Le cronache odierne portano nuovamente alla ribalta il sito di Pasquasia e con esso tutte le paure, le mezze verità, le tante menzogne, i troppi silenzi che sul destino di questa parte della nostra Terra si sono addensati.
Sembra quasi che sia giunta la venticinquesima ora, quella della Verità, della verità completa, univoca, logica seppur forse terrorizzante, capace di indicare le complicità, le collusioni, le corruzioni, le incapacità e le disattenzioni dei tanti, troppi responsabili di fatti che se solo fossero quelli del disastro industriale da soli sarebbero meritori di aspre condanne sociali e giudiziarie.
Ma proviamo a fare un po di ordine:
Intanto cosa è Pasquasia? A parte essere una contrada dell’ennese, un tempo famosa per il suo feudo con la bella serie di edifici dei Militello di Pasquasia?
L’area, collinare, è posta tra la vallata del Morello che la cinge da Nord Ovest sino a Sud e l’ampia vallata del Serieri a Sud ed è, nel sottosuolo, interessata da un vastissimo “duomo” salino, una vera e propria montagna di sale, fondamentalmente Sali potassici, formatasi durante la crisi messiniana, ovverosia circa cinque milioni e seicentomila anni addietro, quando il proto mediterraneo si prosciugò, lasciando dietro sè i Sali dell’acqua marina.
Questo “duomo”, venne esplorato e scavato, con decine e decine di chilometri di gallerie, per la estrazione dei Sali potassici. Pasquasia, pur non essendo l’unica miniera per la estrazione di Sali potassici, già in provincia di Enna vi era anche quella di Corvillo, rappresentò presto la punta di diamante di una attività industriale di grande importanza per la Sicilia tutta. Erano gli anni del “glorioso” Ente Minerario Siciliano, l’EMS nei cui corridoi si passava accanto a bacheche con pepite d’oro, l’EMS i cui presidenti erano tra gli uomini politici più potenti d’Italia, una vera e propria potenza industriale nel settore degli alcali. Se a partire dagli anni sessanta si assistette al tracollo inarrestabile della estrazione degli zolfi, con la lenta ma inesorabile chiusura delle centinaia di miniere solfifere grandi e piccole (l’ultima chiusura avvenne a Floristella nel 1986), il settore dei Sali pareva andare a gonfie vele!
Pasquasia impiegava tra minatori, tecnici ed amministrativi, migliaia di persone, una vera e propria classe operaia che ad Enna si “percepiva”. Si percepiva nell’impegno sindacale, si percepiva nel movimento cittadino, in quegli autobus che, persino nel cuore della notte accoglievano le “tute blu” pronte ad andare per otto lunghe ore sottoterra.
Pasquasia era anche una delle sedi dell’esperimento “Italkali”, una jont venture pubblico privata, tra una cordata coordinata dall’Avvocato Morgante di Agrigento, anzi di Siculiana, ed altri 36 privati da un lato, e la Regione Siciliana dall’altro. L’Italkali, che ancora oggi chiude i bilanci con attivi milionari (visionabili su www.italkali.it), gestiva l’estrazione dei Sali potassici a Pasquasia e la loro prima lavorazione in un gigantesco stabilimento di superficie, esteso su di un’area pubblica ampia circa 70 Ha.
Dalla Joint venture, anomala, criticatissima nei corridoi e nelle stanze della politica siciliana, venivano profitti sempre cospicui, anche per il socio pubblico, e il grande movimento di forze industriali creava un indotto non di rado “preda” dei potentati politici del centro Sicilia per la sistemazione di galoppini, rampolli e quant’altro.
La potenza del sito estrattivo fu tale che negli anni settanta, per garantire la continuità delle forniture di acqua utile ai lavori di “pulizia” dei minerali estratti, venne costruito l’invaso Ferrara sul fiume Morello, conosciuto agli ennesi come “Diga di Villarosa”. Il territorio cambiava letteralmente forma sotto la spinta industriale della gigantesca miniera.
In quegli stessi anni l’Italia, come tutte le altre nazioni europee, guardava alla energia nucleare da fissione come alla magica formula per vincere la dipendenza energetica dai paesi OPEC che già nella crisi del 1973 aveva ben evidenziato la debolezza dell’occidente.
Pasquasia allora divenne un interessantissimo laboratorio per quegli scienziati dell’atomo che dovevano risolvere una questione non da poco: dove conservare,e come conservare, le tonnellate di materiali residui dai trattamenti per la produzione di energia atomica? Le gallerie dalla miniera, coperte da un cappello di argille e aperte direttamente nei Sali, in migliaia di metri di Sali, compatti, bianchi e grigi, apparentemente immobili, parvero il luogo più appetibile per “provare” a conservare queste scorie.
Si aprì una galleria perpendicolare all’ingresso principale della miniera, una galleria ampia e scavata direttamente nelle argille e qui, in un segreto non segreto, l’ENEA iniziò a sperimentare l’effetto di un grandissimo calore sulle argille di contenimento. La volta della galleria fu dotata di termofori capaci di simulare il calore prodotto dalle scorie nucleari e si iniziarono le lunghe e costose prove.
Il segreto, però, venne a galla e la opinione pubblica ennese, sconvolta peraltro dall’avvenimento coevo di Chernobyl, iniziò a rumoreggiare. Si creò un movimento spontaneo, alla cui guida erano le associazioni ambientaliste storiche, l’allora giovanissima Lega per l’Ambiente (oggi Legambiente) il WWF, Italia Nostra, e tanti, tantissimi cittadini che diedero vita ad un’imponente manifestazione di protesta alla quale parteciparono i gonfaloni di decine e decine di comuni dell’intera Sicilia. Questa mobilitazione popolare, capace di contrastare persino l’allora presidente dell’ENEA, Prof. Colombo, in assemblee pubbliche e sul terreno della scienza, portò infine alla ordinanza sindacale con la quale l’allora Sindaco di Enna, Sen. Michele Lauria, cacciò l’ENEA dalla miniera e appose i sigilli al laboratorio degli “stregoni dell’atomo”. L’Italia nel frattempo aveva sbattuto la porta in faccia al nucleare con la schiacciante vittoria degli antinuclearisti nel referendum.
Parve allora che la questione potesse risolversi, parve allora che la capacità di una opinione pubblica matura, unita ad una competenza politico amministrativa poi premiata con la elezione al Senato, del Sindaco ennese, avesse messo fine ad ogni possibile declinazione nucleare dell’importante sito industriale ennese.
Le tute blu continuarono il loro lavoro e Pasquasia tornò ad essere Pasquasia…
Nel frattempo nel comparto industriale si apriva una nuova discussione, tra i Sali estratti dalle gallerie della miniera non vi erano solo i composti del potassio ma anche quelli del magnesio, ma i Sali magnesiaci venivano “lavati” dalle componenti potassiche e venivano letteralmente buttati via. Il risultato era incredibile, il fiume Morello, a valle degli stabilimenti, e poi il Salso meridionale, giù fino a Licata, venivano inquinati da acque fortemente salinizzate, aggressive, capaci di sterilizzare ampie parti del corpo idrico ricevente e in quelle acque si gettava la parte più preziosa del minerale scavato. Si, proprio così, il magnesio contenuto nei Sali di Pasquasia poteva essere estratto, da quelle “scorie” industriali si poteva ricavare una risorsa preziosissima e considerata strategica dall’equilibrio mondiale dei tempi. Alla risorsa si interessarono i sovietici, che però allora erano “nemici”, e l’esperimento, capace di produrre una certa quantità di ottimo magnesio metallico, componente essenziale per aerei, industria aerospaziale, industria medica, rimase un curioso esperimento nonostante l’illuminato impegno di un uomo politico ennese che aveva compreso le possibilità offerte dalla “verticalizzazione” del magnesio. Luigi Curcio, presidente della Provincia di Enna, “padre” della Legge 9/86 che in quegli anni dava vita alle Province Regionali di Sicilia, si battè strenuamente per garantire questo radioso futuro, ma la sua idea si scontrò con oscuri, complicati giochi strategici che paiono trasparire dalle teorie che l’Avvocato Fragalà espone a Giuseppe Regalbuto poco prima di essere ucciso barbaramente.
Interessi militari, strategici, nazioni lontane e concorrenti, forse persino interessi italiani contrapposti a quelli siciliani e… debolezza, una grande, incredibile debolezza politica di un territorio che non riesce a seguire e perseguire i propri veri obiettivi.
Si giunge così agli anni novanta, ad una Europa che vede fragorosamente cadere il muro di Berlino, sfaldarsi la cortina di ferro, scomparire l’URSS e comparire nuove nazioni.
In questo contesto, mentre lo Stato stanzia una pioggia di miliardi per il rinnovo degli stabilimenti di Pasquasia, mentre il Genio Civile di Enna celebra una gara per la realizzazione di un depuratore che impedisca alle acque di salamoia della miniera di inquinare Morello e Salso, l’Italkali viene condannata per inquinamento e gli stabilimenti vengono “temporaneamente” chiusi.
Dal Luglio 1992 al 1995 l’Italkali rimane a cancelli chiusi, solo nel 1995 consegna gli impianti all’Ufficio pubblico competente, il Distretto Minerario, che accetta la consegna degli impianti di superficie e delle gallerie tutti in buono stato ad eccezione dei compartimenti più profondi non più disgaggiati e quindi definiti in condizioni “da approfondire”.
A questo punto la sorte della miniera appare scontata, nonostante la domanda del mercato, nonostante la capacità industriale delle maestranze, nonostante l’indotto specializzato, nonostante i bisogni della società ennese e centro sicula, la miniera chiude. Nel 1996 lo Stato revoca i finanziamenti prima concessi siglando, laddove ce ne fosse stato bisogno, la scellerata scelta di far fuori una delle più importanti storie dell’Italia moderna.
In quegli stessi anni, le mai sopite storie di Tir fantasmi, di luci strane, di movimenti sospetti attorno i recinti della miniera si moltiplicano e fanno il paio con i numeri di ammalati di tumore registrati dall’oncologo dell’Ospedale Umberto I di Enna, il Dr. Cammarata, scomparso anch’egli per il male del secolo.
L’opinione pubblica si accende, però, quando, con una modalità veramente strana, alcune dichiarazioni di un pentito di mafia, il sancataldese Leonardo Messina, impiegato presso una cooperativa dell’indotto di Pasquasia, pentito ascoltato con grande interesse e definito attendibile anche da Paolo Borsellino, vengono rese pubbliche. Il boss nisseno rivela che le gallerie sono state utilizzate per accantonarvi rifiuti, sia tossici come nocivi ma anche nucleari.
Enna si infiamma, le pubbliche assemblee si moltiplicano alla ricerca di una verità che non riesce a venire a galla. Le dichiarazioni del Messina vengono smentite, la attendibilità del pentito, che viene sentito anche dalla Commissione parlamentare sui rifiuti, viene demolita, lo scontro si profila tra organizzazioni che sostengono a spada tratta la totale estraneità di Pasquasia a qualsivoglia uso illecito e chi, a gran voce, chiede di appurare la verità, anzi la Verità.
Il movimento spontaneo viene, ovviamente, screditato, la “politica” ennese si schiera contro la volontà dei cittadini di sapere, e chi si è messo a capo del movimento viene accusato di voler conquistare un posto al sole, una sindacatura, un seggio o magari una seggiola seppur sgambata. Siamo alle solite, la politica ha consentito lo sfascio della più importante risorsa del territorio, la cancellazione del comparto, l’ammutolimento della più antica classe mineraria d’Italia, la perdita della forse unica risorsa vera, materiale, in una terra in cui solo la stessa terra e l’amore agricolo consente oggi di usare la parola “prodotto” e la stessa “politica” si permette di delineare le modalità con le quali la gente può esprimersi.
Di certo però qualcosa non funziona, le prime rilevazioni fanno capire che lo stabilimento, consegnato in buono stato, inizia a tradire uno sfascio incredibile, crolli, abbandoni, materiali disparati accantonati nei piazzali ed anche sotto la pioggia, persino un bunker con barre di cesio 137 messe lì in attesa di non si sa quale futuro.
Agli allarmi, nel 2002, segue la richiesta da parte della RESAIS che nel frattempo ha preso il posto del liquidato Ente Minerario Siciliano, chiede all’ARPA Sicilia la redazione di un piano di caratterizzazione che consenta la bonifica dei luoghi.
Siamo ai giorni nostri, tra un allarme nato dalle proposte oscene di politici siracusani (Gennuso) di utilizzare i vuoti delle gallerie per accantonare i fanghi tossici degli stabilimenti costieri siciliani e le tante, troppe “leggende” di traffici, malattie, morti, interessi, disattenzioni, viene costituita la Commissione Provinciale Speciale per lo studio delle problematiche riguardanti la Miniera di Pasquasia. Ne diviene presidente il Consigliere Giuseppe Regalbuto e, nei tre semestri di lavoro, la Commissione riesce a tracciare una sorta di canovaccio storico documentale delle vicende legate al sito.
Diviene chiaro l’abbandono del sito, diviene altrettanto chiara la condizione oramai di totale distruzione delle strutture di superficie e la impossibilità di entrare in galleria non solo per la sigillatura delle stesse (1996) ma anche per la mancata manutenzione degli oltre 50 km di ambienti ipogei non di rado giganteschi.
Tra le vicende si inserisce la paradossale avventura del tentato furto di rame alla centrale di derivazione con il conseguente sversamento di olii dielettrici nel nudo terreno. La vicenda innalza l’attenzione sulla miniera e alle indagini, oggi sfociate nel rinvio a giudizio di Lombardo, degli assessori e dell’ing. La Rosa, si affianca la procedura per la MISE Messa in Sicurezza di Emergenza, e quindi la bonifica degli impianti di superficie.
Pareva quasi che la parola Fine fosse stata scritta su Pasquasia, che il segreto del contenuto fosse destinato a rimanere seppellito, ed invece… la ditta aggiudicataria, quasi ammaliata dalle incredibili possibilità offerte dal sito pare tuffarsi nelle attività illecite di traffico di rifiuti e illecita riutilizzazione di materiali.
Una storia infinita, un bisogno di verità mai sopito, una ingiuria scolpita a fuoco nel cuore della società ennese… la mia speranza? Che sia anche un momento di risorgimento, un modo per capire come il territorio non è solo dura zolla ed ingrato pane ma è anche intelligenza, società, scelta democratica.
Oggi la Sicilia ha un presidente rivoluzionario, oggi la Sicilia si appresta, almeno a parole, a riforme di portata secolare, ebbene, che questi venti ci riportino la Pasquasia, la Corvillo, La Mandre che vogliamo, che ci riporti la certezza di non essere il fioco fanalino di coda di un popolo di assistiti ma la fiera avanguardia di gente che a suon di zappa, a suon di piccone ha già fatto la storia della Sicilia!
Giuseppe Maria Amato
Consulente Ambientale
Presidente CEA Sicilia