Stiamo entrando nel vivo di un caldo ottobre, reso rovente – più che da Zefiro – dalle imminenti elezioni regionali. La lotta ad armi pari, quella dei manifesti e dei discorsi altisonanti, rievoca nella mia mente qualche articolo letto durante la scorsa estate: “La politica in Italia? Non certo affare per donne”. Questo l’attacco del Messaggero lo scorso luglio, citando il rapporto 2011 dell’Onu e dell’Unione Interparlamentare sulla presenza femminile nei parlamenti nazionali. Secondo il documento citato, la posizione occupata dall’Italia sarebbe la cinquantasettesima. Ancora, è di due giorni fa la notizia riguardante l’approvazione del Senato al ddl che vuole l’obbligo delle quote rosa sulle trasmissioni di comunicazione politica, oltre alla cancellazione delle liste prevista per i comuni sopra i 15 mila abitanti sprovvisti di un’adeguata rappresentanza femminile. Lo trovo poco gratificante, perché poco gratificante è associare una rappresentanza politica a un “obbligo” (francamente termine per molti indigesto, ma tant’è). Le angoscianti conclusioni hanno lasciato il posto a consistenti speranze di cambiamento dopo aver ascoltato il breve ed incisivo intervento di Sibilla Giangreco, in occasione della tappa ad Enna di un candidato a governare la Sicilia. Una sala gremita, di sostenitori entusiasti e sul palco lei, elemento di spicco una donna dell’ennese che non è candidata, ma freme comunque all’idea di poter testimoniare la sua esperienza di giovane. Anzi, di giovane donna. Meglio ancora, di giovane donna sicula impegnata sul fronte politico per pura passione che da sempre l’accompagna. Poche semplici frasi d’effetto le sue. Fresche, spontanee e volitive. Segno che i tempi stanno cambiando? O forse, più semplicemente, segno che gli interlocutori sono cambiati e si mostrano ben disposti ad interagire con chi, vivaddio, non si presenta come una qualsiasi Nicole Minetti, capace di regalare tanto imbarazzo e desolazione alle (in questo caso) sventurate appartenenti alla categoria del “gentil sesso”? Di certo, ad ascoltare la “non candidata della porta accanto”, viene da pensare che forse – prima o poi – ci sarà qualcuno che la smetterà di pensare alla donna in politica come a un tappa buchi per salvare la lista e adempiere a un obbligo. Di certo questo risultato richiederà un lavoro non indifferente sui nostri gap culturali, gli stessi che ci hanno gentilmente concesso diritto di voto soltanto nel 1946. Ma, da donna appassionata di politica, mi armo di santa pazienza, confortata dal fatto che Roma non è stata costruita in un giorno e le rivoluzioni partono silenti, dal basso. Gli ingredienti sono quelli giusti: finalmente una politica territoriale, un degno contraltare alla Lega Nord che tanto ci ha vituperati in tutti questi anni, contribuendo a cementificare una Babele di falsi miti e luoghi comuni. Di qualunquismo, i giovani ne hanno abbastanza e, tornando a Sibilla: “occorre imparare dagli errori, rivalutando le proprie radici”. Incardinato nel più ampio spirito di rivalsa, prevalente nelle velleità dell’aspirante governatore, quella “condivisione di impegno” di cui parla Sibilla è un invito a smontare il primo dei falsi miti perché, fortunate noi, i volti femminili presenti quella sera non somigliavano neanche lontanamente né alla Minetti, né a Ruby Rubacuori e nemmeno a donne baffute e ignoranti dipinte spesso da chi non si è mai spinto al di sotto del Po. Erano i volti di Sibilla Giangreco, di Costanza Castello (nella foto) che giungeva trafelata da Siracusa e di tante altre donne. Di quelle che se le chiami “femmine” ti sorridono perché sanno che “fimmina” è la forza, “fimmina” è la passione, “fimmina” è la determinazione. Non da ultimo, “fimmina” è la Sicilia che di queste virtù è l’emblema. Forse un giorno non dovremo ricorrere agli obblighi. Rosa, azzurra, arancione, purché “alta” quota.
Alessandra Maria
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