno lo può mettere in dubbio, altra cosa è se sia anche dotato di quei requisiti soggettivi che pure alcuni partiti politici hanno prescritto nei rispettivi regolamenti interni per ricevere la patente di candidabilità, meglio conosciuti come Codici etici. Trattasi di requisiti che interessano anche la sfera morale e sociale dell’aspirante candidato e che vengono valutati con il metro della mera “opportunità”. Orbene, se tali requisiti vengono richiesti per un semplice candidato alla carica di consigliere di un minuscolo Comune, appare ovvio che una siffatta valutazione andrebbe fatta, a fortiori, per la carica più alta dello Stato, a meno che “nel cahier de doleance” di Giorgia Meloni non si ritrovano più quei principi di rigore e moralità presenti nella storia della destra italiana. Consiglieremmo alla Meloni, appena uscita dalla kermesse di Atreju, la lettura natalizia del pensiero del teologo e filosofo Fulton J. Sheen, secondo cui “Il rifiuto di schierarsi su grandi questioni morali è esso stesso una decisione. È una silenziosa acquiescenza al male. La tragedia del nostro tempo è che coloro che credono ancora nell’onestà mancano di fuoco e convinzione, mentre quelli che credono nella disonestà sono pieni di appassionata convinzione”.