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Massimo Greco. Gli ATO alle Province: una soluzione per due problemi

greco_massimoEnna. Le cause del fallimento degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti in Sicilia sono tante e non tutte riconducibili al potere esecutivo. Parte di responsabilità è certamente da addebitare al legislatore che, nel contesto di una politica tesa a ridurre progressivamente i costi della politica e a razionalizzare l’architettura istituzionale, ben poteva valorizzare quanto offre attualmente il sistema degli enti locali. E invece ha creato un groviglio dal quale occorre uscire al più presto per evitare danni di lunga durata. Si sono sovrapposti troppi attori istituzionali e questo sta conducendo a compromessi travagliati e poco efficaci; e poi si sono registrati effetti di ricaduta dovuti a gravi errori di programmazione.
La legislazione nazionale ci offre infatti una serie di esempi che testimoniano una certa tendenza ad individuare nuovi modelli organizzativi prescindendo dalla precarietà di alcune autonomie locali con particolare riferimento al ruolo delle Province. “E’ evidente come l’individuazione di un organo, o di un ente, per lo svolgimento di determinate funzioni dipende dalla scelta discrezionale del legislatore che, in un determinato contesto storico, ha preferito prevedere, ad esempio, altri enti, come le Autorità d’ambito territoriale ottimale per la gestione del servizio idrico, alle quali gli enti locali sono obbligati a partecipare e che sono titolari delle competenze degli enti medesimi; in questo caso una diversa opzione legislativa avrebbe potuto, in un qualche modo, valorizzare il ruolo delle province; lo stesso ragionamento può essere replicato per l’Autorità d’ambito per la gestione integrata dei rifiuti” (Riccardo Carpino, “Le Province: percezione sociale, ruolo e prospettive, in Federalismi.it, n. 3/2008).
Il legislatore siciliano, “senza colpo ferire”, si è adeguato a tale impostazione, ciò anche in considerazione che “i criteri generali relativi all’istituzione degli ATO e all’organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti, rappresentano un vincolo anche per il legislatore regionale, al quale è rimesso soltanto, per quanto qui interessa, di disciplinare <> (art. 201, comma 1, d.lgs. n. 152/2006)” (Tar Lazio, sede di Roma, sez. I°, n. 4467/2008).
L’attribuzione della titolarità delle risorse per la gestione dei rifiuti è avvenuta in applicazione di quanto stabilito dal Commissario delegato per l’Emergenza rifiuti nella Regione Sicilia che, in merito, ha previsto come obbligatoria la gestione dei rifiuti in Ambito Territoriale Ottimale (A.T.O.) a mente dell’art. 233 del Dlgs n. 22/97, secondo le modalità ivi pure stabilite (Ordinanza n. 488 dell’11/06/2002 e n. 1069 del 28/11/2002). “Nella rinnovata prospettiva comunitaria in materia di gestione dei servizi pubblici facenti capo agli enti locali, la nuova normativa predilige – in luogo delle gestione diretta del servizio – una gestione ottimale per ambiti territoriali omogenei per il tramite di società d’ambito: la cui istituzione, coinvolgendo direttamente gli Enti Locali interessati, non può ritenersi lesiva della rispettiva sfera di autonomia. In conformità ai principi comunitari di adeguatezza ed efficienza dell’organizzazione del servizio di che trattasi (unitamente alla nuova rilevanza del principio della concorrenza nel settore della erogazione dei servizi pubblici) la nuova normativa si propone il superamento del modello della gestione frammentaria per singoli ambiti comunali, prevedendo forme anche obbligatorie di cooperazione tra gli enti locali (Tar Palermo, sez. I°, sent. 10/05/2006, n. 1061).
Dopo i primi segnali di fallimento nella gestione degli AA.TT.OO. il legislatore siciliano, attraverso l’art. 45 della L.r. n. 2/2007 rubricato “Individuazione dei nuovi ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani”, ha cercato di correre ai ripari riducendo il numero degli ambiti territoriali da 22 a 14 e disciplinando il passaggio dalle attuali società d’ambito a nuovi Consorzi a cui partecipano obbligatoriamente tutti i comuni. “Il Consorzio è dotato di personalità giuridica e costituisce per il proprio ambito territoriale ottimale l’Autorità d’ambito di cui all’art. 201, comma 2, del D.lgs. n. 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni”. “Le Società d’ambito esistenti devono essere poste in liquidazione entro 60 giorni dall’insediamento dei nuovi consigli di amministrazione. Ogni consorzio subentra in tutti i rapporti attivi e passivi delle società d’ambito esistenti”.

Il legislatore siciliano si è così mosso sul solco già tracciato dal D.lgs n. 152 del 2006 adeguando anche lo strumento di gestione dell’Autorità Territoriale Ottimale da Società s.p.a a Consorzio di comuni.
Se appare, prima facie, fondato il sottinteso alibi siciliano di non poter cambiare radicalmente il modello per l’individuazione dell’Autorità territoriale ottimale, l’ultima finanziaria 2008, L. n. 244/2007, inizia a segnare una inversione di tendenza nel momento in cui prevede all’art. 2, comma 38, che le regioni in sede di delimitazione degli ambiti devono valutare prioritariamente i territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali “ai fini dell’attribuzione delle funzioni in materia di rifiuti alle province e delle funzioni in materia di servizio idrico integrato di norma alla provincia corrispondente….”.
A questo punto la questione passa nuovamente in mano al legislatore siciliano che potrà, se solo lo vorrà, coniugare un’esigenza impellente di riformare il sistema degli AA.TT.OO. con quella, notoria e vessata, di riempire di contenuti la Provincia Regionale voluta dalla L.r. n. 9/86.
Se ha un senso quanto fin qui argomentato, non si comprende però il disegno di legge governativo annunciato nei giorni scorsi dal Governatore Lombardo, di trasformare le attuali società d’ambito in Consorzi di Comuni, con l’aggiunta di un, non meglio precisato, ruolo di coordinamento delle Province Regionali. Mantenere un’ Ente che eroga servizi pubblici a valenza sovra comunale (o distrettuale) e in un ambito geografico pari a quello provinciale appare, infatti, in contrasto con gli articoli della Finanziaria nazionale che recano norme d’indirizzo alle regioni per la riduzione dei costi derivanti dalla duplicazione di funzioni. In particolare, la citata Finanziaria 2008 prevede che le regioni, nell’ambito di rispettiva competenza legislativa, provvedano all’accorpamento o alla soppressione degli enti, agenzie od organismi titolari di funzioni in tutto o in parte coincidenti con quelle assegnate agli enti territoriali ed alla contestuale riallocazione delle stese agli enti locali, secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
Peraltro, le competenze già attribuite alla Provincia Regionale in materia di ambiente in generale e di rifiuti in particolare, rappresentano il contesto di riferimento più idoneo per esercitare anche la funzione di Autorità d’ambito, ai sensi dell’art. 201, comma 2, del Decreto legislativo n. 152/2006. La lettera f) dell’art. 15 della L.r. n. 8/86 attribuisce infatti alla Provincia Regionale la competenza in ordine a “l’organizzazione e gestione dei servizi, nonché localizzazione e razionalizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti e di depurazione delle acque, quando i comuni singoli o associati non possono provvedervi”. Anche l’art. 33 della L.r. n. 10/2000, nel disciplinare le funzioni e i compiti amministrativi della Provincia Regionale, coglie nel segno allorquando al I° comma così recita: “La provincia regionale, oltre a quanto già specificamente previsto dalle leggi regionali, esercita le funzioni ed i compiti amministrativi di interesse provinciale qualora riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale, salvo quanto espressamente attribuito dalla legge regionale ad altri soggetti pubblici”. Il correttivo recentemente apportato al Testo Unico dell’Ambiente (decreto legislativo n. 4/2008) ha ulteriormente precisato che “alle province competono in linea generale le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale (…)”, così rafforzando il ruolo della Provincia come Ente di governo nella gestione dei rifiuti.
Pertanto, “Una normativa che ne riducesse drasticamente il numero e riportasse le funzioni in capo agli enti ad elezione diretta, ci consentirebbe da subito risparmi ben più significativi della eliminazione di un livello di governo, la Provincia, peraltro previsto dalla Costituzione. Ecco che la scelta di sopprimere gli AA.TT.OO. ed affidarne le funzioni alle Province può essere un primo passo in questa direzione” (Carlo Rapicavoli, “Autorità d’ambito per la gestione dei rifiuti urbani – ruolo della Province – Legge Finanziaria”, AmbienteDiritto.it, 20/05/2008).
“La Provincia è l’ente più idoneo per aiutarne lo svolgimento e garantirne risultati concreti, assistere i Comuni attraverso uffici di consulenza, ma anche più incisivamente provvedere all’individuazione degli ambiti ottimali per l’esercizio delle funzioni associate da parte dei Comuni, in caso di disaccordo tra di essi e su delega della Regione” (Vincenzo Cerulli Irelli, Relazione al Direttivo UPI su Carta della Autonomie locali, Genova 22 febbraio 2007).
Del resto, l’Assemblea Generale delle Province Italiane, riunitesi a Firenze nei giorni 22, 23 e 24 ottobre 2007 per l’esame della Finanziaria 2008, aveva auspicato tale cambio di rotta “non solo per il riconoscimento di un ruolo programmatorio e gestionale che le Province svolgono da tempo nei territori, ma per rispondere alla crescente necessità di poter ricondurre al livello provinciale tutte le politiche dei sistemi a rete, in virtù della specifica competenza in materia di pianificazione, tutela e valorizzazione del territorio, ma anche della naturale vocazione di gestione dei sistemi di rete in area vasta”. “Ma al di là dell’intero complesso di funzioni provinciali che assicurano lo sviluppo e la promozione del territorio dell’intero Paese, in sinergia soprattutto con la legislazione statale e regionale e con l’attività regionale, il disegno costituzionale, innovando alla pregressa legislazione – che si limitava alla mera <> – fa intravedere con chiarezza un ruolo sussidiario delle Province, rispetto ai Comuni, per il quale tutte le funzioni comunali – anche quelle più caratterizzanti – nei casi in cui questi enti presentano una naturale inadeguatezza o le funzioni medesime non sono a loro rapportabili, per il principio di differenziazione, possono essere assicurate ai cittadini sussidiariamente dall’azione della Provincia, la quale in una evenienza del genere, si deve considerare ente di prossimità, come quello francese, britannico, tedesco e spagnolo, dove Dipartimenti, Contee Kreise e Provincias hanno un ruolo costitutivo del sistema amministrativo generale, che ubbidisce alla formazione di un federalismo territorialmente responsabile, che si basa sulla collaborazione dei diversi livelli di governo, per garantire la diffusione del principio di democrazia e impedire, o – quanto meno – limitare, il proliferare di enti intermedi tra il Comune e la Provincia, dove più che altrove si realizzano sprechi e clientelismo” (Stelio Mangiameli, “La Provincia dall’Assemblea Costituente alla riforma del Titolo V”, Le Province, gennaio-febbraio 2008).
Uno stop, quindi, alla moda delle esternalizzazioni verticali diffuse su tutti i livelli istituzionali (statale, regionale e locale) che hanno portato alla creazione di Strutture (pubbliche o solo formalmente private) per l’esercizio di funzioni già svolte o che potrebbero benissimo essere svolte dai consolidati Enti Pubblici. E un sì convinto, anche nella prospettiva del Federalismo fiscale, ad una rivisitazione dell’assetto istituzionale siciliano che veda protagoniste le Province nella gestione di tutte le politiche territoriali di area vasta a partire da quei servizi la cui gestione integrata richiede l’individuazione di ambiti territoriali ottimali.
Massimo Greco

 

pubblicato il 13 novembre 2008

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