Lo spazio ha depredato il tempo
Riconquista del perduto: dell’essere sull’avere
Viviamo in un’era in cui assistiamo a un capovolgimento di tutto ciò che è stato da sempre considerato “valore” e per il quale, chi è vissuto prima di noi, si è battuto fino alla perdita della propria fisicità. Siamo in un periodo storico nel quale i valori sono divenuti disvalori e viceversa. Chi non è capace di capovolgere il senso della vita e dare spazio a ciò che nobilita realmente l’uomo è ritenuto ”fesso”, da soccombere nella società “moderna”.
Spazio e tempo, due realtà che ci appartengono profondamente, sono capovolti e hanno perso il loro significato originario. Il tempo, infatti, che indica profondità e interiorità, verticalità, metamorfosi, è stato assorbito dallo spazio che indica qualcosa di superficiale, immediato. È un processo che non può continuare con questo attaccamento poiché senza sbocco esistenziale. Il tempo deve prendere il suo posto di primato se vuole essere connaturato con l’essere umano, dotato di razionalità e capace di percepire una successione, un moto di eventi diversi. Aristotele lo definì un «movimento, secondo prima e poi», anche «numero di movimento celestiale» (appartenente al Primo Mobile e, quindi, la necessità di un tempo eterno, circolare nello Stagirita e nel mondo pagano, lineare in S. Agostino), elementi di progresso e di continuità ma non identificabili col movimento. Il tempo così non è definibile se non con queste categorie di prius et posterius perché non si può bloccare e fotografare: scorre inesorabilmente e nel momento in cui lo fissiamo è già andato.
La “percezione del tempo e il suo trascorrere” nascono dalla coscienza umana la quale caratterizza i fenomeni e i cambiamenti materiali e spaziali dell’esperienza. Tutto ciò, infatti, che esite ed è corruttibile appartiene al tempo e da esso è misurato, compreso lo spazio, in cui si trova.
Il tempo, a sua volta, si avvale della ragione e della conoscenza, della capacità di trasmettere ciò che è stato fatto in precedenza per proiettarlo nel futuro, preparando le nuove generazioni a un processo senza fine. Il tempo diventa estrazione nella storia, al fine di trovare gli strumenti per gli approfondimenti presenti e sollecitare a dare senso all’impossibile.
È nella percezione del tempo che si colgono i valori del loro corretto utilizzo e si riconosce lo spreco del non impiego. Tra le abilità che lo caratterizzano troviamo lo scavo interiore, nel soggetto e in ogni animo umano, fino al punto da scoprire, in un processo arricchente, l’essenza stessa dell’essere: i propri limiti e l’impossibilità di raggiungere traguardi senza la forza di Qualcuno. Scopriamo l’utilità del correlarci, attraverso il dialogo, l’empatia ed entrare in comunione con l’interlocutore. Per fare ciò il tempo utilizza la meditazione, l’intuizione e la parola come veicolo della trasformazione.
Nel tempo è importante usare bene l’attesa, non come otium ma speranza nel divenire, nel cambiamento possibile: «La speranza – afferma Robert Ingersoll – è l’unica ape che fa il miele senza fiori». E San Paolo non pone un limite ad essa affermando che bisogna sperare contro la stessa speranza, anche quando sembra non esserci alcuna possibilità.
Il tempo, in quanto nasce con la creazione, ma la sovrasta, è illimitato, eterno. Esso opera attraverso la costruzione che può essere in un tempo spaziale o dimensionale. È la stessa trasformazione che dà origine al tempo, come afferma la filosofia occidentale.
Lo spazio è il luogo disponibile ad accogliere qualsiasi corpo dotato di una tridimensionalità. Esso, da solo è statico e si pone come immobile, limitato. È oggetto di distruzione; da solo è un bene che appartiene al soggetto o alla comunità, ma sempre deperibile. Se nello spazio, e in ciò che contiene, l’uomo non imprime parte del proprio humus e non riesce a trasferire alla materia quell’elemento che facilita la sublimazione, quel bene è e rimane vuoto di senso.
Necessita allora che sappiamo cogliere lo spazio temporale per coniugarli in un divenire di salvezza. Che non scindiamo l’essere dall’avere, anzi finalizziamo quest’ultimo a un maggiore arricchimento dell’essere. Occorre che cogliamo il Carpe diem di Orazio come un impegno costante senza sprecare ogni minuto dell’esistenza. Scriveva E. Levinas: «La dialettica del tempo è la dialettica stessa della relazione con gli altri», quella che ci permette di attendere con pazienza i tempi di ciascuno e cogliere sempre più la verità e la bellezza dei momenti che ci sono dati. Ancora: è il rapporto con il “Tu” vissuto nella gratuità che qualifica il tempo e lo fa diventare inestimabile, conferendogli una dimensione di eternità.
Bisogna fare in modo che il tempo da chrónos, il defluire del tempo oggettivo, misurato dagli orologi, diventi kairós, ripieno di contenuti delle nostre giornate. Il primo è vuoto, costellato al massimo da ciò che è nello spazio, effimero, indica di fatto il “dove”, il secondo indica il “come”, la pienezza, ciò che riempie il vissuto dell’uomo, lo modifica e lo prepara arricchendolo. Il primo, ci fa essere creature dello spazio, il secondo ci prepara alla salvezza. Il kairós diviene così partecipazione anticipata dell’eternità di Dio.
SALVATORE AGUECI