Palermo, aula magna della Facoltà di Ingegneria, l’associazione Genitori e figli organizza un incontro dibattito dal tema “Mercanti di luce, narrare la bellezza tra padri e figli”. Ospite d’onore il Prof. Roberto Vecchioni, cantautore di chiara fama e lingua, si sa, priva di qualsivoglia peluria.
Il valente oratore, dovendo parlare di bellezza, quindi anche di cultura, che le due cose, in un mondo vero, dovrebbero camminare ben vicine, esordisce dicendo che nonostante il magnifico mare la Sicilia è… un’isola di merda, si, proprio così, con queste testuali parole.
Lo è perché sulle strade percorse da Punta Raisi a Palermo su 400 motociclisti 200 non portano il casco, perché non vi è viale, strada, vialetto, vicolo, rua che non abbia le sue due e persino tre file di auto parcheggiate in una provvisorietà sempiterna, e tutto questo, parole del cantautore, significa solamente non aver compreso il senso dell’esistenza con gli altri. Così, Sicilia, potrai avere il mare più bello del mondo, le cose più spettacolari, ma sarai sempre… un’isola di merda!
Il pubblico rumoreggia, si alza, si indigna, si aspettava sviolinate e le solite patetiche elencazioni delle meraviglie che ornano questo drappo triangolare, questa porzione di Eden rimasta impigliata in terra.
L’incontro si chiude in poco meno di un’ora e Vecchioni si guadagna un pubblico di nemici giurati, in primis, parrebbe, i signori organizzatori.
Ora, diciamocelo con sincerità, che senso ha indignarsi se le parole del Vecchioni sono pura verità?
Si il nostro senso “sociale” è pari a zero, qualche giorno prima un signore (ovviamente si fa per dire, potremmo dire in siciliano “un zzi”), sempre a Palermo pensò bene di parcheggiare la sua smart direttamente sulle rotaie del tram, e vista la dimensione dell’auto, di traverso, così da assicurarsi che nessun mezzo su rotaie avrebbe mai potuto superarla.
A Palermo, ad Enna invece il casco si usa, di più, forse perché col freddo fa comodo, forse perché le nostre forze di sicurezza hanno fatto in modo di farcelo capire con le buone o con le meno buone, però, ad Enna, si parcheggia fuori area, sulle strisce, sulle banchine, sugli scivoli per le carrozzelle, con o senza quattro frecce, con o senza riflettere delle necessità degli altri, del bus, del camion della nettezza urbana, degli eventuali mezzi di soccorso. Ma Vecchioni non di questo voleva dire, non dei caschi pulitissimi perché mai usati dei palermitani, voleva dire. Vecchioni voleva parlare della “bellezza” preclusa, di quella bellezza che o è bene collettivo, riconosciuto, identitario, o non è.
La Sicilia, lo chiarì anche il Tomasi di Lampedusa nel lungo monologo del Principe Fabrizio, si ritrova ad avere la più numerosa schiera di monumenti che mai terra abbia potuto avere. Non vi è epoca che non abbia lasciato un monumentale segno del suo passaggio, templi, chiese, castelli, antichità, stili, oggetti. Ma nessuna di queste cose viene vissuta dal siciliano come propria, come identità vera, innegabile, profonda. Il siciliano colto se ne riempie occhi e cuore, il siciliano della strada vi appoggia la sua bancarella, il cretinetti a spray vi scriverà sopra il nome della amata di turno o addirittura il proprio in una estasi di autoappagamento che qualcuno continuerà a chiamare arte, ma nessuno, dico, nessuno, sentirà mai quelle cose, quelle pietre come parte di sé.
Siamo greci ma non tanto da sentire nostri i templi, normanni ma non così da vivere le migliaia di metri di mosaici come nostra visione del mondo, e svevi, ed aragonesi, bizantini, spagnoli, mediterranei e nordici ma mai così tanto da sentire che una espressione d’arte sia veramente nostra.
Riesce forse al barocco “netino” nato relativamente da poco, nato in un contesto culturale estremamente locale, supportato da una intera popolazione e quindi divenuto identità. Quasi sempre, almeno sino agli anni ’60 del XX secolo, un netino, un avolese, un ragusano, costruendo la sua casa, per quanto povera ed essenziale, mai avrebbe rinunziato ad apporvi una chiave di volta intagliata nella bianca roccia calcarea, un cantonale evidenziato da bugne, un segnale di appartenenza ad una corrente culturale che in quelle cose sentiva la “bellezza”.
Gli storici dell’arte tedeschi chiamarono questa cosa, questo sentimento “kunstwollen”, traducibile un po’ come “volontà d’arte”.
Il kunstwollen per esistere deve far capo ad una società che si riconosce, composta da esseri umani che riconoscono, nelle comuni regole e, appunto, nella dimensione del “bello”, quelle caratteristiche che divengono comune identità.
Qui, invece, riconosciamo a stento il nostro individuale, sacrosanto, primitivissimo diritto a passar sopra qualsiasi bellezza se la stessa rappresenta un ostacolo, una deviazione, un momento nel quale venga messa in discussione la propria identità.
Così si procede a giustapporre un condizionatore, un’insegna, persino un cartello di indicazione turistica, tutto senza alcun rispetto per il luogo in cui si agisce. Le nostre città ridotte ad una selva di fili, antenne, parabole, serbatoi, infissi metallici, insegne, cartelli, bidoni, tubi. Una selva inestricabile nella quale la bellezza si rimpicciolisce, si impaurisce, scompare.
Vecchioni è di impatto, ma la sa lunga e la dice tutta, quei caschi puliti, mai usati, ben riposti, sono il senso di quel che manca a quest’isola per essere finalmente bellissima!
Giuseppe Maria Amato
IL MONDO POLITICO BOCCIA VECCHIONI
Da “repubblica.it”
[…] Dure le reazioni anche del mondo politico. “I suoi volgari commenti non servono e non interessano ai siciliani che, a differenza di cio’ che afferma Vecchioni, sanno benissimo cos’è il senso dell’esistenza con gli altri e con la civiltà che li contraddistingue, ignoreranno i suoi sproloqui.
Piu’ che Vecchioni a me interessa Goethe quando diceva che l’Italia senza la Sicilia non lascia immagine alcuna nello spirito”, afferma in una nota il sottosegretario allo Sviluppo Economico Simona Vicari.
Non è la prima volta che il cantautore fa cortocircuito quando viene in Sicilia. Il 17 agosto 1979 venne eseguito a Milano un mandato di cattura nei suoi confronti firmato da un giudice del tribunale di Marsala, Salvatore Cassata, per spaccio di sostanze stupefacenti. Vecchioni venne arrestato e due giorni dopo venne trasferito nella casa circondariale di Marsala, dove rimase appena quattro giorni prima di essere scarcerato.
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