Nel contratto di governo del M5S e della Lega non è prevista l’uscita dall’euro, ed è vero. Ma è altrettanto vero che tra loro ci sono quelli che pensano sia una cosa buona uscire dall’euro, e l’hanno pure teorizzato e detto pubblicamente prima della formazione del governo giallo-verde. L’uscita dall’euro e la sua sostituzione con la moneta nazionale sono dei passaggi necessari per attuare politiche di spesa ricorrendo la debito. I sovranisti questo la sanno perché in uno Stato nazionale sovrano il debito e la moneta sono un tutt’uno. Con la creazione in Europa di una moneta unica gestita a livello sovranazionale, lasciando la politica fiscale agli Stati nazionali, questi non hanno più la possibilità di ricorrere al debito. Se uno degli Stati dell’Unione Europea lo facesse, è come se emettesse il debito in una valuta straniera di cui non ha alcun controllo. Prima o poi, anzi prima che poi, dovrebbe tornare alla moneta nazionale con un ripiegamento verso lo Stato nazionale sovrano e la rottura con l’Unione. Se lo facessero tutti, sarebbe la fine dell’euro e dell’Unione europea. A giudicare da quello che il governo M5S-Lega sta facendo con la legge di bilancio, la linea di tendenza è propria questa, aldilà delle rassicuranti dichiarazioni verbali sull’intangibilità dell’euro. Il processo di formazione del bilancio 2019, che si svolge in uno stretto rapporto di interlocuzione con la Commissione europea, si è aperto con il Documento di economia e finanza (Def) presentato dal governo Gentiloni nel mese di aprile di quest’anno. Il Def nel quale il governo la situazione economico-finanziaria del Paese e formula gli obiettivi che intende raggiungere nel 2019. A settembre, il governo Di Maio-Salvini di M5S-Lega presenta la Nota di aggiornamento al Def (NaDef), alla vigilia del disegno di legge del bilancio 2019. Il NaDef serve per aggiornare gli obiettivi formulati ad aprile nel Def alla luce dell’andamento della situazione economica. La politica economica del nuovo governo giallo verde è diversa da quella del precedente governo. Si caratterizza per l’aperta sfida alle regole dell’Unione europea, come M5S e Lega avevano annunciato prima delle elezioni del 4 marzo. Il cambiamento di rotta impresso alla politica economica è subito messo in chiaro dal nuovo governo. L’indebitamento netto programmato (la differenza tra le entrate e le spese nel bilancio pubblico di Stato, Regioni ed Enti Locali) in rapporto al Pil nel triennio 2019-2012 è di: -2,4% (2019),- 2,1% (2020) e -1,8% (2021). Senza gli interventi programmati dal nuovo governo, per effetto delle manovre attuate dal governo precedente e dall’andamento del sistema economico, il rapporto deficit pubblico-Pil nel triennio sarebbe stato di: -1,2% (2019), -0,7% (2020) e -0,5% (2021). Molti restano stupiti di tanto clamore suscitato dal radicale cambiamento di rotta perché quei valori del rapporto deficit-Pil programmati per il triennio 2019-2021 dal governo giallo-verde sono inferiore al limite del -3% previsto dal trattato di Maastricht del 1992. Da allora sono successe molte cose di non trascurabile rilievo: l’adozione della moneta unica entrata in circolazione nel 2002 e nuove regole europee sempre più stringenti in materia di gestione dei bilanci dei singoli Stati. Con le nuove regole, il six pack del novembre 2011 e il trattato internazionale del marzo 2012 (fiscal compact), entrato in vigore il 1° gennaio 2013, il termine di riferimento non è più il vecchio limite 3% del deficit sul Pil del trattato di Maastricht del 1992, ma il pareggio del bilancio pubblico. Quando si parla di bilancio pubblico, si parla non solo del bilancio dello Sato ma anche di quello delle Regioni, degli enti previdenziali, dei Comuni e degli altri enti locali. Questo principio del pareggio di bilancio pubblico è stato inserito persino negli articoli 81, 97,117 e 119 della Costituzione con la legge costituzionale dell’aprile 2012. Il saldo del bilancio deve essere uguale zero, calcolato come saldo strutturale, cioè corretto per effetto dell’andamento del ciclo economico e al netto delle misure temporanee e una tantum. Nel calcolo del saldo strutturale si tiene conto, tra le spese, del pagamento degli interessi sul debito pubblico. Le nuove regole, stabilite con trattati internazionali, sono molto restrittive, non c’è dubbio. Ma non c’è alcuno dubbio che se questi trattati sottoscritti venissero ripudiati, disattendendone sistematicamente le regole, gli effetti sull’intero ordinamento giuridico ed economico dell’Unione europea e del mondo intero sarebbero devastanti. L’euro e l’Unione europea si liquefarebbero. Ci sarebbe un’alternativa. Ed è quella di rinegoziare i trattati, mantenendo l’unione monetaria. E’ un’operazione complicata, se non addirittura impossibile, perché si tratta di conciliare sovranismo e moneta sovranazionale.
Silvano Privitera
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