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Troina. Il monastero sepolto dai ruderi

È stato il più grande monastero di rito greco della Sicilia. Le sue dimensioni (circa 8 mila metri quadrati) e le sue proprietà fondiarie (297 salme di terra) permettevano al suo abate di sedere al 28° posto del braccio ecclesiale del Parlamento siciliano, grandi nomi che hanno dato lustro all’abbazia si ricordano almeno tre santi (san Silvestro, San Lorenzo di Frazzanò e San Filareto copisti bizantini del calibro di Leonzio di Reggio (autore di testi astetici, omilari e canoni liturgici) e abati illuministici come Epifanio Guarnera e Basilio di Napoli. Quello che oggi resta del monastero brasiliano di San Michele Arcangelo detto “il nuovo” a Troina, è un immenso triste rudere sulla Valle del Simeto, da anni in attesa di restauri.

Il passato però è fulgido: una grande produzione di manoscritti fino al XV secolo, una vasta raccolta di incunaboli e testi greci fino alla metà del settecento, l’epoca in cui viene fondata la grande abbazia in stile neoclassico (1761). Dal 1812 la lenta agonia per la perdita dei possedimenti feudali, fino al 1866, quando tutto viene abbandonato a causa delle leggi sabaude: la “preziosa” biblioteca viene dispersa tra Messina, Venezia, Roma, Palermo e la stessa Troina. Il monastero subisce gravissimi danni durante l’assedio alleato nel 1943 tanto da farne un’anticipazione di quello che accadrà a Montecassino.

Troina, la cittadina dei Nebrodi – che fu tra l’altro la prima diocesi dei normanni in Sicilia (1061) – non ha tuttavia, dimenticato il suo monastero greco. Una serie di iniziative culturali hanno inteso avviare una valorizzazione effettiva del grande patrimonio librario “disperso”, a partire dalla pubblicazione dei preziosi incunaboli, oggi conservati alla biblioteca comunale, a cura della Provincia regionale di Enna, sponsor dell’operazione di recupero.

Si sapeva che la biblioteca di San Michele fosse l’ultimo avamposto dei copisti e della liturgia greco-bizantina nella Sicilia Orientale; ne erano coscienti sia studiosi locali che quelli delle vicine Università di Catania e Messina: da tempo si indagava sul grande patrimonio dei monasteri scomparsi dei Nebrodi, poi passati dal XVII secolo al patrimonio dei Benedettini. Le ultime scoperte presentate da Sebastiano Venezia, giovane studioso locale, confermano che attraverso le “note di possesso” dei volumi riposti nei depositi comunali e del convento dei Cappuccini, è possibile ricostruire la consistenza della biblioteca dei basiliani nell’ultimo periodo di vita, tra il Seicento e il Settecento, quando solo a Troina resisteva la figura del Magister Grammaticae Grecae. Poche tracce rimangono, invece, della tradizione greca nella Sicilia dell’Ottocento.

“Ho ricostruito la cronologia dei testi segnalati dalla relazione del Cocchis nel 1726 _- dice il giovanissimo studioso – e si può senz’altro affermare che a Troina fino alla metà del XVIII secolo si elaborassero preziosi salmi e odi in greco scolastico, taluni dedicati ai salmi e odi in greco scolastico, taluni dedicati ai santi della tradizione locale. In questi anni l’unico richiamo alla tradizione liturgica è venuto dall’Eparchia di Piana degli Albanesi, con in testa il vescovo Sotyr Ferrara, chiamato nel 2004 dal sindaco della cittadina nebroidea ad officiare il 150° anniversario dell’ultimo sommo pontificale greco-bizantino dedicato a San Giorgio (1854). “Discendevano dall’ordine basiliano di Grottaferrata, come noi, i monaci di Troina – spiega l’eparca di Piana – Fino alla metà del XIX secolo giungevano in pellegrinaggio al monastero di San Michele fedeli di rito greco provenienti da Biancavilla, Bronte, Randazzo e San Michele di Ganzeria. Ancora oggi da quelle parti, ci chiamano per officiare qualcuno dei nostri riti”.

L’ironia della sorte ha voluto che al declino dei monaci brasiliani della Sicilia orientale (l’Archimandrato di Messina), si sostituissero i monaci di Piana, dell’altra parte dell’Isola, nella continuità di una tradizione greco-bizantina mai spentasi. Poi il declino. Prima la scomparsa della scuola di greco del monastero del Santissimo Salvatore a Messina (XVII secolo). Quindi il trasferimento ai benedettini dei beni delle ultime abbazie della val Demone. Conseguenza: il “trasferimento” della liturgia bizantina verso la Sicilia occidentale, dove, con l’arrivo dei coloni albanesi si rinvigoriva l’antica tradizione spirituale di ascendenza balcanica. Esempio di questo trasferimento “forzato” è il manoscritto conservato alla Biblioteca Comunale di Palermo contenente “diplomi e documenti” dell’abbazia torinese (Ms. Qq. H10).

Oggi si torna a parlare dei monasteri della val Demone e del loro patrimonio librario scomparso grazie all’interessamento dell’amministrazione comunale di Troina, con in testa l’assessore alla cultura, Giorgio Scollo, che insieme a nove circoli culturali, ha dato vita lo scorso anno, a una serie di eventi che hanno lasciato il segno.

Claudio Paterna


pubblicato il 14/06/2007 su “La Repubblica” di Palermo – Spettacoli Cultura Sport

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