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Pino Grimaldi: Cittadinanza Italiana?

Enna 08/08/06 – Buona mossa quella del Governo di mettere in condizioni piu agevoli quanti – e per varie ragioni immagino – desiderino divenire cittadini della nostra Nazione. Con un saldo negativo di natività (-0,560 -o giu di li) un Paese, a prescindere da ogni altra considerazione di parte (lo si sussurra!) ha il dovere di rendere stabile il numero degli abitanti, che al di la del concetto ”quantità=forza” ha significazioni profonde legate alla economia ed alla vita civile. Punto.

Ma anche se d’estate discutere su tanto e disquisirne (come ha fatto Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere) e immaginare una legge che esiga oltre al minimo di permanenza (5anni) la conoscenza della lingua italiana (giusto, ma si creano dei linguisti che faranno sfigurare i cittadini nati in Italia!), il giuramento di fedeltà alla Repubblica (indispensabile), anche la conoscenza della Costituzione e delle Leggi italiche, signfica non dare ad alcuno detta possibilità!

Mi spiego. Abbiamo una Costituzione di ben 139 Articoli e XVIII norme transitorie che, nel nostro bel paese, non ha più di dieci (sic) persone che la sappiano a memoria. Abbiamo, sembra, 36.000 leggi vigenti che nessuno, dico nessuno, conosce (ma certo manco i Giudici e gli Avvocati) e pretendiamo che un povero cristo per potere legittimamente stare in Italia e lavorare conosca tanto?

Ma non è tutto. Si pensa e lo articolista (egregio veramente) di cui sopra ne sposa la tesi, che chi vuole acquisire (il sopradetto ha scritto”acquistare” chissa perché) la citadinanza italiana deve rinunciare a qualsiasi altra cittadinanza questi possa già avere: quasi un “cuius regio eius religio” del trattato di pace di Augusta del 1555.

Da tempo tutti gli Stati moderni e democratici consentono ad un proprio cittadino di avere quante altre cittadinanze e passaporti questo voglia e possa, fermo restanto che abbia ad avere una sola residenza.

Pretendere lo abbandono di una altra cittadinanza, soprattutto di quella naturale, è atto discriminatorio e vero diktat che non penso onori un paese di grandi tradizioni giuridiche come l’Italia. E’ atto possessivo patologico (simile alla gelosia) che farebbe ridere e non pochi al mondo e che – ancora una volta – limiterebbe la cittadinanza solo a chi pur di vivere lavorando è disposto a vendere anche la madre o rischiare la vita con la carrette del mare.

E poi: richiede forse questo Stato ai propri cittadini naturali di non avere altre cittadinanze e passaporti? Non mi risulta.Ha mai chiesto per esempio a quanti eletti nella Circoscrizione Estera nella ultima tornata elettorale se erano o no anche cittadini (con passaporto) della Nazione in cui da decenni vivevano? Non lo so, ma sarebbe interessante che il Ministero degli Interni lo facesse sapere.

O è il solito polverone estivo per dimostrare quanto sia bravo un governo (qualunque sia il sapore e colore) che con una mano da e con l’altra toglie? Possibile; ma non augurabile per la serietà del paese.

Ci si sente orgogliosi in genere nel sapere e vedere che non “indigeni” chiedano di parificarsi a noi. E tutti gli Stati, pur cercando ovviamente di proteggersi, sentono e piena la soddisfazione per l’onore che viene chiesto di divenire parte di una comunità che, perché scelta, è stata ritenuta miraggio da relizzare.

Ma il tutto con intelligenza, buon senso e senza mai essere i primi della classe: chi troppo vuol salir cade sovente precipitevolmente!
Vecchio proverbio, ma buono anche per il Legislatore estivo.

grimliondr@libero.it

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