Sette sono i femminicidi dall’inizio dell’anno. Sette donne ammazzate perché ritenute “cosa” del maschio, incapace di comprenderla e riconoscerla come altra da sé. La donna è ritenuta dalla cultura patriarcale un accessorio del padre e del marito e dunque non degna di autonomia di vita e di pensiero. La donna è nel sentire comune funzionale alla riproduzione e al benessere fisico e psichico del maschio e al maschio deve adeguarsi senza irritarlo o offenderlo altrimenti rischia la vita.
Secondo i dati Istat nei primi 6 mesi del 2020 i Sette femminicidi sono stati il 45% del totale degli omicidi. Questa percentuale è salita al 50% durante i mesi di marzo e aprile. La maggior parte dei delitti e delle violenze è avvenuto all’interno delle mura domestiche per mano di partner e conviventi. Fra i partner, nel 70% dei casi l’assassino è il marito, mentre tra gli ex prevalgono gli ex conviventi e gli ex fidanzati. Nel rapporto del Servizio analisi criminale della Polizia si trova conferma di questi dati: le vittime di sesso femminile sono passate da 111 del 2019 a 112 del 2020, le donne uccise in ambito familiare sono salite da 94 del 2019 a 98 dell’anno scorso. Una comunicazione migliore aiuterebbe a capire le dinamiche di un sessismo lapalissiano ma ipocritamente taciuto e l’abolizione della gelosia a giustificazione del femminicida sarebbe auspicabile.
Gabriella Grasso