Il patrono di Regalbuto, San Vito, nacque intorno all’anno 285 d.C. a Lilibeo, l’attuale Mazara del Vallo. A causa della morte della madre, avvenuta durante il parto, il bambino fu allevato dalla nutrice Crescenza che gli imparti l’insegnamento cristiano. Successivamente la sua educazione fu affidata a Modesto, il medico di famiglia, il quale, con i suoi insegnamenti, rafforzò in Vito l’amore per le discipline cristiane. Ma il padre non era contento della condotta così morigerata e rigida del figlio, che allora era distintivo dei Cristiani. Durante un viaggio del padre, Vito fu battezzato e la sua abitazione trasformata in oratorio cristiano. Al ritorno, il padre, che portava con se l’editto di persecuzione dei Cristiani, fu talmente sconvolto nel vedere che, nel proprio palazzo, tutti i penati erano stati abbattuti o sostituiti con i simboli cristiani, che consegnò il giovane al Prefetto Valeriano per farlo punire per la fustigazione. Così Vito, Modesto e Crescenza decisero di partire, per rifugiarsi verso l’interno della Sicilia. La leggenda narra che il Santo giunse a Regalbuto e si fermò a riposarsi nel luogo dove ora sorge la Chiesa dei Cappuccini; qui incontrò dei pastori che piangevano disperati perché dei cani avevano sbranato un bambino. Allora il Santo, richiamati i cani, si fece restituire da essi i resti del corpo del bambino e gli ridonò la vita. In tale luogo, all’esterno della Chiesa, è stata eretta, in ricordo, una stele di pietra sormontata da una croce di ferro battuto. Vito, Modesto e Crescenza, riprendendo il cammino, giunsero in Lucania, presso il fiume Silaro dove si stabilirono e dove Vito trovò un folto numero di seguaci. La sua fama arrivò fino a Roma, dove fu chiamato alla corte dell’imperatore Diocleziano, per guarire una donna gravemente ammalata. Si narra che Vito riuscì, con le sue preghiere, a guarire la donna e, più tardi, a convenirla al cristianesimo. Ma l’imperatore attribuì quanto era avvenuto ad arti magiche e così lo fece torturare gettandolo, insieme a Modesto e Crescenza, in recipienti pieni di olio bollente, ma i tre ne uscirono indenni. L’imperatore, sempre più accanito, li fece condurre nell’anfiteatro per farli sbranare dai leoni ma Vito, con le sue carezze, riuscì ad ammansirli. Diocleziano dispose allora come ultimo espediente, il tormento dell’eculeo e questa fu l’ultima tortura per i Santi perché vi trovarono la morte. Era il giorno 15 del mese di giugno dell’anno 1299 e Vito non aveva compiuto ancora quindici anni. I loro corpi furono riportati in Lucania e sepolti presso il fiume Silaro, luogo del santo apostolato. Diverso tempo dopo, le sacre spoglie furono recuperate e, successivamente, distribuite in molte Città dell’Italia Meridionale e, specialmente a Mazara, che conserva il cuore di San Vito, parti di un braccio di Modesto ed una gamba di Crescenza. Regalbuto possiede alcune importanti reliquie che furono, inizialmente, deposte nel luogo in cui sorge, in ricordo di questo avvenimento, una cappella nella attuale Piazza San Vito. Più tardi, furono trasportate, dalle autorità religiose, nella Chiesa Madre e conservate in un’apposita cappella detta “Fortezza di San Vito”.
La festa di San Vito è sicuramente la più sentita dai Regalbutesi e si svolge, sin dai tempi più antichi, in commemorazione della traslazione delle. Questa inizia giorno 8 Agosto, con la “processione dell’alloro”. Si chiama così perché tutti i partecipanti portano fra le braccia dei fasci di alloro che viene raccolto nelle campagne del vicino paese di Agira (alcuni devoti vi si recano a piedi e scalzi come voto per grazie ricevute dal Santo). La processione parte dalla Chiesa dei Cappuccini ed è preceduta da uomini che portano i pesanti “pali” ricoperti di alloro e guarniti da tanti fazzoletti di seta di vari colori, seguono poi i numerosissimi fedeli ed infine uomini su cavalli, elegantemente bardati. Un tempo, questi cavalieri, lungo tutto il tragitto della processione, sparavano per aria con le “scupette”, in onore di San Vito. Si racconta che la gente, andando a raccogliere l’alloro, nelle vicine montagne ricoperte da fitti boschi, per difendersi da lupi e ladri che vi abitavano, portava con se fucili e munizioni che, se non subivano attacchi, venivano sparate al rientro, in segno di giubilo. Questa usanza rimase fino agli anni 60, poi è stata abolita per i continui incidenti che essi causavano. La processione sfila per le principali vie del paese: Via Garibaldi, Via G. F. Ingrassia, Via Don G. Campione, Via Roma, di nuovo Via G. F. Ingrassia e arriva in Piazza della Repubblica dove avviene la benedizione dell’alloro da parte del Parroco. Il secondo giorno, si portano le reliquie del Santo (il mezzo busto, il piede ed il braccio) nella Chiesetta di Piazza San Vito e si celebra la funzione. Il terzo giorno, le stesse reliquie, vengono portate nella Chiesa di San Domenico e viene celebrata una funzione. L’ultimo giorno, la statua del santo viene portata in processione per le vie della città e, nella tarda serata, la festa si conclude con un meraviglioso gioco di fuochi d’artifìcio.
La Madonna del Perpetuo Soccorso
Questa festa in dialetto, che si celebra l’8 settembre, viene chiamata “A Madonna a mazza” perché la Madonna tiene in mano una mazza, quale simbolo di allontanamento del male. Questa figura è rappresentata nello stendardo del Comune, in quanto protettrice dello stesso. La vigilia della festa si usa fare un gioco in cui alcuni cavalieri, bardati a festa, devono riuscire a rompere con un pugno un “bummulo” legato al centro di una corda tesa fra due balconi, con dentro una sorpresa che può essere un coniglio, un gallo,….acqua o crusca. E’ una festa patrocinata dalla Chiesa di Santa Maria a cui appartiene la statua e si svolge in Piazza Vittorio Veneto.
Nella foto ‘gioco della papera’