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Leonforte: Settimana Santa

Leonforte. I riti pasquali, nella città della ‘Gran Fonte’ iniziano otto giorni prima della Domenica delle Palme, quando i confrati della “Mercede” portano in processione “Gesù alla Colonna”. Nel primo pomeriggio della Domenica delle Palme un bambino, dai lunghi capelli biondi, vestito con un saio azzurro viene accompagnato da uno stuolo di angioletti fino alla chiesa della ‘Cricidda’, ai piedi del paese, dove avviene la benedizione delle Palme.
Finita la benedizione, il bambino viene posto su un asino e condotto, tra i canti dei fedeli, fino alla chiesa di S.Stefano. Una spettacolare Via Crucis viene organizzata, il Mercoledì Santo, dalle confraternite del SS.Sacramento, Maria Ss.Addolorata e S.Croce per le vie del paese. Nella chiesa di S.Stefano, il Giovedì Santo, la lavanda dei piedi e l’ultima cena, protagonisti i bambini angioletti della Domenica delle Palme. Alle 11 di Venerdì Santo, nella chiesa Madre i confrati del SS.Sacramento depongono il Cristo (trattasi di una secolare statua snodabile) in croce coprendolo con una tela. Alle 18 la tela viene gradualmente aperta, alle 19,30 il Cristo viene schiodato dal Clero, al grido di: “Misericordia! Misericordia!” per ogni chiodo tolto.
Dopo essere stato deposto nell’urna inizia la processione. Il Cristo, accompagnato dall’Addolorata, lungo il percorso entra in tutte le chiese della città. Nel pomeriggio della Domenica di Pasqua, nel piazzale del convento dei Cappuccini, viene festeggiata la resurrezione. Tutte le statue protagoniste della Settimana Santa, provenienti dai vari quartieri, assistono all’incontro tra il Cristo risorto e la Madonna.

A Leonforte la settimana di passione comincia con l’ “Eccehomo”, così la i paesani lo intendono. Comincia con la compassione per un uomo fustigato e umiliato, accompagnato nel suo percorso di dolore da una madre affranta e da una pletora di devoti commossi. I “genti” e i confrati seguono le processioni appresso alle vare e ai musici che, intonando canti funebri, “Ah! si versate lacrime”, “Jone”, “Evviva la Croce” “Mater Dolorosa” “Desolata”, inducono lo sguardo anche dei più mondani al volto del Cristo morto e della sua inconsolabile madre. A Leonforte la memoria di un passato di mestizia e di privazioni traspare anche nei riti della settimana santa. Ogni icona ricorda infatti nella suo corpo ferito il dolore e fisico e dell’anima e l’insistenza nelle piaghe del costato e del cuore altro non pare se non una trasposizione mortale di un sentimento eterno. “A rama d’aliva”, “L’Addolorata”, “Passio”, “I sepolcri”, “il Venerdì Santo” e infine “L’Incontro” con il momento del manto nero della madre dolorosa che diventa, per mano umana, azzurro. Paganesimo, folclore, preghiera e comunione dell’umano col terreno questa è la settimana santa al paese mio. Ogni processione, ogni momento viene scandito dalle note musicali di chi seppe dare voce all’indicibile e tutti: laici e agnostici, credenti e bigotti, tutti proprio tutti non possono esimersi dal compatire il cuore sanguinante di una madre afflitta per l’inconsolabile morte del proprio figlio. A Leonforte protagonista indiscussa è senza dubbio la vergine inconsolabile, un rispetto atavico radicato nel profondo di ogni tavachino emerge a viva forza e appassiona al culto mariano. L’Università Popolare e la Pro Loco hanno discusso di questi temi nel lunedì di passione e nel confrontarsi, fra latinismi e auliche citazioni anche i saggi hanno saputo commuoversi, senza tema di vergogna. Prima dei saluti e dei doverosi auguri la professoressa Giovanna Maria ha ricondotto gli astanti al sentire terreno col racconto di un aneddoto poco ortodosso: una volta a Leonforte giunse una signora che portava un mazzo di fiori in una mano e una busta con una congrua offerta in denaro in un’altra. La signora con fare devoto chiese della chiesa di S. Giuseppe, santo prodigo di miracoli e poco pretenzioso sopratutto “lasci pure al Cuore di Gesù il suo dono” le fu risposto e la signora con una trasformazione della voce e dei lineamenti del viso rispose: “chistu cchi c’entra?” indicando la statua di Gesù risorto “chiddu è santu chistu chi è”…che altro dire se non Buona Pasqua a tutti.

“O cchi gghiurnata di suspiri e bbuci quannu li chiova di Gesù Cristu scipparu: ccu li carnuzzi sò umili e dduci supra un truncu di cruci ripusaru”.
Questo un verso del lamento, ‘u lamientu: un canto a cappella, monocorde, ipnotico, incomprensibile e parte integrante dei riti della Passione. Un tempo erano gli anziani addossati ai muri del paese che lo conoscevano e lo cantavano, con la coppola sul petto e lo sguardo ieratico, oggi un gruppo di valorosi giovani li affianca per proseguirne la memoria nella prossemica e nelle parole.
“A Sammarcu successi ‘n’attu urruri, ora vi lu viegnu a raccuntari, ca s’arrubbaru a lu nuostru Signuri; chiddu ca l’arrubbà fu tradituri, parenti era di Giuda naturali”.
Secolo, Palazzolo e Lo Pumo i cantori per antonomasia. Il Vitanza scrisse dei canti del Credo, del Lamento, della Settimana Santa, dell’Orazione sull’aia: canti che erano preghiere, tramandate di padre in figlio e ripetute come un rito propiziatorio. A Demetra si sostituì la Madonna e a Crisa il Santissimo e “con una tonalità e vocalità che ricordano la preghiera del Muazzin” il canto proseguì, in quel di Tavi così scriveva il dottore Buscemi.
“Di venniri murì nostru Signuri supra un lignu di cruci a Diu pinnenti, li chiova fuoru li primi dulura, la lancia ‘mpettu e lu sangu spinnenti; feli d’aloi nnappi tri mmuccuna e ‘ntesta purtava ‘na cruna puncenti”.
Il Lamento si sente anche nella notte dell’ “artara” ossia il 18 marzo perché la tavolata fu intesa come “consolo” a Maria rimasta vedova. Il lamento è uno dei tanti retaggi arabi che costellano quella cultura che sventoliamo come “le radici della nostra cultura” ignorando il terreno comune che questa nostra cultura spartisce con quella dei “nivuri” allora dominatori oggi invasori o soli mischini, parola di origine araba pure questa.
I giovani lamentatori
Il gruppo dei giovani lamentatori nasce circa 10 anni fa, quando appunto dei giovani decisero di riprendere le antiche lamentazioni del periodo quaresimale ed in particolare della settimana santa. Grazie anche all’aiuto degli ultimi anziani venne formato un gruppo a cui si sono aggiunti, nel corso degli anni, altri giovani cantori. L’età dei cantori va dai più giovani che hanno 17 anni fino ad arrivare agli adulti con un età compresa tra i 30-32 anni. I membri del gruppo sono: Alfredo e Giuseppe Crimì, Giovanni Mangione, Giovanni e Giuseppe Valenti, Luca Carosia, Paolo Minichello, Mimmo Dinaro, Gaetano e Vincenzo Prestifilippo, Placido Miceli, Marco e Carmelo Lo Vecchio, Carmelo Pentecoste, Carmelo Barbera, Simone Novembre, Giuseppe Orlando, Antonio Salanitro, Paolo Cammarata, Salvatore Sinardi, Marco Cocuzza.

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