Cose di questi giorni, cose che sentiamo e vediamo facendo zapping in TV o semplicemente girando sul nostro social preferito.
Ma andiamo con ordine, intanto il contingente di olio di oliva tunisino che entra in Italia senza dazi e come segno di solidarietà verso l’unica nazione della sponda sud del Mediterraneo che non sia finita in mano alla sconfortante distruzione dei percorsi democratici.
Alla notizia dell’accordo, che, peraltro, non fa che rendere palese quel che normalmente accade quando una delle tante industrie italiane acquista olio da altre aree del Mediterraneo senza manco controllare come lo stesso olio è stato coltivato, raccolto, molito, conservato, trasportato, e poi lo imbottiglia in eleganti confezioni, magari con la dicitura Olio extra vergine d’oliva italiano, tutti lì a innalzare le barriere della nazione, a gridare allo scandalo, all’uccisione del diritto all’autarchia ed alla salubrità delle mense tricolori. Ora, fermo restando che in qualche modo dobbiamo pur aiutare la vicinissima Tunisia, potremmo iniziare ad occuparci di quel che quotidianamente compriamo quando andiamo a fare la spesa nel supermercato del nostro paese.
E qui arriva il secondo quadro, qualche pagatissimo comunicatore è stato assoldato direttamente dallo Stato per metter su una bella pubblicità, una réclame, come si diceva una volta, che ci narra dell’olio di palma e di come lo stesso possa essere proveniente da coltivazioni sostenibili. Ma come caspita gli viene? Intanto l’olio di palma non viene coltivato in Italia e neanche nel Mediterraneo, ma in paesi tropicali nei quali, non di rado, le coltivazioni hanno preso il posto di immense foreste pluviali un tempo dense di biodiversità e capaci di dare riparo e cibo a centinaia di popoli tribali oggi costretti a vivere nelle poverissime periferie delle megalopoli, e a migliaia di specie vegetali e animali oggi o scomparse o in via di estinzione come, ad esempio l’Orango. Però è sostenibile, non si sa per chi lo sia, e, quando giriamo nei supermercati, vi invito a fare la prova, diviene l’ingrediente più diffuso in tutti i prodotti di pasticceria e panetteria. Non vi è biscotto a cereali, integrale, dietetico, normale, non vi è brioscina, plum cake, tortina o crema che non abbia l’olio di palma come ingrediente. Si, quell’olio non italiano, non tunisino, non sostenibile, e, soprattutto è non buono per la salute, nostra e del pianeta. Però, il Governo italiano paga qualcuno per indurci a sostenere il suo consumo.
Infine il petrolio, si, certo, non direttamente sulle nostre tavole, ma pericolosamente nei nostri mari. Così mentre ci preoccupiamo che i vicini di casa tunisini possano per due anni esportare quel che, comunque, esportano, senza applicarvi tasse particolari, si continua a trattare il nostro mare, quello dal quale viene la maggior parte della risorsa alimentare ittica, il pesce buono, quello solcato da migliaia di navi piene di veleni di ogni sorta, quello in cui i giapponesi fanno incetta dei tonni, quello che potrebbe essere il futuro alimentare e turistico della nostra splendida isola, come fosse luogo di nessuno, immensa, sterminata serie di onde dalle quali estrarre petrolio sia dentro che fuori le dodici miglia.
Ci sentiamo persino dire che dimostrarsi contrari a che i contratti di chi fa ricerca con danni gravissimi all’intero ecosistema marino abbiano diritto come nessun altro a continuare le concessioni senza alcun momento di revisione, come se il mare fosse loro e di nessun altro, siamo di certo oscurantisti, contro il paese, contro quell’Italia sbloccata che un tizio, certamente alleato con petrolieri e produttori di olio di palma, governa senza più remore per la vita vera del Paese, di quel che era il Bel Paese.
La Sicilia ha pagato caro lo scotto della necessaria diffusione della produzione di energia alternativa, i nostri crinali sono puntellati da migliaia di pale eoliche, grandi porzioni di aree un tempo agricole sono oggi trasformate in campi fotovoltaici e, però, invece di allontanarci, come altri paesi d’Europa, dalla ricerca obsoleta e impattantissima degli idrocarburi, Renzi e Crocetta si gettano a testa nel nero mare dei petrolieri, cappello texano in testa alla faccia del nostro futuro.
Questa informazione non mi piace, non ci piace, e, tornando alla Tunisia, sappia Renzi e sappia Crocetta, che aiuteremmo di molto la cara vicina di casa semplicemente garantendo sia da qui che da lì del mare che lo stesso mare, la stessa aria, gli stessi suoli, siano capaci di dare altre migliaia di anni di buon grano, buon olio, buon pesce e splendidi paesaggi.
Giuseppe Maria Amato
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