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Sicilia. E dallì co sto Statuto! A casa! A casa tutti, ora e subito!

buttanissima SiciliaContinua da Buttafuoco al Sindaco di Pantelleria, Salvatore Gabriele, la “fiction” dell’attacco allo Statuto Siciliano, si apre la strada a questo proditorio attacco alla Storia.
Ora, non che quel che è stato affermato nel passato debba essere sempre e comunque valido nel presente, ci mancherebbe, ma di cosa stiamo parlando adesso?

Intanto partiamo da una questione identitaria. La Sicilia NON è Italia, checché se ne voglia dire e blaterare, non lo è non solo perché giunti a Villa San Giovanni vedete il bel cartello con le stelle in campo blu e la scritta ITALIA, ma anche e soprattutto perché la Sicilia è stata sempre, sino al 1860, terra assolutamente divisa per amministrazione, usi, costumi, lingua, dall’Italia sia essa calabra come del Lombardo Veneto.
Certo meno “diversa” di quanto non appaia a tutta prima l’altra grande isola oggi italiana, la Sardegna, ma non semplicemente assimilabile al resto dell’odierna Repubblica Italiana.
L’identità siciliana è più mediterranea ma soprattutto più orientale, pervasa da una lunga vicinanza a schemi greci e levantini che neanche la pur orientale Puglia ha mai avuto in tale potenza.
Ora, individuare uno strumento che, come lo Statuto, riconosca questa differenza per farne valore, per ricondurla ad un comune “luogo costituzionale” che renda forte e agile l’accettazione di una anch’essa comune regola democratica, è l’unico modo per non rendere altrimenti necessario il “divorzio”, la separazione, la divisione dei beni.
In parole semplici: individuiamo quel che ci è comune e non quel che ci divide, stabiliamo che ci si possa dire, sentire e che si possa decidere da siciliani in seno alla comune Repubblica Italiana e guardiamo avanti in tal modo.

Lo Statuto, frutto di una lunga e soffertissima pagina della nostra più recente storia, non è di per sé il padre di tutti i mali, se utilizzato bene esso sarebbe anzi la maniera migliore, la scelta “riproducibile” per altre realtà europee oltre che italiane.
Esso, invece, fece comodo a Roma quando bisognava sperimentare i governi repubblicani a nuova formula, fece comodo per decenni ad una DC che attraverso l’uso piratesco dello stesso Statuto ed il tradimento del suo dettato costituzionale (primo fra tutti l’art. 38) ricondusse l’autonomia di scelta nella creazione delle infrastrutture alla malefica Cassa per il Mezzogiorno e creò le enormi folle della clientela e del precariato infinito.

Oggi qualcuno ci dice che se abbiamo 24.000 forestali in precariato a vita sarebbe colpa dello Statuto, come se proprio lì fosse stato scritto: impiegate la forza lavoro solamente con contratti precari, fatene clientela, utilizzate i sindacati a vostro piacimento… No, cari signori, lo Statuto non lo dice e diciamo che neanche lo consentirebbe in quanto lo stesso prevede che la Sicilia debba seriamente guardare alle proprie scelte con la necessaria rigorosità di bilancio.
Invece vogliamo dire di quel che nel tempo ha fatto la classe politica siciliana?
Vogliamo andare a fondo ad analizzare la differenza che correva ad esempio tra le scelte del PCI emiliano e quelle del PCI della Sicilia degli anni ’70?
Vogliamo vedere dove viene sperimentato il consociativismo più becero?
Vogliamo vedere dove ed in quale lista venne eletto deputato il più accanito difensore della disastrosa ondata di abusivismo edilizio che mai l’Italia abbia dovuto sopportare?

Il male, signori, è la politica siciliana ed italiana tutta. Il male sta nell’esistenza di una classe dirigente (che non è fatta solamente degli eletti ma anche e soprattutto dei nominati) che ha usato lo Statuto così come la Costituzione, quali utilissime foglie di fico per coprire vergogne inenarrabili.
Quello Statuto, forse perfettibile, non deve essere toccato, che Buttafuoco sperimenti diversamente la sua altalenante voglia di stupirci, fascista, autonomista, amico ed estimatore del neorumeno, poi detrattore dell’autonomia, poi musulmano dell’ultim’ora. Che ci sia dietro un giaguaro?
Nel frattempo, dico a voi distrattoni, ciarlando di Statuto c’è in questo frangente chi sta in ordine:
Rafforzando la presenza del MUOS e delle altre postazioni belliche straniere a casa nostra (anche a Pantelleria).
Distraendo le risorse nazionali verso cose e fatti ben diversi dalle impellenti esigenze infrastrutturali dell’isola.
Autorizzando i petrolieri, gli stessi che continuano a tenere il prezzo al dettaglio dei carburanti quasi pari a quello che avevano quando il greggio stava sui 100 e più dollari al barile quando oggi le quotazioni sono a 50/45, a fare ricerca (dannosissima alla vita nei nostri mari) e trivellazione, lì dove avremmo voluto fare turismo e pesca.

Pensando di rilanciare per l’ennesima volta la panzana del ponte sullo stretto;
Ritenendo che si possa giungere a far passare il secondo anno consecutivo senza aver deciso come spendere i danari destinati dalla UE al finanziamento dello sviluppo locale;
Ritenendo che ci si possa concedere ancora una volta di lasciare l’isola senza un governo per vedere sino a che punto fa da collante l’ingiuriosa incapacità di dimettersi dei 90 (uso sempre il numero totale, non me ne vogliano i pochi che son pronti) a Sala d’Ercole;
Pensando che si possa commissariare ancora le ex province, le Camere di Commercio, i Consorzi, le Aree industriali, gli asili, i cessi pubblici, il telecomando della TV di casa, senza decidere nulla e lasciandoci in brache di tela a respirare dalla canna del gas.
Allora, che si dica una sola giusta cosa , altro che Statuto: A casa! A casa tutti, ora e subito!


Giuseppe Maria Amato

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