L’Italia, alla notizia della scomparsa dell’ex Presidente emerito della Repubblica Italiana, “muta al nuncio sta” ma, poco dopo, in tantissimi commenti apparsi nei media e nei social net si sono scatenati affermazioni a dir poco nauseanti, a parte quelli che invece ne hanno descritto i lati positivi dell’uomo e del personaggio rappresentante delle Istituzioni.
Come si può concepire che nell’Italia di oggi, che i più specie all’estero ritengono Paese di grande cultura, di educazione e di maturità intellettuale, oltre che di esemplarità di costumi e di buon parlare? Non si può essere esterefatti e basiti – in senso negativo – per la morte di uno dei più illustri e benemeriti Presidenti della Repubblica Italiana.
Eppure alla notizia della sua morte, si sono scatenati le più disparate maldicenze sull’uomo e sull’operato di Carlo Azeglio Ciampi, ritenuto responsabile o corresponsabile dei mali dell’Italia di oggi. Ma si sono registrate anche commozioni positive della Politica, di uomini delle Istituzioni e dell’economia, lavoratori e professionisti, casalinghe e disoccupati, giovani e meno giovani, che hanno visto in Ciampi l’uomo che ha saputo traghettare l’Italia in Europa, quasi fosse una scelta obbligata dinanzi alla situazione in cui versava l’Italia degli anni 90’.
Il nostro obiettivo non è tanto rendere un grande onore e se non dopo averne ritagliata una raffigurazione coerente della sua azione, quanto quello di definirne gli aspetti che riteniamo tratti caratteristici della sua figura di uomo e di rappresentante delle istituzioni; quanto meno ci vogliamo provare.
La sua figura è stato uno snodo essenziale per consentire un’inversione di rotta, stante la grave crisi di allora in cui versavano la “lira e l’economia italiana” di allora, prescelta per le sue competenze di Governatore della Banca d’Italia.
Se i tempi e le valutazioni lo consentono e la memoria di quegli anni ci assiste, vorremmo definire quella di Ciampi un’azione ben mirata attraverso una oculata gestione economico-finanziaria e monetaria effettuata dal suo governo tecnico sia per provare a risanare i conti pubblici e contrastare la debolezza della moneta soggetta alle gravi turbolenze dentro lo SME (chi è che non lo ricorda ?), sia per traghettare l’Italia in uno nuova dimensione sovranazionale di livello europeo che avrebbero cambiato, come poi hanno cambiato, la storia d’Italia, il suo rapporto con l’Unione Europea, pur nella consapevolezza delle difficoltà dell’Italia degli anni 90’ nel consesso internazionale per le sue debolezze, per il suo PIL, per il suo cambio, per i tassi di interesse, per il deficit pubblico e per il debito pubblico, per la bilancia commerciale e per l’economia in genere.
L’uomo era coraggioso e competente come pochissimi, certamente per allora l’uomo giusto al posto giusto. Era un servitore dello Stato e delle sue istituzioni, pronto ad assumersi le sue responsabilità supportato dal suo amor di Patria; ma anche un uomo, dotato di spiccate competenze tecnico-bancarie e, quindi, monetarie, che gli consentivano una concreta conoscenza e una grande capacità tecnica di governo e di amministrazione.
Convivono nella sua persona la grandiosa dimensione comunitaria degli obiettivi perseguiti, ma con le condizioni imposte dall’U.E. ed il senso della realtà in cui versa l’economia dello Stato e del Paese, irta di apparenti difficoltà che sembrano macigni, ma valeva la pena programare, negoziare e lottare per riconfigurare un ruolo di primo piano per l’Italia oltre i suoi confini.
L’Italia di quegli anni – crollato il muro di Berlino nel 1989, era sotto shock per gli eventi di Tangentopoli, per le stragi e, in politica, per la rivoluzione del sistema elettorale e delle formazioni politiche vecchie e nuove, che costituirono fatti di grandissima rilevanza per la storia dell’Italia Repubblicana.
Anni di fortissima tensione sociale, politica ed economica, finanziaria e monetarie, in cui si fronteggiano nuovi ideali illuministici e democratici da un lato, e atteggiamenti di conservazione e moderazione.
Forti contrapposizioni ideali di come intendere fare politica, gestire la res pubblica e lo sviluppo del Paese, battaglia che incalzava sotto la pressione della congiuntura di allora.
Ciampi, sostanzialmente, si trovo tra tanti fuochi e tensioni e provò a spegnerli ed evitarli, cercando la mediazione, ma mettendo in risalto gli aspetti del suo forte carattere e della sua personalità: schiettezza, semplicità di linguaggio comunicativo sia a livello istituzionale e politico che nei rapporti con la gente, nei rapporti diplomatici internazionali e con la Chiesa, verso cui si pose quasi come un religioso credente, ma di formazione laica, che mostrava di avere nel corso dell’esercizio della rappresentanza istituzionale, ma sempre in modo obiettivo ed imparziale essendo uomo alla ricerca dell’unità del Paese rispettoso dei rapporti con le istituzioni religiose.
Per quanto riguarda gli aspetti dell’uomo Ciampi, può esser lecito pensare ad una prospettiva o ad una realtà di fede vissuta e messa in atto quale laico ?
Ci chiediamo, dopo la sua scomparsa, se ebbe rivali ed invidiosi del suo ruolo. Noi riteniamo di no perché mai si vantò di suoi successi personali, ma operò sempre con gli altri e mai da solo per il raggiungimento del bene comune.
Ma la sensazione è che i rivali forse li doveva pur avere, se dopo la sua morte, gli sono state rivolte accuse – a nostro parere ingiustificate – di colpevolezza per le condizioni economiche in cui versa l’Italia di oggi e per aver fatto partecipare il Paese all’Unione monetaria. I soliti ignoti che non hanno saputo captare i suoi tormenti di allora quando, dinanzi ad un possibile default, non era pensabile ipotizzare una scelta che non fosse la partecipazione all’Europa del Trattato di Maastricth, preparandone le condizioni, avendo dovuto accettare il Patto di Stabilità. E questo cos’era, se non il pensiero al bene comune e l’amor di Patria, nella speranza di scorgere in lontananza la costa cui approdare, sia pur in mezzo alle onde travolgenti proprio come il naufrago di Alessandro Manzoni del “5 Maggio”.
L’uomo dinanzi all’incalzare degli eventi non si arrese e lottò per ciò in cui credeva e non disperò, anzi andò avanti, fiducioso nella sua intima religiosità e nella coscienza collettiva di tutta la nazione italiana per il cui bene credeva fermamente di agire, nella speranza del rafforzamento della pace e del miglioramento del benessere. Se è così, non possiamo credere che agisse senza cognizione di causa e cercasse i suoi tornaconti di successo e la gloria fine a se stessa. No ciò no, perché era un uomo intriso di alti valori ed ideali, per il bene del Paese, per educare i giovani e per rinsaldare le realtà territoriali di un’Italia che stava per cambiare in una prospettiva di integrazione e coesione sia nazionale che europea. Fu per questo un simbolo di riscatto e di rigenerazione dei costumi morali, sociali e politici. Non fu un superbo ed appare inconcepibile ogni atto diretto a discreditarne la dignità di uomo e la correttezza e coerenza nell’azione.
Non appare produttivo di positività e rispetto della sua memoria il poter fare, gratuitamente, affermazioni alquanto dispersive, disdicevoli ed inconcludenti specie dinanzi alla morte di uno dei migliori Presidenti della Repubblica Italiana. Meriti e demeriti saranno giudicati dalla Storia.
Era un uomo forgiato dalla guerra, uomo di disciplina, di alte doti umane e professionali, pieno di passione e forte tensione ideale e di dignità, di notevole rigore morale, di riserbo e di discrezione, capace di saper distinguere la vita religiosa personale da quella laica dell’esercizio del potere. Amava la libertà, la democrazia, la solidarietà e la convivenza civile, grandi tratti salienti e caratteristici della sua persona e del suo ruolo.
La sua scomparsa ha suscitato profonda commozione e non sono mancati attestazioni di stima e di rispetto.
Silvio Di Giorgio