Bianche erano le notti del sognatore Dostoevskijano, capace di fantasticherie sublimi fino al limite del surreale. Bianche e deserte. Bianche, deserte e silenziose… Bianche si dicono pure le notti dei condannati al divertimento forzato dei nostri originali paeselli. Aspettare l’alba bevendo quel che capita (dopo i primi cinque bicchieri non si ha più l’esatta criticità dell’assaggiatore di vini d’oltralpe) è memorabile… la prima volta. La quarta un poco meno. Passare la notte in transumanze coatte con il bicchiere in una mano e la sigaretta dall’altra e con la stessa aria estasiata delle comparse pubblicitarie è costituzionale, per i diciottenni… un poco meno per gli altri.
Tutti gli altri. La notte bianca è da qualche anno una data da calendario: incontrovertibile. Al paese mio la notte bianca fu dichiarata quattro anni fa uno spin off, rappresentante solo il primo passo per l’organizzazione di eventi e manifestazioni in grado di risvegliare gli indigeni da quella sonnolenza beona e catartizzante delle latitudini meridionali . Ora è pur vero che una bella serata n è un diritto contemplato dalla Corte Europea, è pur vero che da noi ogni occasione è buona per ostentare la vanagloria virile: festa e tristezza del sesso, è pur vero che la patologia del divertimento bevereccio è un obbligo per i buoni cittadini desiderosi di risanare la casse comunali con le multe da palloncino, è pur vero che gli eventuali incidenti automobilistici sarebbero da ascrivere alla malasorte e non certo all’elevato tasso alcolemico, ma qualcuno mi saprebbe dire dov’è che la notte d’estate come d’inverno si conserva ancora come dovrebbe essere la notte? Nera.
Certo le notti bianche sono una opportunità irrinunciabile per i commercianti affetti da Crisi asfissiante, per i neoassessori, i fraschianti e gli insonni, ma la faccenda mi pare stia cominciando ad assumere un aspetto un tantino consumistico e ripetitivo. La faccenda mi pare si stia trasformando in un’opera plautina tutta all’insegna del rutto da birra e dal peto da calia. Chissà se oggi esiste ancora una Nasten’ka pietroburghese, in grado di ascoltare i sospiri dei sognatori. Forse oggi Nasten’ka si chiama Ruby Rubacuori e di sospiri ne agogna ben altri.
Gabriella Grasso