giovedì , Novembre 21 2024

Lo sposalizio, a Enna

Lo sposalizio, a Enna, aveva un fascino tutto particolare. Il corteo nuziale, rigorosamente a piedi, si snodava dall’abitazione della sposa fino alla chiesa parrocchiale. In testa gli sposi: lui in un elegante completo nero di sciòllira (pregiato tessuto semilucido), lei in abito lungo bianco, con o senza strascico, e il velo in tulle oppure di merletto sorretto da due paggetti. Subito dopo i genitori e i parenti più stretti e poi tutti gli altri invitati, con abiti eleganti ed incappellati. Al loro passaggio, dagli usci e dai balconi, la gente, affacciandosi, gettava su di loro un “pugno” di frumento in segno di augurale benessere. Agli inizi degli anni cinquanta per recarsi in chiesa entrò in uso l’automobile che veniva “procurata” tra parenti e amici che avevano la fortuna di possederne una, oppure si prendeva a noleggio con chauffeur. Oggi, sempre a nolo, si possono avere luccicanti automobili finanche la limousine. Di recente si è vista una coppia di sposi attraversare la città in carrozza scoperta, condotta da un cocchiere in abito d’epoca, raggiungere la chiesa di S. Cataldo in pieno centro. La marcia nuziale di Mendelssohn accoglieva gli sposi all’altare, mentre quella di Beethoven veniva eseguita all’uscita dalla chiesa, come del resto avviene adesso in quasi tutti i riti nuziali. Durante la comunione l’Ave Maria di Sciubert o di Gounod veniva eseguita all’organo dal maestro Francesco Buscemi e cantata dal mezzo soprano Carmela Barbarino, (quasi sempre presenti ai riti nuziali). Erano molto richieste ed apprezzate anche le orchestre d’archi dirette dai Maestri Peppe Di Dio e Gaetano Colina. Subito dopo la cerimonia, gli sposi si recavano presso il noto fotografo Maddalena, con studio sin dal 1918 in Via Roma, nei pressi della chiesa di Santa Chiara il quale immortalava il loro giorno più bello. Venivano, infatti, “ritratti” in perfetta posa da studio: la sposa col suo bouquet di fiori dìarancio e lui, accanto, impettito, con o senza il cappello in mano. Di queste foto, formato cartolina con la scritta a margine in corsivo “Foto Maddalena”, ne troviamo ancora nelle nostre case, dentro qualche vecchia scatola, insieme a foto di nonni o parenti lontani. Il ricevimento era tenuto presso la casa degli stessi sposi, oppure dei genitori o di parenti o di vicini di casa che avevano un immobile con più grandi stanze. Si dava incarico ad un “monzù” che provvedeva all’organizzazione e alla preparazione del pranzo nuziale, ma non tutti se lo potevano permettere. Don Santo Arena, Giuseppe Ubbriaco e Ciccino Pavone (oggi noto rosticciere), erano i monzù più bravi e più richiesti negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale. Ma in quel tempo il menù della stragrande maggioranza degli intrattenimenti nuziali consisteva in tre, quattro “passate” di dolci da dessert con cioccolatini e quindi vermouth, liquori vari, spumante, confetti e l’immancabile torta nuziale. Con il passare degli anni i “promessi sposi” sono andati alla ricerca di locali più cònsoni ad un banchetto nuziale. Il più elegante, ma non per tutte le borse, era il salone liberty dell’Hotel Belvedere. Le grandi sale del palazzo Ente Fiera, sito nei pressi della fontana di Piazza Europa (da tempo demolito) e il salone del palazzo dei Combattenti e Reduci nei pressi di Piazza S.Tommaso erano gli altri locali dove gli sposi entravano. Con l’apertura del supercinema Grivi andò di moda l’annesso elegante salone delle feste sito al piano superiore, sopra l’ingresso. Gli sposi ringraziavano parenti e amici anche presso il Giglio d’Oro, gestito da Pasqualino Di Serio, oppure al Piccadilly, nei pressi del Castello di Lombardia. Il viaggio di nozze era quasi un lusso. La méta più ambita di tanti novelli sposi era Taormina, presso l’Hotel Excelsior gestito dal concittadino Paolo Savoca. Le partenze, di solito in treno, avvenivano alla presenza dei parenti più stretti che si recavano alla stazione ferroviaria per i rituali saluti ed abbracci.

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