La presidente della Camera Laura Boldrini ha inviato ai deputati una lettera affinchè rispettino la parità di genere linguistica e evitino gli impropri titoli maschili. L’Accademia della Crusca ne ha ribadito la correttezza e la gente si è divisa in mistificatori della parola al femminile e mistificatori della Boldrini che vuole le parole al femminile. Eviteremo il fraseggio scurrile di uomini e donne che reputano tutto questo… ehm, diciamo inutile e ci soffermeremo solo sulla necessità che le parole abbiano un significato pieno e sessuato. Sofismi? Grottesca scollatura fra parola e realtà? Forse, ma la realtà c’è in quanto nominata e se continuiamo a nominarla solo al maschile finiremo col pensare che è naturale la subalternità al maschile, al punto da accettare come ineluttabile il fatto che in molti testi per l’infanzia i maschietti siano re, cavalieri, esploratori, maghi e condottieri e le donne fate, principesse e streghe o che gli aggettivi al maschile siano coraggioso, generoso e duro e quelli al femminile pettegola, invidiosa e antipatica o che cittadino sia più sensato di cittadina più naturale, più rispondente alla realtà, alla verità. Stereotipi certo, ma la parola è tossica e Doris Lessing scriveva che paesi, regimi e genti vennero travolti dalla parola, la parola portatrice di significati e promotrice di violenza o di androcentrismo. Ma qual è la ragione di questo atteggiamento linguistico? La convenzione, l’uso, la presunta bruttezza di certe forme nuove rispetto a quelle tradizionali ministro e certo più bello di ministra o la convinzione che la forma maschile possa includere tranquillamente anche quella femminile? Eppure se ministra proprio non piace maestra, infermiera, segretaria, casalinga non suscitano alcuna obiezione. Le resistenze al riconoscimento del femminile sono di tipo culturale più che grammaticale e vanno di pari passo con le ragioni di chi trova cacofonico il termine femminicidio, peccato che la realtà lo pretenda. Un uso più rispettoso delle parole dunque potrebbe contribuire al progresso sociale di un paese ancora troppo lento nel cammino della reale parità di genere e il linguaggio essendo uno strumento indispensabile, potrebbe di certo essere funzionale alla valorizzazione della soggettività femminile. Facciamo un gioco, usiamo solo titoli femminili includendovi anche il maschile e vediamo quanto resisteranno i nostri cavalieri. Cominciamo con direttora, sindaca, chirurga…
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