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Illegittimo per il Tribunale di Palermo il blocco adeguamento delle pensioni

adeguamento pensioniIllegittimo per il Tribunale di Palermo il blocco dell’adeguamento delle pensioni alle variazioni del costo della vita disposto per il biennio 2012-2013

La sezione lavoro del Tribunale di Palermo, con ordinanza del 6 novembre 2013, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214) nella parte in cui dispone, per il biennio 2012-2013, il blocco della perequazione automatica delle pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps (euro 1.441,58 al mese nel 2012 ed euro 1.486,29 al mese nel 2013, al lordo delle ritenute fiscali).

Una fascia reddituale decisamente bassa che ha fortemente penalizzato oltre 6 milioni di pensionati che, a fronte di una costante perdita del potere di acquisto della moneta, quale da tempo si registra nel Paese, si son visti impoverire ulteriormente il trattamento pensionistico in godimento contro ogni logica ed in dispregio di diritti costituzionalmente tutelati.

Dal momento che i titolari di trattamenti pensionistici sottoposti, per legge, al blocco della rivalutazione automatica, subiscono un “danno economico” di rilevante portata non solo nell’imminente, ma anche per il futuro atteso che, in difetto di qualunque previsione di recupero per gli anni successivi, tale danno si protrae, ininterrottamente, all’infinito fino ad incidere sulla misura delle pensioni di reversibilità, ove spettanti ai superstiti, i provvedimenti che dispongono in tal senso, in quanto comportanti una sostanziale decurtazione del valore reale delle pensioni, appaiono manifestamente ingiusti e irrazionali dal momento che, di fatto, finiscono  col disconoscere l’incidenza obiettiva dell’erosione inflazionistica sui redditi considerati con gravi ripercussioni sulle economie delle famiglie. Da qui il dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme in interesse atteso che le stesse verrebbero a ledere taluni principi sanciti dal dettato costituzionale, in particolare quelli della “adeguatezza” e della “proporzionalità” tutelati dagli artt. 3, 36, comma 1 e 38, comma 2, della Costituzione.

Entrando nel merito della questione il Tribunale di Palermo, nell’ordinanza citata in premessa, richiamando precedenti pronunciamenti della Consulta sull’argomento, si sofferma, in particolare, sulla sentenza 11 novembre 2010, n. 316, nella quale, trattando del blocco dell’adeguamento delle pensioni d’importo superiore ad otto volte il trattamento minimo Inps disposto dal Governo Prodi per l’anno 2008, la Corte, avverte che se è vero che “la garanzia costituzionale della adeguatezza e della proporzionalità del trattamento pensionistico incontra il limite delle risorse disponibili al quale il Governo ed il Parlamento devono uniformare la legislazione di spesa” è, pur vero anche, che “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero della frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta”.

L’avvertimento è chiaro….. non colpire oltre misura e ripetutamente i redditi da pensione che, in quanto sganciati dalla dinamica salariale, se non vengono adeguatamente tutelati e rivalutati con riferimento alle variazioni del costo della vita, finiscono presto con l’impoverirsi decisamente perdendo, a fronte della costante crescita dei prezzi dei beni e dei servizi destinati al consumo delle famiglie, il loro originario potere di acquisto.

Il Legislatore non ha, però, tenuto conto del “monito” della Corte Costituzionale tant’è che, poco tempo dopo, è nuovamente intervenuto in materia disponendo, questa volta, il blocco dell’adeguamento dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita addirittura per due anni (2012 e 2013) con riferimento alle pensioni di importo mensile superiore a tre volte il trattamento minimo dell’Inps.

Per tutto quanto precede il Tribunale, si legge nell’ordinanza, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25 del d.l. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011, per violazione

  • del principio di cui all’art. 38, comma 2, Cost. atteso che la mancata rivalutazione impedisce la conservazione nel tempo del valore della pensione, menomandone l’adeguatezza;
  • del principio di cui all’art. 36, comma 1, Cost. dal momento che la mancata rivalutazione viola il principio di proporzionalità tra pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l’attività lavorativa;
  • del principio derivante dal combinato disposto degli artt. 36, 38 e 3 Cost. perché la mancata rivalutazione violando il principio di “proporzionalità” tra pensione e retribuzione e quello di “adeguatezza” della prestazione previdenziale, altera il principio di eguaglianza e ragionevolezza causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati.

Risultano, altresì, violati i principi di “universalità dell’imposizione” di cui all’art. 53 della Costituzione, di “non discriminazione ai fini dell’imposizione”, di “ragionevolezza nell’esercizio del potere di imposizione”, nonché il principio della “parità di presupposto di imposta” di cui al combinato disposto degli artt. 3, 23 e 53 Cost. perché, indipendentemente del nomen iuris utilizzato, la misura adottata si configura quale prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente tributaria, non connessa all’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra le parti (lo Stato non ha alcun titolo a modificare i trattamenti economici di cui non è parte) collegata esclusivamente alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante.

Nel caso in specie, si legge ancora nell’ordinanza, “pur considerando la discrezionalità legislativa in materia, la norma in questione viola il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta economicamente rilevante, data l’imposizione di  misure (non più considerabili transitorie ed eccezionali) incidenti in modo drastico sul trattamento pensionistico solo di alcuni soggetti”.

Previsione di un ulteriore blocco della indicizzazione delle pensioni e revisione del meccanismo perequativo nella legge di stabilità per l’anno 2014

La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla sezione lavoro del Tribunale di Palermo della norma che ha disposto, per il biennio 2012-2013, il blocco della perequazione automatica delle pensioni, nei limiti indicati, assume, oggi, particolare rilievo atteso che è in discussione in Parlamento il disegno di legge di stabilità per il 2014 il cui art. 12, come noto,  ipotizza un ulteriore blocco dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita prevedendo  che per l’anno 2014 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo dell’Inps.

Questa volta il blocco non è totale, come lo è stato quello per il biennio precedente, dal momento che lo stesso opera esclusivamente sulla quota di pensione eccedente il limite indicato. Tenuto conto dei valori del 2012 tale limite, al momento, è pari a circa 2.800 euro lordi al mese.

Una magra consolazione, questa, che certamente non ripaga il pensionato delle tante tensioni, ansietà e frustrazioni che da tempo lo affliggono vedendo diminuire giorno dopo giorno il “valore” della propria pensione a fronte di aumenti, costanti e generalizzati, dei prezzi dei beni e servizi destinati al consumo delle famiglie.

Ma le sorprese non finiscono qui dal momento che il Governo, nel proporre il blocco della rivalutazione delle pensioni per l’anno 2014, interviene anche sull’istituto della perequazione rimodulando le percentuali di rivalutazione con riferimento alle diverse fasce di importo dei trattamenti pensionistici fissandole, per il triennio 2014-2016, nella misura del:

  • 100 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo dell’Inps;
  • 90 per cento per la fascia di importo della pensione ricompresa tra tre e quattro volte il trattamento minimo dell’Inps;
  • 75 per cento per la fascia di importo della pensione ricompresa tra quattro e cinque volte il trattamento minimo dell’Inps;
  • 50 per cento per la quota di pensione superiore a cinque volte il trattamento minimo dell’Inps.

La “sorpresa” sta nel fatto che le percentuali proposte dal Governo per la rivalutazione delle pensioni, ai fini di un loro adeguamento alle variazioni del costo della vita, sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle, in vigore dal 1° gennaio 2001 e tuttora vigenti, pari al:

  • 100 per cento per la fascia di importo delle pensioni fino a tre volte il trattamento minimo dell’Inps;
  • 90 per cento per la fascia di importo della pensione ricompresa tra tre e cinque volte il trattamento minimo dell’Inps;
  • 75 per cento per la quota di pensione superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo dell’Inps.

Raffrontando le due tabelle si appalesa subito, infatti, il minor peso che avrà  quella esplicitata dalla legge di stabilità 2014 allorquando si dovrà procedere a determinare, a far data dal 1° gennaio 2014,  il “quantum” spettante ai pensionati in sede di rivalutazione della pensione (d’importo lordo inferiore a 2.800 euro al mese) sulla base dell’indice di variazione del costo della vita quale accertato  dall’Istat.

Una ulteriore penalizzazione che, se approvata nel modo indicato, finirà col pesare, non poco, sul bilancio delle famiglie, soprattutto di quelle il cui unico reddito è dato dalla pensione in godimento.

Il “dubbio” di legittimità costituzionale sollevato dai Giudici del Tribunale di Palermo nonché  il “monito” della Corte Costituzionale (sentenza n. 316 del 2010) di non colpire oltre misura e ripetutamente i redditi da pensione  saranno tenuti in considerazione dal legislatore in sede di definizione ed approvazione della legge di stabilità per l’anno 2014?….o saranno, ancora una volta, disattesi con grave pregiudizio dei pensionati che, a fronte del costante aumento del costo della vita ed in mancanza di strumenti volti a salvaguardare, nel tempo, il “valore” delle pensioni,  vedranno ulteriormente impoverirsi, contro ogni logica e in dispregio di diritti costituzionalmente tutelati, i trattamenti in godimento?

 

dr. Fernando Sacco

 

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