Ampiamente documentata, la millenaria tradizione casearia siciliana poggia le sue basi su prodotti provenienti dall’intera isola; in quest’ambito il territorio della provincia di Enna è sicuramente ben rappresentato, potendo in più contare su dei requisiti che altrove, a causa soprattutto della corsa verso la intensivizzazione delle attività agricole, sono andati persi: forme ancora oggi tradizionali di agricoltura e di allevamento ecocompatibili.
E oggi, questa forma estensiva di agricoltura, virtuosa necessità per molte aree svantaggiate, sembra essere quella in grado di suscitare i maggiori interessi del consumatore attento e, nel contempo, è sicuramente la forma più rispettosa dell’equilibrio ambientale.
Lo speciale è stato curato dal Servizio Promozione e sostegno all’agricoltura della Provincia Regionale di Enna in collaborazione con la SOAT di Troina e l’A.R.A. di Enna.
I testi sono stati scritti ed elaborati dal dott. Andrea Scoto, funzionario della Provincia regionale di Enna
La tradizione casearia
L’arte casearia tradizionale permette di mantenere in vita un’attività economica dall’alto valore culturale che dà continuità ad un patrimonio storico legato al mondo rurale. I formaggi prodotti nell’ennese sono il frutto naturale della trasformazione del latte, che avviene secondo una antica tradizione tramandata nei secoli da padre in figlio, in un ambiente ancora oggi incontaminato. I pregi, il gusto e la genuinità dei formaggi tipici dell’ennese sono difficilmente riproducibili in altri ambienti, poiché sono il risultato finale di una filiera produttiva equilibrata costituita da pascoli non degradati, da sistemi estensivi di allevamento del bestiame e, infine, da processi di trasformazione del latte e di stagionatura dei formaggi assecondati dalla maestria e dalla sensibilità dell’uomo, che rispetta l’ambiente e vive in armonia con la natura. L’area di produzione dei formaggi è l’intero territorio provinciale, ad eccezione della provola che, in prevalenza, si produce nella parte settentrionale della provincia. La suggestiva tecnica di lavorazione del latte assieme ai sistemi di stagionatura dei formaggi permette di ottenere dei prodotti naturali, sinceri, dai sapori unici, definiti dai buongustai “veri capolavori della natura”. I formaggi prodotti tradizionalmente nel territorio provinciale sono: PECORINO SICILIANO; PIACENTINU ENNESE; PROVOLA ENNESE; CANESTRAIO; FORMAGGIO DI CAPRA; RICOTTE
L’ambiente ed i sistemi di allevamento
II sistema di allevamento tipico è quello sotto il cielo (all’aria aperta) con ricoveri delimitati da recinzioni realizzate con materiali vegetali locali o con muri a secco e solo alcune aziende adottano un sistema semistabulato ecocompatibile durante il periodo più freddo e piovoso dell’anno. Il territorio della Provincia di Enna, localizzato nel cuore della Sicilia, è da sempre caratterizzato dalla presenza di ambienti incontaminati dove la natura, i pascoli e i foraggi si sviluppano secondo cicli naturali immodificati da millenni. La zootecnia rappresenta una delle poche attività produttive tramandate da padre in figlio, che permette di trarre redditi da ambienti particolarmente difficili garantendo la custodia di un patrimonio naturale di raro valore e il mantenimento di animali appartenenti a ceppi podolici a rischio di estinzione. Le produzioni casearie seguono una stagionalità che può essere così individuata: la produzione del formaggio vaccino avviene nel periodo primaverile estivo, mentre la produzione dei formaggi ovini e caprini avviene dal tardo autunno fino all’inizio dell’estate, in coincidenza con la disponibilità di essenze foraggere locali. Il sistema di alimentazione fa riferimento ad una base alimentare prevalentemente costituita dal pascolamento diretto di essenze spontanee, prati o erbai autunno-primaverili, che per oltre il 50% sono coltivati con metodo biologico ed, eventualmente, da una integrazione alimentare costituita da foraggi secchi ed alimenti concentrati. L’area di produzione dei formaggi è l’intero territorio provinciale, ad eccezione della provola che, in prevalenza, si produce nella parte settentrionale della provincia.
Il pecorino siciliano
E’ uno dei formaggi più antichi con riferimenti storici risalenti al IX secolo a. C. E’ un formaggio a pasta dura, semicotta, crosta canestrata dal bianco avorio al bianco giallognolo, pasta da tenera a semivitrea, di colore bianco avorio con presenza di una lieve occhiatura, aroma e sapore che acquistano carattere e tipicità in funzione del caglio utilizzato, del periodo di produzione e dei tempi di stagionatura; forma cilindrica di 4-15 Kg con uno scalzo di 10-18 cm; può essere arricchito con pepe nero in grani o pepe rosso; si produce in tutta la provincia. Viene prodotto esclusivamente con latte di pecora intero, crudo o pastorizzato. Il caglio impiegato è di agnello o di ca-pretto in pasta; la salatura avviene a secco e non sono previ-sti innesti; il latte a 34-35° coagula in circa 45′. A questo punto avviene la rottura fine della cagliata e la messa in fascella, ove se ne favorisce lo spurgo con le mani, e, dopo il ciclo della ricotta, la cottura per circa 4 ore con la scotta calda. La salatura avviene a secco a qualche giorno dalla produzione; il prodotto assume diverse denominazioni al variare delle dimensioni e dei tempi di stagionatura: – Tuma: prodotto da tavola di gusto dolce e lievemente acidulo-aromatico; viene consumata dopo qualche giorno dal-la produzione, sia che abbia subito la salatura o meno, e viene per lo più usata per farcire piatti da forno (p.e. pasta “ncaciata”) o per preparare schiacciata con tuma e acciughe, un veloce fritto con uova, ventresca, guanciale ed eventualmente asparagi, germogli teneri di Sinapis selvatiche o altro; – Primo Sale: formaggio da tavola di lieve e blanda salatura, si consuma dal 10° giorno dalla produzione; – Secondo Sale: formaggio saporoso da tavola o tenero da grattugia, si consuma tra 45 e 90 giorni dalla produzione; – Stagionato: è il pecorino propriamente detto, la maturazione è completa tra 4 e 6 mesi dalla produzione; formaggio sia da grattugia che da tavola, conferisce alle pietanze un deciso e peculiare sapore. Esistono diverse varianti in base all’aggiunta o meno di pepe nero o rosso.
Piacentinu ennese
Una leggenda vuole che Ruggero il Normanno, intorno all’anno 1090, preoccupato per la consorte Adelasia prostrata da una invincibile depressione, invitasse i casari del luogo a preparare un formaggio che avesse doti taumaturgiche. Da qui sarebbe nata l’idea di aggiungere al latte di pecora una manciata di “crocus sativus” (zafferano), spezie nota nell’antichità per le sue qualità antidepressive ed energizzanti. Al di là della leggenda, il Piacentinu è ricco di riferimenti storici che risalgono al IV secolo d.c., quando lo storico Gallo in una pubblicazione fa cenno all’aggiunta dello zafferano al formaggio. Una attenta riflessione sul nome “piacentinu ennese” indurrebbe a pensare che le sue origini risalgano ad un periodo ancora precedente all’anno 859, anno in cui gli arabi si impadronirono della città mutando il nome di “Henna” in “Castrum Hennae” (Castrogiovanni) e che, di conseguenza quel fantasioso pastore che un giorno colorò di giallo la cagliata con una manciata di zafferano, potesse essere un sicano, un siculo, un greco o forse un romano che abitava l’Henna, il più antico dei cosiddetti “monti della lana”. Notizie inconfutabili sul prodotto si individuano anche in un libro scritto tra il 1681 ed il 1682 da Francesco Maja dal titolo “Sicilia passeggiata” rimasto manoscritto fino al 1985. In sostanza il Piacentinu è un formaggio pecorino, e di questo segue la tecnica di produzione, a cui viene aggiunto zafferano; risulta pertanto essere un formaggio più pregiato e viene in genere prodotto su ordinazione. E’ un formaggio a pasta dura, semicotta, con crosta canestrata giallo oro, pasta da tenera a semivitrea, di colore giallo oro con presenza di una lieve occhiatura, aroma e sapore, arricchiti dall’aggiunta dello zafferano, che acquistano carattere e tipicità in funzione del periodo di stagionatura; forma cilindrica di peso variabile da 6 a 14 Kg con scalzo di 22-35 cm; si produce in più parti della provincia. Il particolare gusto di questo formaggio, dovuto allo zafferano, si apprezza maggiormente nei due diversi stadi di maturazione: – Semistagionato: formaggio da tavola a maturazione media compresa tra 45 e 90 giorni a seconda della grandezza della forma, presenta un gusto lievemente piccante e aroma tipico dello zafferano; – Stagionato: formaggio sia da tavola che da grattugia con una maturazione superiore ai 4 mesi; al tradizionale gusto del pecorino lo zafferano aggiunge una caratteristica aromatica decisa e particolare. Questo formaggio abbinato ad alcuni primi piatti tipici, come la pasta al brodo di pollo ruspante, conferisce alla portata armonia e completezza di gusto unico. Come gustarlo: le eccellenti caratteristiche del prodotto ne hanno privilegiato, per non disperderne l’aroma, il consumo come formaggio da tavola; viene tuttavia utilizzato alternativamente al pecorino in tutte le pietanze della tradizione culinaria ennese. (in particolare la ricetta del “capretto abbuttunato”).
La provola ennese
Le origini di questo formaggio sono abbastanza antiche e ancora oggi viene prodotta in maniera artigianale, mantenendo il gusto e la forma che sono rimasti invariati nel corso degli anni. E’ un formaggio a pasta filata; la crosta è liscia, lucida e di colore dal bianco al giallo paglierino, così come la pasta, che si presenta compatta, con occhiatura assente o appena accennata, consistenza più o meno pastosa, in funzione del periodo di stagionatura, sapore dal lieve al piccante; la forma è a pera con un collo sormontato da una testa liscia e semisferica, mentre il peso oscilla intorno al chilogrammo. Per la sua produzione si utilizza latte di vacca intero e crudo, caglio di agnello e/o di capretto in pasta, salatura in salamoia; non sono previsti innesti; il latte a 34-35° coagula in circa 45′. A questo punto avviene una rottura fine della cagliata, uno spurgo lento e prolungato, il taglio e la messa in tavoliere per la1′ fase di sgrondo. Dopo circa un’ora la cagliata è posta nel tino, ove si aggiunge della scotta calda per la “cottura”. A fine cottura la cagliata viene di nuovo posta nel tavoliere, ove si torna a favorire lo sgrondo, sovrapponendo dei pesi; in queste condizioni inizia l’acidificazione. Dopo un periodo variabile (in genere 24 ore) essa ha raggiunto il giusto grado di acidità, cosa che gli consente di filare; viene quindi sminuzzata, aggiunta di scotta calda filata e lavorata nella classica forma a pera del peso di circa 1 Kg ponendola, infine, nella salamoia satura per altre 24 ore; è pronta per il consumo già a pochi giorni dalla produzione e muta le sue caratteristiche, dal dolce al piccante, dal morbido al compatto, in funzione del periodo di stagionatura, che si può spingere, nei locali più freschi, fino a 10-12 mesi. La produzione è localizzata prevalentemente nella parte settentrionale della provincia.
Il canestrato
Formaggio a pasta dura, semicotta, crosta canestrata dal bianco avorio al bianco giallognolo, pasta da tenera a semivitrea con presenza di una lieve occhiatura, di colore variabile dal bianco al bianco avorio fino al bianco giallognolo, in ragione della prevalenza del latte di pecora, vacca o capra; aroma e sapore che variano dall’acidulo e tenue fino al tipico piccante e deciso, in funzione sempre del tipo di latte e del periodo di stagionatura; forma cilindrica di dimensioni molto variabili e oscillante in media tra i 6 e i 16 Kg, con uno scalzo di 10-28 cm; può essere arricchito con pepe nero in grani o pepe rosso; si produce in tutta la provincia. Per la sua produzione si utilizza: latte di vacca, di pecora, di capra o misto in varie proporzioni, intero e crudo, caglio di agnello e/o di capretto in pasta, salatura a secco. Non sono previsti innesti; il latte a 34-35° coagula in circa 45′; a questo punto avviene la rottura della cagliata e la messa in fascella ove se ne favorisce lo spurgo con le mani, e, dopo il ciclo della ricotta, la cottura per circa 4 ore con la scotta calda. La salatura avviene a secco a qualche giorno dalla produzione; il prodotto si presta a differenti usi a seconda della dimensione della forma, dei tempi di stagionatura, della preferenza del consumatore e dei rapporti tra il latte delle diverse specie; in particolare si riscontrano le seguenti tipologie di prodotto: Canestraio con prevalenza di latte ovino Tuma: prodotto da tavola di gusto dolce e lievemente acidulo-aromatico; viene consumata dopo qualche giorno dalla produzione, sia che abbia subito la salatura o meno, facendone un uso simile alla tuma del pecorino siciliano prima descritto; Primo e Secondo Sale: è la variante più consumata; il periodo di stagionatura va da 15 a 60-70 giorni; trova prevalente impiego come formaggio da tavola o tenero da grattugia; Stagionato: è una variante poco frequente per la decisa piccantezza del prodotto; di solito comunque viene usato da grattugia; Canestraio con prevalenza di latte bovino Tuma, I e II sale: varianti poco diffuse a causa della lentezza dei processi di maturazione; Stagionato: la maturazione supera abbondantemente i 4 mesi arrivando anche a 8 mesi e altre; è il formaggio da grattugia tradizionale delle popolazioni rurali siciliane e viene utilizzato anche come ingrediente nella preparazione di impasti e ripieni della cucina locale.
Formaggio di Capra
Formaggio a pasta semidura, semicotta, crosta canestrata bianca o bianca avorio, pasta di consistenza da tenera a pastosa, colore bianco avorio, evidente l’aroma di diacetile con presenza di una media occhiatura, sapore che varia dall’acidulo al medio piccante fino al piccante deciso in funzione del periodo di stagionatura; forma cilindrica di 3-8 Kg con uno scalzo di 8-12 cm; può essere arricchito con pepe nero in grani o pepe rosso. Per la sua preparazione si utilizza latte di capra intero e crudo, caglio di capretto o più raramente di agnello in pasta; salatura a secco, non sono previsti innesti; il latte a 34-35° coagula in circa 45′. A questo punto avviene la rottura della cagliata e la messa in fascella, ove se ne favorisce lo spurgo con le mani, e, dopo il ciclo della ricotta, la cottura per circa 4 ore con la scotta calda. La salatura avviene a secco a qualche giorno dalla produzione; il prodotto si presenta con diversi gradi di stagionatura: Tuma: prodotto da tavola di gusto dolce, lievemente acidulo e molto aromatico; viene consumato dopo qualche gior-no dalla produzione, sia che abbia subito la salatura o meno, facendone un uso del tutto simile alla tuma del pecorino siciliano prima descritto; Primo Sale: formaggio da tavola di lieve e blanda salatura, si consuma dal 10° giorno dalla produzione; Secondo Sale: variante del giusto grado di maturazione utilizzato da tavola o tenero da grattugia, si consuma tra 45 e 90 giorni dalla produzione; Stagionato: è una variante poco diffusa in quanto il prodotto assume una piccantezza e una “gessosità” eccessive, non gradite alla maggior parte dei consumatori.
Ricotte
Sono un “sottoprodotto” della lavorazione del latte e derivano dalla estrazione delle sieroprotein; se ne possono distinguere due tipologie: (1) da consumo fresco e (2) salata o da grattugia; si producono in tutta la provincia. – Ricotta da consumo fresco: prodotto morbido, spalmabile, è in genere contenuta nelle fascelle cilindriche o tronco-coniche, un tempo costruite in listelli di legno oggi in materie pla-stiche, del peso oscillante da 1/2 a 2 Kg, di colore bianco o bianco paglierino, presenta un tenue ma persistente odore di latticini, un sapore delicato e una consistenza in bocca morbida e solubile; vi può essere aggiunto del sale che la rende più sapida ma ne maschera una parte del flavour; – Ricotta salata o da grattugia: prodotto compatto senza occhiature, di forma cilindrica o tronco-conica e peso oscil-lante da 1/2 a 1 Kg; la crosta può conservare ancora i rilievi della fascella, e quindi anche un colore bianco o bianco-paglierino con presenza di chiazze brune o nerastre dovute all’insediamento di muffe spontanee indice di una asciugatura all’aria secondo tradizione, o può essere stata raschiata e quindi presentarsi uniformemente colorata in bianco o bianco paglierino (lo stesso colore della pasta) e giustamente untuosa al tatto; l’interno pur essendo compatto può presentare dei canalicoli ove possono accumularsi i grassi di essudazione della pasta (si utilizza esclusivamente latte intero). La tecnica di produzione differisce in base al tipo di siero lavorato (di vacca, di pecora, di capra); lo schema generale prevede comunque il riscaldamento del siero residuo dall’estrazione della cagliata e l’aggiunta di latte; a questo punto bisogna distinguere tra siero di vacca e di pecora o capra; nel primo caso l’affioramento si ottiene aggiungendo “agra” ossia siero dei giorni precedenti più o meno acidificato, o succo di limone o aceto bianco o una miscela di questi prodotti. Nel caso di siero di pecora o capra si aggiunge, oltre al latte, un poco di sale alimentare, quantità variabile a seconda dell’area di produzione e dell’uso del prodotto, fresco o salato; l’affioramento si ottiene con rametti di fico incisi e posti in un po’ di acqua o, se il quan-titativi di sale aggiunto è sufficiente, senza aggiunta di altro. Le varianti produttive sono quindi: – Ricotta di vacca: si presta soprattutto per la salatura e quindi ad essere consumata da grattugia dopo l’asciugatura all’aria per 2-3 mesi; – Ricotta di pecora e/o capra: si presta ottimamente ad un uso fresco come tale, come frittelle o nelle numerose varianti della pasticceria isolana; inoltre, se salata e asciugata all’aria o infornata, diventa egualmente un eccellente prodot-to da grattugia; come tale va consumata a 2-5 mesi dalla produzione, evitando di superare questo periodo di conservazione per il rischio di inizio dei fenomeni di irrancidimento dei grassi in essa contenuti.
Latte e formaggio; antico nutrimento sano e genuino
Antiche sono le testimonianze sull’uso del latte come alimento dell’uomo. Durante gli scavi della città di UR, situata a destra dell’Eufrate, sono state trovate tracce della pratica della mungitura delle pecore. Secondo la mitologia la tecnica della produzione dei formaggi sarebbe stata svelata all’umanità da Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene. Leggenda a parte con la produzione del formaggio fu risolto il problema della scarsa conservabilità del latte ottenendo anche un prodotto gradevole e digeribile. I principali costituenti del latte e dei formaggi sono le proteine, i grassi, gli zuccheri, i minerali e le vitamine. Le proteine sono elementi plastici cioè servono per la formazione dei tessuti. I formaggi sono ricchi di proteme contenendone in media dal 18 al 38, di più della carne, del pesce e delle uova che contengono rispettivamente il 20, il 14-20 e 13. Inoltre le proteine dei formaggi sono ad alto valore biologico contenendo amminoacidi essenziali, quelli cioè che l’organismo non riesce a sintetizzare. La caseina è la principale proteina del latte. Il grasso del latte e del formaggio è facilmente digeribile per l’alto tenore dell’acido oleico. Fornisce calorie e veicola le vitamine liposolubili A, D, E, K. Il lattosio lo zucchero del latte è il lattosio che si riscontra anche nei formaggi freschi mentre in quelli stagionati è trasformato prima in glucosio e galattosio e dopo in acido lattico. I minerali presenti nel latte e nei formaggi sono numerosi ma quelli più rappresentativi sono il calcio e il fosforo. Sono elementi importantissimi per l’organismo in quanto entrano a far parte dello scheletro, dei denti, intervengono nel metabolismo di tutte le sostanze nutritive, regolano il tono muscolare e partecipano alla coagulazione del sangue. Il rapporto con cui il calcio e fosforo sono presenti è quello ideale per l’organismo (1,5/1). Consigli nutrizionali: II latte e i formaggi sono alimenti che per le loro ottime caratteristiche nutrizionali devono essere presenti nella dieta di piccoli, grandi e anziani. I formaggi vanno considerati alimenti principali da consumare ogni giorno.
Glossario
AGRA o AGRO: è il siero dei giorni precedenti che, lasciato in un apposito contenitore, ha subito un naturale processo di acidificazione; esso è stato colonizzato da specie microbiche lattosiofermentanti che sono espressione dell’ambiente in cui si opera, e può essere pertanto utilizzato come innesto (molti formaggi famosi sono prodotti con innesti); nelle regioni meridionali è più spesso utilizzato come acido debole per la denaturazione delle lattoproteine e quindi per la fabbricazione della ricotta (di vacca);
CAGLIATA: prodotto intermedio nella trasformazione del latte in formaggio; si ottiene aggiungendo al latte il caglio di animali lattanti, il quale agisce prevalentemente inducendo delle modificazioni chimico-fisiche nella caseina; tali modificazioni hanno come conseguenza la formazione di un reticolo proteico chiamato coagulo o cagliata.
CAGLIO: prodotto ottenuto dall’abomaso dei ruminanti lattanti; in esso sono contenuti degli enzimi dotati di attività co-agulante e proteolitica;
CASEINA: è la frazione proteica predominante nel latte dei ruminanti; il caglio, ma anche altre sostanze aventi capacità coagulanti, vi inducono delle modificazioni chimico-fìsiche e si giunge alla formazione di un reticolo proteico chiamato coagulo o cagliata che contiene comunque altre componenti del latte (per esempio globuli di grasso);
CICLO DELLA RICOTTA: consiste nel riscaldamento del siero, nell’aggiunta di un ridotto quantitativo di latte, ed eventualmente anche di sale, e nella successiva denaturazione delle sieroproteine con acidi o altre sostanze naturali, fino a giungere all’affioramento di una sostanza bianca, fioccosa, tenera, che costituisce la ricotta;
COTTURA DELLA CAGLIATA: alla cagliata ottenuta durante la lavorazione del latte si aggiunge la scotta calda residua dalla estrazione della ricotta; questo procedimento di “cottura” ha un importante ruolo nella stabilizzazione della cagliata e nella selezione delle forme microbiche più favorevoli per i vari tipi di formaggi;
FASCELLA: è il contenitore della cagliata o della ricotta; di dimensioni alquanto variabili è tradizionalmente fabbricato in giunco (se per la cagliata) o in listelli di legno o canne (se per la ricotta); ha in genere una capacità da 1 a 20 chili;
FORMATURA: è l’operazione di compressione della cagliata che si effettuata dentro le fascelle;
FRUGATURA: consiste in un lavoro di frantumazione della cagliata che avviene nella fascella man mano che si aggiunge la cagliata.
PRIMO E SECONDO SALE: è cosi chiamato il formaggio che ha subito una o due salature e si trova in una fase intermedia del processo di stagionatura;
ROTTURA: consiste nella frammentazione più o meno fine della cagliata per favorire lo spurgo del siero e si effettua nel tino;
SALATURA: consiste nell’aggiunta sulla superficie del formaggio del sale; è un trattamento indispensabile per dare sapidità al prodotto e per influenzare positivamente la flora microbica;
SCOTTA: è ciò che residua dalla estrazione della ricotta; è utilizzata per la cottura della cagliata o per la filatura delle provole;
SIERO: è ciò che residua dal latte dopo l’estrazione della cagliata; è avviato al ciclo della ricotta per la estrazione della stessa;
SIEROPROTEINE, LATTOGLOBULINE E LATTOALBUMINE: frazione proteica secondaria del latte (almeno rispet-to alla caseina) che si ritrova prevalentemente nella ricotta;
SPURGATURA: è la fase di allontanamento del siero dal formaggio messo nella fascella posta sul tavolo spersorio; SPURGO: detto anche sineresi, avviene dentro il tino con il casaro che manipola la cagliata per dargli la forma favorendo l’eliminazione del siero;
STAGIONATURA: è il processo di maturazione del formaggio; consiste principalmente nella degradazione del lattosio (lo zucchero del latte) e in una degradazione più o meno accentuata delle componenti proteiche e lipidiche;
TUMA: è il formaggio a pochi giorni dalla produzione; pre-senta un caratteristico sapore acidulo dovuto alla degradazione del lattosio in acido lattico.