Chi male intende – peggio risponde
Giuseppe Cafasso nasce a Castelnuovo d’Asti il 15 gennaio 1811 (4 anni prima del compaesano Giovanni Bosco).
Figlio di piccoli proprietari terrieri, è il terzo di quattro figli, di cui l’ultima, Marianna, sarà la madre del beato don Giuseppe Allamano. Fin da giovanissimo era stimato dalla famiglia e dall’intero paese come un piccolo santo. Frequentò le scuole pubbliche del suo paese prima di entrare in seminario; era difficile prevedere un futuro di oratore: a scuola andava abbastanza male, ed inoltre il suo parlare era sommesso. Compie gli studi teologici presso il seminario di Chieri e nel 1833 viene ordinato presbitero. Quattro mesi dopo si stabilisce al Convitto Ecclesiastico del teologo Luigi Guala per perfezionare la sua formazione sacerdotale e pastorale. Vi resterà tutta la vita: prima come insegnante, poi come direttore spirituale ed infine come rettore. Al Convitto si respirano la spiritualità di S. Ignazio e gli orientamenti teologici e pastorali di S. Alfonso Maria de’ Liguori. L’insegnamento viene curato con grande attenzione e si mira a formare buoni confessori e abili predicatori. Nonostante la mancanza di una voce tonante venne chiamato a predicare. Il suo aspetto era gracile, la sua colonna vertebrale deviata lo faceva apparire gobbo. Alcuni notabili gli proposero anche di candidarsi alla Camera ma don Cafasso rinunciò rispondendo: “Nel dì del Giudizio il Signore mi chiederà se avrò fatto il buon prete, non il deputato”. Giuseppe studia e approfondisce la spiritualità di S. Francesco di Sales, che poi trasmetterà soprattutto ad uno studente: Giovanni Bosco. Il Cafasso, suo direttore spirituale dal 1841 al 1860, ha contribuito a formare e indirizzare la personalità e la spiritualità di don Bosco. Tipica del suo insegnamento è la valorizzazione del dovere quotidiano in ordine alla santità. Come ebbe a testimoniare lo stesso fondatore dei salesiani: “La virtù straordinaria del Cafasso fu quella di praticare costantemente e con fedeltà meravigliosa le virtù ordinarie”. Sempre attento alle necessità degli ultimi, visitava e sosteneva, anche economicamente, i più poveri, portando loro la consolazione derivante dal suo ministero sacerdotale. Il suo apostolato consisteva anche nell’accompagnamento spirituale dei carcerati e dei condannati a morte, tanto da essere definito il “prete dei carcerati”. Prudente e riservato, maestro di spirito, fu direttore spirituale di preti, laici, politici, fondatori; diceva sempre : “Non basterà un’eternità per ringraziare Dio di averci chiamati al suo servizio!” Don Cafasso sostenne anche materialmente don Bosco e la Congregazione salesiana fin dalle sue origini. Dopo una breve malattia morì all’età di appena 49 anni il 23 giugno del 1860. Giuseppe Cafasso fu beatificato nel 1925 da Pp Pio XI (Ambrogio Damiano Achille Ratti, 1922-1939) che lo definì la “perla del clero italiano” e canonizzato nel 1947 dal Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958) che lo proclamò patrono dei carcerati e dei condannati alla pena capitale, perché in vita aveva fatto delle carceri il luogo preferito per l’esercizio dell’apostolato sacerdotale. Papa Pio XII lo riconobbe un “modello di vita sacerdotale, padre dei poveri, consolatore degli infermi, sollievo dei carcerati, salute dei condannati al patibolo”. Lo stesso Papa, nell’enciclica “Menti Nostrae” del 23 settembre 1950, lo propose come modello di sacerdote: «Si modellino su San Giuseppe Cafasso.Noi che, non sono ancor molti anni, con intima soddisfazione dell’animo Nostro abbiamo decretato gli onori degli altari al Sacerdote torinese Giuseppe Cafasso – il quale in tempi difficilissimi fu guida spirituale, sapiente e santa, di non pochi Sacerdoti, che fece progredire nella virtù, e di cui rese particolarmente fecondo il sacro ministero – nutriamo piena fiducia che anche per il suo valido patrocinio, il Divin Redentore susciti numerosi Sacerdoti di pari santità, i quali sappiano condurre se stessi ed i propri Confratelli a così eccelsa perfezione di vita che i fedeli, ammirando i loro esempi, si sentano spontaneamente mossi ad imitarli».
Oggi si celebrano anche :
SS. Martiri di Nicomedia († 303)
S. Eteldreda di Ely Regina di Northumbria, Badessa († 679)
S. Bilio, Vescovo e martire († 914)
S. Lanfranco Beccari, Vescovo di Pavia († 1194)
B. Pietro Giacomo da Pesaro, Sacerdote Agostiniano († 1496)
S.Tommaso Garnet (1575-1608), Sacerdote S.J. e martire in Inghilterra
B. Maria Raffaella (Santina) Cimatti, Vergine (1861-1945)
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Jesus Christus, heri et hodie, ipse est in saecula!
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1851 Charles Gabriel Pravaz inventa la siringa ipodermica. L’ortopedico francese inventa la siringa medica, adattando all’apparecchio a stantuffo un sottile ago di argento. Nasce così quello che diventerà uno dei metodi più diffusi per la somministrazione di farmaci. Nel 1853, in maniera indipendente, l’inglese Wood realizza un analogo dispositivo.
1894 Edward Patrick David
1941 Tiziana Maiolo
1972 Zinedine Zidane
L’immaginazione innanzi tempo impedisce la destrezza
1944 lo scrittore Tomas Mann diventa cittadino americano
frase celebre
“Muore bene chi muore amando molto”
Pierre de Ronsard, Amours de Cassandre
consiglio
La carta
Riutilizzate il più possibile la carta. Imparate a fare le fotocopie su fronte e retro. Preferite alla carta bianca quella riciclata.
cosa vuol dire
Passare un brutto quarto d’ora
Attraversare un brutto periodo, avere una brutta avventura
Il modo di dire pare debba collegarsi al francese le quart d’heure de Rabelais, ed è collegato ad un episodio della vita dello scrittore. Non potendo pagare il conto dell’albergo ricorse ad un sotterfugio. Preparò dei pacchetti con scritto sopra veleno per il re, veleno per la regina. Fu arrestato e riportato a Parigi dove il re, scoperto il sotterfugio, rise. Rabelais passò sicuramente un brutto quarto d’ora ma se la cavò bene. Fece il viaggio di ritorno gratuitamente e scortato
consiglio per terrazzo orto e giardino
Tecnica di piantagione
Al momento della piantagione, se il terreno è compatto e la specie prescelta teme i ristagni, si pone sul fondo della buca uno strato drenante, costituito da ghiaia grossolana; in situazioni opposte, si fa una base con argilla mista a torba.