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Cerami. Il miracolo della Lavina

A CERAMI IN PROVINCIA DI ENNA IL 7 E 8 SETTEMBRE LA FESTA DELLA MADONNA LA CUI EFFIGE FU RITROVATA, SECONDO I RACCONTI POPOLARI IN MEZZO AI DETRITI DEL CONVENTO CROLLATO.

Nel canalone che convoglia le acque piovane verso il torrente Giammaiano, detto della ‘lavina’, sorge il Santuario della Madonna. Questo, nel XIV secolo, era la cappella annessa a un convento di suore benedettine. Due secoli dopo la vetustà del fabbricato era tale che crollando seppellì ogni cosa. Si racconta che sotto le macerie sia rimasto seppellito anche un quadro raffigurante la Madonna. Ancora oggi sono due le versioni sul ritrovamento dell’effigie della Madonna della Lavina, nella zona da sempre denominata ‘u lavinaru’, per le acque che ancora oggi vi scorrono. Nelle vicinanze si trovano un abbeveratoio ed una vasca, denominata ‘gebbia’ dove, fino a poco tempo addietro, le massaie si recavano per lavare il bucato. Racconta una pia tradizione che la mula di un viandante, attraversando i luoghi del vecchio monastero, si inginocchiasse sul posto dove era sepolto il quadro. Non volendo l’animale proseguire il suo cammino costringeva il padrone a chiedere l’aiuto dei contadini che lavorano nelle vicinanze, i quali, vista la mula che con gli zoccoli cercava di scavare nel terreno, cominciavano anch’essi a rimuovere la terra fino al ritrovamento del quadro. L’altra tradizione, pur confermando lo stesso luogo di ritrovamento e che il quadro giaceva sotto i ruderi del convento, vuole che la Vergine Maria apparsa in sogno ad una delle suore del convento indicasse il luogo dove si trovava il quadro. Questa aveva invano cercato di far intervenire l’Arciprete del paese per curarne il dissotterramento e recupero. Lo scetticismo del prete fu palese, il sogno si ripetè per altre due volte. Alla terza visione, la Madonna ebbe a dire alla suora benedettina che, data la noncuranza del sacerdote, un fortissimo temporale avrebbe riportato alla luce l’effige. Il giorno seguente il sogno si avverò. Una trave in legno, a cui era inchiodato il quadro, galleggiava nella lavina. La notizia fece subito il giro, anche nei paesi vicini: l’Arciprete, pentito della sua inerzia, fece suonare a distesa le campane; una gran folla si recò, con devozione, sul luogo. Si racconta, e pare confermato da un manoscritto, che il ritrovamento sia accompagnato da un miracolo: un contadino di nome Giuseppe, cieco da tredici anni, condotto dai parenti in pellegrinaggio, appena baciata la sacra effige, riacquistò la vista. Il quadro, si pensa, sia stato dipinto intorno al 1300, un periodo quello nell’entroterra siciliano di acerrime lotte tra paesi, e all’interno di Cerami, tra la popolazione di origine latina e di quella catalana. Potrebbe essere stato, proprio durante questo turbolento periodo, che per evitarne il saccheggio, le suore nascondessero il quadro della Madonna, inchiodandolo ad una trave del soffitto. Quando il monastero fu abbandonato dalle suore il quadro fu dimenticato, e lo stesso fu sepolto tra le macerie, appena lo stesso crollò.
A seguito di questo miracoloso evento fu ricostruita la chiesetta dedicata alla Madonna della Lavina, l’originale del quadro fu consegnato nella nuova dimora delle suore benedettine, fino al loro trasferimento da Cerami, avvenuto alla fine del XIX secolo. Oggi, alla custodia della chiesa e del quadro della madonna provvedono i confrati di San Michele. Subito dopo il ritrovamento del quadro e gli eventi prodigiosi fu introdotta la festa in onore alla Madonna della Lavina. Non si è certi della forma né della data della festa nei secoli scorsi. Gli anziani ricordano che la festa è sempre stata celebrata nel mese di settembre. In tre distinti documenti, risalenti agli anni 1770, 1771 e 1772, si cita la ricorrenza nella seconda domenica di maggio. Lo statuto della confraternita di S.Michele, approvato con alcune modifiche, da re Francesco I, nel 1829, così recita al capitolo V: “La confraternita interverrà alla processione di Maria Vergine Lavina la seconda domenica di maggio”. Si pensa che sia stata spostata nei giorni 7 e 8 settembre, nella seconda metà dell’800, in quanto in quel periodo i contadini erano liberi da impegni di mietitura e trebbiatura. La festa ricorrente a maggio, tutt’ora in vigore, fu denominata “festa dell’incontro”. LA FESTALa ricorrenza della festa è preceduta da una novena che inizia il 30 agosto. In questi nove giorni, all’alba, lo scampanio del Santuario e della chiesa Madre chiamano i fedeli alla messa. Al tramonto, i fedeli, alcuni a piedi scalzi, si recano “a fare i viaggi a Lavina”. La mattina del 7 ha inizio la festa. Fino a non molto tempo addietro, numerosi fedeli si sottoponevano ad ogni sorte di penitenza, tra cui la strisciata della lingua sul pavimento della chiesa, dall’ingresso all’altare maggiore, chiamata “a lingua a strascinuni”. La processione dell’effige si svolge in due riprese. La mattina dal Santuario della Lavina alla chiesa Madre, dopo la messa solenne viene portata alla chiesa di S.Benedetto. Il palio e le “bandiere di alloro” precedono la processione, fino ad alcuni decenni addietro venivano appesi alle bandiere conigli, lepri, frutta di stagione e fazzoletti colorati, in segno di promessa dei devoti; inoltre, la processione veniva ‘accompagnata’ dal suono di tamburi, fischietti e cornamuse. Oggi sono rimaste le bandiere di alloro. Il suono dei fischietti e delle cornamuse è stato sostituito dalla banda. Il quadro della Madonna è posto su un “baialardu”, portato a spalla nuda da numerosi portatori. Nel tardo pomeriggio la processione riprende, precedono le quattro confraternite ceramesi, nei caratteristici abiti, e il gonfalone della città, con in testa il Sindaco e l’Amministrazione tutta, che accompagnano la sacra effigie per tutte le strade del paese. Numerosi i botti e la muscattaria, che diventano sempre più intensi e rumorosi nel viaggio di ritorno al Santuario. Il giorno successivo, ricorrente la festività della natività della Vergine, in mattinata tutta una serie di liturgie al Santuario. Il pomeriggio e fino a tarda notte la sacra della “prima salsiccia”, arrostita nelle caratteristiche ‘loggie’, oltre all’immancabile calia, fave abbrustolite e al tipico torrone del luogo.

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