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La sinistra in quanto contraddizione (1)

La contraddizione – insanabile, esistenziale – degli “intellettuali di sinistra” appare essere la contraddizione tra ciò che si sceglie per sé e ciò che si sceglie, di fatto, per gli altri. Tra ciò cui si aspira per sé e per la propria famiglia e ciò per cui ci si schiera e si lotta a livello sociale.
Tra senso del dovere e senso di appartenenza.
Si sceglie per sé una vita borghese. Strutturalmente e idealmente. Potremmo dire, anche spudoratamente borghese. O borghese fino al midollo! E si sceglie al contempo di stare con gli operai, gli sfruttati, i poveri, gli umili, gli ultimi.
Ma continuando a voler essere i primi. Non per livello economico, certo (tranne casi deviati e aberrati), ma per livello socio-culturale. Si sceglie di primeggiare, rimanendo con gli ultimi; di emergere stando a fianco dei “sommersi”; di affratellarsi prendendo le distanze.
La qualcosa è oggettivamente ardua. Fisicamente ardua.
Ciò accade, beninteso, non del tutto volontariamente. Credo che si tratti di una contraddizione ineliminabile perché connaturata alla complessità della scelta fatta, della società, e probabilmente dell’ esistenza stessa, così come la conosciamo tuttora.
Una contraddizione che tuttavia è possibile mitigare, e che di fatto viene mitigata dai tantissimi rappresentanti della sinistra seria, fattiva, autentica.
Abbiamo di essa esempi storici più che luminosi, da Gesù Cristo, a San Francesco d’ Assisi, a Gandhi e a tanti altri. E ne abbiamo anche tantissimi esempi attuali, meno estremi, meno estranianti dal mondo, forse anche più umili.
Quel che tuttavia permane, e di cui credo occorra tener conto, è la (in fondo triste) irriducibilità delle distanze tra “noi” e “loro” a diversi livelli. Ricordarle non vuol dire assolutamente volerle enfatizzare o sottolineare, ma tenerle presenti per non farne un uso improprio. E per non dissimulare le differenze. Ma soprattutto, la consapevolezza di come e quanto moltissimi esponenti della sinistra si sono – ci siamo – allontanati dai lavoratori manuali, dai poveri, dagli ultimi, può aiutarci in un compito importante e urgentissimo.
Quello di riavvicinarci a loro nell’ unico modo che ci è possibile: la sobrietà negli stili di vita e nei comportamenti concreti.
Non è possibile, infatti, fingere o sostenere di essere gli ultimi, in quanto a lavoro, cultura, aspirazioni, scelte esistenziali, modelli di riferimento. Né tantomeno vagheggiare ipotesi di ritorno all’ideale del “buon selvaggio”, in cui tutti siamo innocentemente uguali.
Ma se non possiamo “essere” gli ultimi, possiamo tuttavia “fare” gli ultimi.
Sia pure in ridottissima misura.
E possiamo farlo nell’ unica dimensione che, in fondo, è a loro utile. La dimensione della restituzione sociale. Possiamo ridar loro qualcosa (o anche tanto) di ciò che gli abbiamo storicamente, più o meno colpevolmente, sottratto. E la sobrietà è, di per se stessa e nei suoi effetti concreti, restituzione.

Giovanni Rotolo

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