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Abratio memoriae ovvero: la paura della storia

boldrini duceDUX, una scritta, magari invisa a tanti, ma una scritta, tre lettere, parte di una storia che coinvolse l’Italia nel bene e nel male, la stessa cosa delle innumerevoli Via Vittorio Emanuele, Corso Umberto, Via Garibaldi… delle tante statue del Peppino a cavallo.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, esasperati dallo stato in cui finì il bel Paese dopo anni di fame e bombardamenti, di debolezze e isterie, i vincitori/vinti, si applicarono a cancellare, non di rado malamente, i simboli del regime. Vennero abrase le scritte, tolte le scuri, scalpellati i fasci littori. Restarono i villaggi rurali, i palazzi, le torri civiche, i nuovi quartieri neoromani, le nuove città. Si cambiarono anche i nomi, scomparve Littoria…
Ma questo accadeva come si suol dire “a caldo”, nell’impeto della dimostrazione di alterità rispetto il regime.
Avviene sempre, a caldo, ricordiamo tutti la bandiera rumena con il buco al centro durante la rivoluzione che destituì Ceausescu, ricordiamo la statua di Saddam che cade giù, le effigi di Gheddafi date a fuoco, e questo fenomeno affonda così tanto le radici nella passio politicae dell’uomo che uno dei primi esempi sta nell’antico Egitto, con la certosina cancellazione della memoria del faraone eretico, di Akenathon.
Mi chiedo però, cosa caspita porta la terza carica dello Stato italiano, la Presidente della Camera, On. Laura Boldrini, a misurarsi con quelle tre lettere.
Che fastidio possono averLe dato, caro Presidente, tre lettere che stanno lì, oramai totalmente storicizzate, parte integrante della nostra, si mia e Sua storia, della storia di un popolo, quello “italiano”?
E che cambierebbe qualora levassimo quelle tre lettere e lisciassimo l’obelisco?
Faccia un giro ad Enna, dove una delle piazze è superbamente e, mi permetto di sottolinearlo, meravigliosamente neoromana, con l’intervento del grande architetto Caronia Roberti, a disegno del massimo intervento urbanistico degli ultimi tre-quattrocento anni. O vada a Palermo, ad ammirare lo spettacolare palazzo delle Poste, con il colonnato di pura forma e gli interni che Bertolucci usò per girarvi le scene dell’Ultimo Imperatore, o, ancora a Ragusa, e più vicino a Roma l’agro pontino. E poi, ancora l’EUR, si altre tre lettere, dove la metafisica diviene urbanità. Che facciamo, Presidente, ci diamo al piccone?
Perché, invece, non si diletta a stigmatizzare l’abuso, il pessimo italico attacco al territorio, le opere pubbliche fatte con la marmellata, le baraccopoli e le città satelliti fatte solamente di emarginazione?
Perché, Presidente, invece di pensare a Benito, non pensa a quanto male, senza lettere, hanno fatto i palazzinari di tutto il dopoguerra, cancellando il meglio di intere città.
DUX, lo scrivo, io uomo socialista, da sempre, lo scrivo e ne esorcizzo ogni possibile valore attuale. DUX, è passato, fece male e fece pure bene, come altri, forse più di altri, oggi non mi importa e, mi permetta, mi diletto a rivederne l’impianto culturale, la rivisitazione di una romanità che nelle mani di grandi architetti riportò l’Italia sui manuali.
Mi creda, c’è altro a cui pensare, oggi, in questa Italia che la ha chiamata ad occuparsi delle sorti politiche del Paese di oggi, non di quello di ieri.

Giuseppe Maria Amato

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