ORWELL E LA LIBERTA’
ALAIN CALO’
INDICE
Pag. | |
INTRODUZIONE | 3 |
CAPITOLO 1 – GEORGE ORWELL, 1984 E NON SOLO |
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1.1 GEORGE ORWELL | 6 |
1.2 1984: TRAMA E TEMI | 9 |
1.3 LA FATTORIA DEGLI ANIMALI | 16 |
CAPITOLO 2 -UNA SOCIETA’ BASATA SULLA LIBERTA’ |
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2.1 OLTRE ORWELL PER APPREZZARE LA LIBERTA’ | 20 |
2.2 COSTRUIRE UNA SOCIETA’ FONDATA SULLA LIBERTA’ | 31 |
CONCLUSIONE |
38 |
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA |
41 |
INTRODUZIONE
Il presente lavoro intende analizzare l’opera di George Orwell “1984”. Ovviamente questa non sarà né un’analisi dal punto di vista letterario né tantomeno filosofico (seppur romanzo vi sono spunti filosofici importanti) dato che ciò è già ampiamente effettuato in ben altre e più importanti opere (alcune delle quali saranno indicate in bibliografia in quanto ottima base da cui partiremo per questa trattazione) ma “qualitativa” nel senso di vedere nella distopia di 1984 e più in generale in tutto il corpus orwelliano un chiaro monito per tutte le generazioni su quanto sia importante la libertà, su come sia facile perderla e, al contempo, difficilissima da riconquistare. Sembra quasi un paradosso o una provocazione quello di analizzare il valore della libertà attraverso un’opera in cui nella sua totalità offre un quadro di totale perdita della libertà se non di quella “imposta” dall’alto. Ma è proprio in questo tipo di provocazione che si può trovare la più grande celebrazione della libertà stessa. E’ una provocazione che trova giustificazione anche in una celebre poesia “Veglia” di Ungaretti in cui il Poeta di fronte alla morte di un commilitone scrive “Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”. È la negazione di un qualcosa che diamo per scontato a farci capire l’enorme errore che commentiamo nel pensare che tutto ci è dovuto e passivamente viviamo le nostre vite disinteressandoci, per abitudine a cui segue la noia, ai cardini fondanti del nostro stesso io. E uno di questi, se non il più importante dopo la vita, è la libertà. Orwell nelle sue opere ci ammonisce su come sia facilissimo perdere la libertà anche non accorgendoci di processi che lentamente avvengono intorno a noi e che potrebbero evolversi in una spirale di non ritorno in cui barattiamo la nostra libertà per avere in cambio un bel nulla. Perché nulla può essere apprezzato senza la libertà. Difendere la libertà è una vera e propria guerra da condurre durante tutta la nostra vita. Potremmo quasi riecheggiare qui San Paolo quando scrive “ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”. Questa triade che rappresenta nel mondo cattolico un qualcosa di molto forte, quasi un’idealità a cui tendere, può benissimo essere letto in una chiave laica dove la buona battaglia da combattere è quella contro ogni forma, diretta o indiretta, di tirannide nel mondo, la corsa è quella della nostra vita che non deve passare passivamente sotto i nostri occhi ma dobbiamo essere “attivamente vivi” e vigili nel non farci trascinare dagli eventi e, infine, conservare la fede, la fede nella libertà, come guida e più importante bene e fine ultimo a cui dobbiamo sempre tendere. Ed è perciò che raccolto il monito orwelliano di 1984 la domanda deve essere “Come evitare tutto ciò?” o, ancor meglio, chiederci come poter creare una forma di società parallela e speculare a quella dipinta in 1984, ovvero una società in cui pienamente si realizza la libertà di ciascun individuo e in cui la stessa libertà viene eletta a bene sommo da sviluppare e difendere. Ovviamente trovare una tale risposta è molto arduo e non si può in poche pagine effettuare un’analisi su una domanda che ha tormentato l’Uomo praticamente sin dalla sua nascita. Ma nulla vieta di provare ad analizzare qualche contributo che magari può assurgere a modello (non certo assoluto) ma che magari può aiutare ad alimentare questa nostra naturale tensione e propensione alla libertà (la schiavitù è un qualcosa di innaturale). E i contributi sono parecchi, non soltanto nei trattati filosofici dei grandi pensatori. Li troviamo anche nei romanzi e nelle canzoni, strumenti popolari e diretti che raggiungono la popolazione anche meno colta e che non ha gli strumenti per approcciarsi alla filosofia (lo stesso Seneca diceva che “non est philosophia popularem artificium”) e che saranno analizzati, in parte, in questo lavoro che, continuando nel solco del paradosso e della provocazione, come cercherà di sviscerare la bellezza della libertà da quello che è nato come un romanzo (ma che può assurgere ad opera filosofica) cercherà alla stessa maniera di rispondere alla domanda di come evitare tutto ciò e costruire una società “migliore” attraverso altre opere che seppur non sono nate in prima istanza come “opere filosofiche”, hanno dentro di sé una ricchezza di pensiero tale da aiutarci a vivere meglio questa nostra vita nel solco di una società libera.
D’altronde, volendo subito cominciare su questa scia, lo dice anche Stefano Rosso nel titolo di una sua celebre canzone “Libertà… e scusate se è poco”.
CAPITOLO 1
GEORGE ORWELL, 1984 E NON SOLO
- GEORGE ORWELL
Feuerbach affermava che “L’uomo è ciò che mangia”, intendendo con questa espressione il fatto che l’identità di una persona parte dal contesto in cui vive. Ancor più, rinforzando l’espressione, “l’uomo è – anche – ciò che non mangia” nel senso che per poter analizzare tale identità abbiamo bisogno di conoscere ciò che è stato e ciò che non è stato, le direzioni prese che hanno forgiato una certa idea al posto di un’altra. È questo, ovviamente, un assunto che sfocia nel relativismo, ma non bisogna approcciarsi a questo termine come qualcosa di negativo, anzi la relatività del pensiero, la ricchezza di idee, la frammentarietà degli spiriti sono una ricchezza che ci permettono di vedere ciascun singolo essere umano non come la massa amorfa utile solamente agli scopi di chi si vuol mettere al di sopra di essa, ma poter apprezzare ogni singolo essere umano nella sua irripetibile unicità e saper quindi dare ad ogni vita la nobiltà e il rispetto che merita. Già solo con questo assunto si è arrivati a dire che la libertà di ogni singolo va preservata perché ogni singolo riveste grande importanza nel contesto storico. Ma non si vuole, in questo caso, arrivare a alla generalizzazione, quanto, invece, usare la sua particolarizzazione nell’analizzare la vita di George Orwell che proprio nelle sue peculiari unicità si celano le prime chiavi di lettura di 1984. Non deve essere, quindi, cosa oziosa quella dell’analisi della vita di un Autore, ma principio primo per l’analisi di qualunque testo dello stesso Autore perché le sue esperienze, “ciò che ha mangiato” e “ciò che non ha mangiato”, hanno prodotto quell’opera.
Partiamo col dire che George Orwell era, ancor prima di uno scrittore, un giornalista. Ed è forse qui la prima chiave di lettura per tutta l’opera orwelliana. Essere giornalista, infatti, richiede di essere “osservatore del mondo”, cercare di comprendere i meccanismi insiti nelle società, usare la penna come arma per denunciare ciò che non va bene e far emergere ciò che produce del bene. E gli anni in cui opera Orwell sono certamente anni “particolari” perché ricadono in quel tumultuoso primo dopoguerra con l’ascesa al potere dei regimi totalitari fino al secondo dopoguerra, col tramonto di alcuni di quei regimi durante la più grande catastrofe dell’umanità che è stata la Seconda Guerra Mondiale. Come non avrebbe potuto, quindi, Orwell non affrontare, da giornalista, il tema del totalitarismo? Per di più, essendo inglese, quindi trovandosi nel campo del “mondo libero”, come non poteva dare a questi stessi regimi dei connotati negativi? Orwell, da inglese e da giornalista, era certamente consapevole che la libertà è la condicio sine quam possa dispiegarsi nel migliore dei modi una vita umana. Come un moderno Tacito ben sapeva che la Cultura, intesa come insieme di tutte le manifestazioni dell’Uomo, ha bisogno di combustibile come una fiamma e quel combustibile è la libertà. Come un moderno Tacito ben sapeva che ogni forma di dittatura cela dietro di sé una decadenza generale della società a partire dall’istruzione e dal conseguente appiattimento delle menti. E sempre come un moderno Tacito ben sapeva che nella dittatura anche gli spiriti più alti vengono ridotti al silenzio e a tutti non resta che sperare di poter un giorno gridare “Finalmente torna il respiro” (Demum Redit Animus).
Orwell fu, quindi, giornalista e inglese e questi due attributi già, per come abbiamo visto, iniziano a spiegare molte cose sulla sua visione del mondo, soprattutto se contestualizzati negli anni ’30 e ’40 del Secolo scorso. Ma manca un ultimo attributo per poter inquadrare al meglio il Nostro Autore: era socialista. Il socialismo è sicuramente sul piano teorico una delle più belle utopie del mondo e della storia. Chi, infatti, non si professa in favore di un sostegno dei bisognosi? Chi non vorrebbe una società più giusta in cui nessuno venisse lasciato indietro? È il piano pratico che, però, ha visto trasformare il socialismo (e comunismo) nelle loro forme più disumane dell’Unione Sovietica di Stalin e di quel Nazional-socialismo (altra deformazione) di Hitler. E anche lo stesso Mussolini ebbe i suoi passati da Socialista. Orwell, ovviamente, non si avvicinava a nessuno dei tre, contrastandoli anzi nelle sue opere. Ancor più: ne “La fattoria degli animali”, che analizzeremo più avanti, è chiaro il connotato socialista che condurrà all’instaurazione della dittatura. Orwell, quindi, resta nel piano teorico, abbracciando quella corrente politica che è il socialismo democratico.
Scrive, infatti:
«Ogni riga di ogni lavoro serio che ho scritto dal 1936 a questa parte è stata scritta, direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo e a favore del socialismo democratico, per come lo vedo io.[1]»
Con questa cornice che abbiamo fatto emergere, non sorprenda quindi che tutta la vita di Orwell, il cui vero nome era Eric Arthur Blair, fu caratterizzata dall’essere ateo, dal partecipare attivamente nel palcoscenico della storia contro tutte le dittature sia imbracciando le armi quando si unì al Partito Operaio di Unificazione Marxista spagnolo quando scoppiò la guerra civile che portò Francisco Franco al potere. Provò ad arruolarsi anche per la Seconda Guerra Mondiale ma fu giudicato inabile e quindi ebbe un ruolo marginale nelle Milizie Territoriali della Home Guard, ruolo che abbandonò subito per dedicarsi pienamente alla scrittura, altra sua arma abbastanza affilata. Anche troppo, considerando il fatto che il già citato capolavoro “La fattoria degli animali” non trovò editore pronto a pubblicarglielo in quanto, essendo palesi i riferimenti alla dittatura staliniana dell’Unione Sovietica, si volle evitare un incidente diplomatico con gli allora alleati degli inglesi (ovviamente a guerra conclusa e con alle porte la cortina di ferro che calava sull’Europa era maturo il tempo della pubblicazione). Morì improvvisamente nel 1950 a 46 anni a causa della rottura di un’arteria polmonare. Non prima, comunque, di aver dato alle stampe nel 1948 quello che è sicuramente il suo capolavoro assoluto, ovvero 1984. Ed ormai si è capito dalla stessa vita di Orwell che una tale opera è la concretizzazione di un sistema di idee sviluppate durante un’intera vita legata ad un determinato contesto. Possiamo, quindi, adesso concentrare la nostra attenzione sulla trama e i contenuti del romanzo per poter effettuare quell’analisi qualitativa che è stata anticipata nell’introduzione.
- 1984: TRAMA E TEMI
1984 è un romanzo scritto nel 1948 (e pubblicato nel 1949). Il titolo, che è dato quindi dall’invertire gli ultimi due numeri della data in cui è stato scritto, rappresenta la data in cui è ambientato il romanzo. Siamo dinnanzi ad un’opera che parla di un futuro neanche tanto remoto da quel 1948. E in questo futuro la Terra è divisa tra tre grande potenze in cui vige un regime totalitario (Oceania, Eurasia e Estasia) e sono in perenne guerra tra di loro. Queste tre potenze nascono a seguito di una guerra nucleare scoppiata negli anni ’50. Siamo, qui, già dinnanzi al primo grande tema storico che ha pervaso la seconda metà del ‘900, ovvero la paura della bomba atomica. Dall’agosto del 1945, infatti, il mondo era letteralmente cambiato in quanto aveva assistito al potenziale distruttivo di una bomba atomica sia ad Hiroshima che a Nagasaki. E nel momento in cui anche l’Unione Sovietica era entrata in possesso di un arsenale nucleare, il mondo, purtroppo giustamente, era rimasto con il fiato sospeso più e più volte, con i culmini che si ebbero negli anni ’50 sulla crisi di Berlino e il successivo ponte aereo e certamente la ben più famosa crisi di Cuba che aveva portato realmente il mondo ad un rischio nucleare. Anche oggi, con la guerra Russo-Ucraina, il tema del nucleare è, purtroppo, tornato alla ribalta. Ma, aldilà di queste digressioni, tornando al romanzo, analizzata l’ambientazione temporale, per quanto riguarda l’ambientazione geografica possiamo dire che ci troviamo in Oceania, precisamente a Londra, all’interno della provincia Pista Uno in cui sono presenti vari ministeri (Ministero della Pace che si occupa della guerra, Ministero dell’Amore che si occupa della sicurezza, Ministero della Verità che si occupa della propaganda, Ministero dell’Abbondanza che si occupa dell’economia). Anche qui è già presente un altro tema da affrontare, ovvero lo svuotamento del significato della parola. Siamo al paradosso radicale del nomina sunt consequentia rerum, in cui lo stravolgimento e il controllo dei cittadini avviene anche attraverso la semantica dei termini, non lasciando alcun dettaglio al caso e quindi imprigionare anche nella semplice parola (che è espressione del pensiero) l’individuo. Questa prigionia è attuata e guidata da un partito unico con a capo il “Big Brother”, il “fratello maggiore”, una sorta di primus inter pares in cui emerge chiara l’ipocrisia della parola “fratello” o “pares”, come anche “compagno”, che rimanda ad un’accezione certamente meno dispotica e di parità. I principi attuati da questo partito unico sono quelli del Socing, ovvero il socialismo inglese. Anche qui, ancora una volta, la Neolingua orwelliana porta al paradosso e allo svuotamento dei termini che dovrebbero richiamare principi nobili trasformati in mera facciata che nascondono il volto del totalitarismo. Abbiamo anche una descrizione fisica di questo Big Brother che è facilmente riconducibile a quella di Stalin o di Hitler, e il partito (che in tutto il romanzo è semplicemente chiamato “il Partito” è radicalmente gerarchizzato lasciando solo a pochissimi eletti l’onore di poter trovarsi in cima a questa piramide. È questo ciò che viene definito il Partito Interno, mentre i burocrati, gli impiegati e i funzionari subalterni fanno parte del Partito Esterno. Il Partito, o meglio i vertici del potere, è presente in ogni aspetto della vita dei cittadini. E ciò viene attuato soprattutto dai teleschermi, ovvero dei televisori che sono forniti di telecamera e che per legge sono posti in ogni abitazione dei membri del Partito con l’unica possibilità, da parte dei membri del Partito Esterno di poter diminuire il volume dell’audio (ma non di spegnerli). E l’audio è comunque importante, perché nel puro cinismo del ripetere mille volte una bugia affinchè diventi verità (frase erroneamente attribuita al Ministro per la Propaganda nazista Goebbels ma che, seppur sembrerebbe mai pronunciata, tutte le azioni del gerarca sono state indirizzate verso quella direzione), da questi teleschermi presenti ovunque vengono diffusi 24 ore su 24 messaggi propagandistici. Siamo, quindi, dinnanzi ad un totalitarismo portato alle estreme conseguenze, in cui il singolo non può e non deve esistere se non in funzione della massa. E al singolo non è neanche permesso avere neanche un minimo di privacy: gli occhi del Partito sono sempre puntati su tutti affinchè il Governo possa spiare qualsiasi forma di comportamento ed intervenire subito dinnanzi alla non osservanza dell’ortodossia imposta ai vari cittadini. E chi non si sottomette a questa ortodossia deve fare i conti con il braccio del Ministero dell’Amore (Minamor) che, andando contro a quello che dovrebbe essere nel nome, interviene con la propria polizia politica, ovvero la Psicopolizia che entra in campo anche dinnanzi ad un semplice sospetto di deviazionismo. Deviazionismo che non deve effettuarsi nemmeno nel vestiario, dato che sia i membri del Partito Interno che i membri del Partito Esterno devono indossare ognuno lo stesso vestito affibbiato, ovvero una divisa, ancor di più annullando qualsivoglia espressione di libertà e massificando il tutto. E chi non fa parte del Partito, ovvero i Prolet, sono lasciati al limite della sussistenza, costretti a lavori gravosi e tenuti a bada non tanto con il controllo diretto ma con il ben più subdolo Panem et circensem.
Come può nascere una simile società? È qui che 1984 diventa un libro filosofico e ci dice quanto sia importante la nostra libertà e quanto sia facile perderla. Certamente il primo strumento è quello della paura. Tutti i regimi totalitari hanno ottenuto il potere e lo hanno consolidato attraverso la paura instillata nella popolazione verso un “diverso”. Erano gli ebrei nella Germania Nazista, sono oggi i migranti per i movimenti populistici. In 1984 ha un nome ben preciso: Emmanuel Goldstein, additato come il capo dei dissidenti, che, non a caso, riflettendo il periodo in cui è stato scritto il romanzo, viene ritratto con lineamenti ebraici e barbetta caprina. E sempre non a caso questi diventa il nemico su cui unire tutta la popolazione nel sentimento dell’odio. È questi, come ai tempi fu additata la massoneria o altre associazioni segrete (a volte mai esistite), colui che mina alla stabilità dello Stato con una qualche imprecisata congiura che farebbe piombare nel caos la società e quindi far perdere a tutti le loro abitudini. Abitudini che rasentano comunque l’appiattimento totale della persona umana anche nei sui sentimenti più primordiali e più nobili quale l’amore, disincentivando qualunque rapporto di coppia in nome di chissà quale moralità di stato che deve, al più, essere finalizzato alla procreazione dei figli che è il “dovere verso il Partito”, svuotando di fatto anche il nucleo fondativo di ogni società, ovvero la famiglia, ridotta solamente ad una macchina procreatrice di bambini che, peraltro, sono sin da subito educati ad osservare i genitori e riferire al governo ogni singola loro azione ritenuta non ortodossa.
E, aldilà del sentimento, anche il libero pensiero diventa oggetto di regolamentazione da parte del Partito, ammettendo solamente il cosiddetto “bipensiero”, una formula vuota in cui dice tutto e niente, svuota ogni concetto e lo massifica, portando all’appiattimento delle menti. Bipensiero che si attua attraverso slogan, ovvero riducendo all’osso anche la lingua e quindi privandola di tutte quelle sfumature che un linguaggio forbito e l’uso della punteggiatura offrono, del tipo “la guerra è pace”, “la libertà è schiavitù”, “l’ignoranza è forza”. E tutti questi slogan, se non sono ripetuti dai teleschermi sono a caratteri cubitali in grandi manifesti di propaganda in cui è ritratto il Grande Fratello e sotto una prima didascalia con “Il Grande Fratello ti guarda”. E dal bipensiero si passa alla già accennata neolingua, una lingua privata di qualsiasi concetto che richiede uno sforzo intellettivo maggiore e quindi la creazione di una coscienza critica. Una lingua semplice, per certi versi elementare, anche questa fortemente normata con un ampio elenco di parole censurate che vanno a comporre il cosiddetto “psicoreato”, eliminando, quindi, anche la possibilità di pensare in maniera individuale soprattutto quegli argomenti “proibiti” che potrebbero minare la stabilità del Partito, mettendo in dubbio il suo operato. Nel termine “psicoreato” troviamo la radicalizzazione del totalitarismo, la distopia stessa di 1984, ovvero la totale perdita della libertà. Ciò, quindi, avviene attraverso la paura, attraverso la propaganda, attraverso la massificazione e attraverso le notizie false che entrano nella “cultura”. Tutte le scienze umanistiche, infatti, vengono modificate e piegate al volere del Partito: i libri, i giornali e i film sono continuamente riscritti affinchè venga di volta in volta eliminato quanto entra in contraddizione con la linea del Partito e faccia, invece, emergere la bontà dell’operato dello stesso. Si passa, ad esempio, dal parlare dall’oggi al domani di uno Stato prima nemico ora amico in base alle sorti della guerra cercando di eliminare ogni riferimento all’inimicizia precedente. Una crisi presentata il giorno prima può essere presentata come un grande trionfo.
Un’altra caratteristica di questa società distopica è rappresentata da un tema che nel recentissimo sta prendendo piede, ovvero sull’impatto che ha l’intelligenza artificiale nella stesura di qualunque tipo di scritto. Nell’Oceania orwelliana, infatti, la scrittura a mano è stata abolita (come anche tenere un diario). Tutta la letteratura è realizzata secondo schemi predefiniti: le poesie, le canzoni e i romanzi vengono confezionati da uno strumento che si chiama versificatore. E pure il protagonista del romanzo Smith, al quale è deputato il ruolo di “correggere” gli scritti che gli vengono passati secondo i canoni del Partito, non può fare queste correzioni manualmente, ma deve avvalersi di uno strumento detto parlascrivi che produce un testo sotto dettatura. La correzione non serve solo ad eliminare ciò che non è conforme al dettato del Partito, ma anche ad aggiornare tutti gli scritti secondo la verità imposta al momento, che può essere ben differente rispetto a quella di un attimo prima. Ed è per ciò che è a tutti richiesto di distruggere tutti i documenti non aggiornati. All’interno di questa distopia si muove il protagonista del romanzo Winston Smith (il nome è un riferimento a Winston Churchill mentre Smith è un cognome molto diffuso in Inghilterra), trentanovenne impiegato del Partito Esterno che fa parte di questo complesso macchinario burocratico su cui si fonda il Partito e fonda la propria “verità”, lavorando presso gli uffici del Ministero della Verità con il compito di “correggere” i libri e gli articoli di giornale pubblicati, facendo modifiche in modo da allineare tutto ai canoni del Partito. Ma il suo compito non si esplica solo sulla cronaca del presente, ma anche sul passato, modificando la storia scritta in modo da far emergere l’infallibilità del Partito stesso e applicare la damnatio memoria verso chi si è opposto ad esso.
La vita di Smith è apparentemente normale (per quanto possa esserlo all’interno di questa distopia), sembrando un cittadino malleabile ma che in realtà mal sopporta, in un impeto di dignità intellettuale, l’imposizione del bipensiero, cominciando, tra le altre cose, a tenere un diario nascosto in cui sfoga i propri sentimenti, soprattutto criticando aspramente il regime. Questo “equilibrio” clandestino si rompe un giorno quando incontra ad una manifestazione d’odio contro Goldstein una giovane ventiseienne di nome Julia che, come lui, si adatta al Partito Esterno solo per convenienza. Inizialmente sospettoso, tanto da provarne subito odio, Smith cambia posizione verso Julia quando riceve un piccolo foglio di carta con scritto “Ti amo” da parte della ragazza. Questo gesto, apparentemente semplice e nobile ai giorni nostri, rappresenta una grande sfida da affrontare per Smith che, titubante all’inizio sul da farsi, cede alla fine all’amore di Julia iniziando con lei una relazione anche a carattere sessuale contravvenendo alla regola del Partito che tali atti devono essere solamente finalizzati alla procreazione.
Ovviamente tutta questa clandestinità ha bisogno di una copertura che viene offerta dal signor Charrington, altro dissidente dal mestiere di antiquario, che procura a loro una stanza situata nei quartieri Prolet e che quindi è meno sorvegliata. Ma lentamente in loro si fa strada un progetto di libertà ancora più ampio e quindi il desiderio di fare un qualcosa per riacquisire la piena libertà perduta. Si uniscono quindi ad una organizzazione clandestina di ribelli detta la Fratellanza alla quale dice di appartenere O’Brien, funzionario del Partito Interno. Questi regala ai due amanti un libro dal titolo “Teoria e prassi del collettivismo oligarchico” che rappresenta il manifesto dell’organizzazione ribelle ed è pieno di elementi critici verso la società dominata dal Partito.
Ma mentre Smith per Julia agli albori del loro incontro prova diffidenza pensando che questa potesse essere membro della psicopolizia sarà costretto a pagare la propria non diffidenza iniziale verso O’Brien che è realmente membro di quella polizia e che subito fa catturare i due amanti e li fa consegnare separatamente in una prigione del Ministero dell’Amore in cui lui personalmente conduce le torture “di rieducazione” verso Smith. Questa tortura è divisa in tre fasi. Le prime due fasi sono sopportate da Smith soprattutto grazie all’amore verso Julia e quindi il desiderio di non volerla tradire, anche a costo del rischio della fucilazione. Ma la terza fase è la più crudele in cui il protagonista viene portato nella stanza 101. Qui gli viene messa una gabbia sul volto in cui vengono messi dei topi. Smith, in preda al terrore più assoluto tradisce Julia e rinnega ogni suo sentimento anti-governativo.
Ha inizio quindi la fase del lavaggio del cervello che avverrà fino al marzo 1985 quando Smith, rilasciato, incontra Julia in un parco ed entrambi ammettono di aver ceduto alla tortura e quindi di essersi traditi l’un l’altro. Il romanzo si chiude qualche tempo dopo con Smith, da solo seduto nel caffè Bar del Castagno, che guarda con ammirazione un manifesto del Grande Fratello dopo aver appreso la notizia della vittoria militare dell’Oceania sugli eserciti euroasiatici in Africa. È chiaro che al lettore viene offerto non un lieto fine ma la consapevolezza che anche il minimo sussulto di libertà di Smith è venuto meno e che alla fine ha vinto il regime totalitario.
Questa trama, che lascia letteralmente l’amaro in bocca per non dire il disgusto verso un siffatto regime, nasce il più grande sentimento di attaccamento alla liberà. A Smith non è concesso neanche l’amore, un sentimento ormai dato quasi per scontato. Non è concesso di pensare dato che questo totalitarismo è proprio “totale” in quanto è riuscito a penetrare anche nel pensiero umano. In ultima analisi a Smith non è concesso di vivere una vita propria ma quella imposta da altri, dovendo piegare tutte le proprie azioni, tutti i propri pensieri al volere di un altro uomo che detiene il potere. Siamo nella distopia più assoluta dove agli esseri umani non è concesso neanche un rifugio mentale, ma sono schiavi nel corpo e nella mente, in ultima parola: già morti.
Alla luce di questa trama, dei temi che abbiamo fatto emergere di volta in volta, la domanda viene spontanea: è questa la fine che vogliamo fare? La risposta dovrebbe essere ovvia e dovrebbe essere un corale no. Ma per poter riempire quel “no” c’è bisogno di una società totalmente agli antipodi di Oceania dove vige la libertà in tutte le sue forme. E per creare una siffatta società c’è bisogno del coinvolgimento di tutti, perché tutti dobbiamo comprendere il valore sommo della libertà che deve essere posto come cardine di ogni società che si rispetti.
- LA FATTORIA DEGLI ANIMALI
Proprio per il desiderio di raggiungere tutti per sensibilizzare al tema di come sia facile cadere nel totalitarismo, Orwell, ancor prima di 1984 scrive una fiaba allegorica dal titolo “La fattoria degli animali”. È una fiaba che può anche essere letta ai bambini (ovviamente non hanno gli strumenti filosofici e una coscienza critica per poterne assaporare i temi ma è un valido inizio per approcciarsi al valore della libertà e a come si può perderla facilmente) ma che ha trovato un’iniziale problema nella pubblicazione in quanto, essendo palesi i riferimenti all’Unione Sovietica, non è stato giudicato opportuno pubblicare l’opera nel momento in cui essa era ancora alleata dell’Inghilterra contro la Germania.
La trama vien qui offerta: in una fattoria nei pressi di Willingdon, in Inghilterra, gli animali si ribellano ai soprusi del loro fattore Mr. Jones sotto consiglio del maiale Vecchio Maggiore e guidati da Palla di Neve e Napoleon. Jones viene cacciato e la fattoria viene rinominata in “La fattoria degli animali” con legge i Sette Comandamenti che sono i seguenti:
- Tutto ciò che va su due gambe è nemico
- Tutto ciò che va su quattro gambe o ha ali è amico
- Nessun animale vestirà abiti
- Nessun animale dormirà in un letto
- Nessun animale berrà alcolici
- Nessun animale ucciderà un altro animale
- Tutti gli animali sono uguali
All’interno di questa nuova società i maiali si ergono alla guida della fattoria con Palla di Neve che insegna agli animali a leggere e a scrivere e Napoleon che educa dei cagnolini. Jones, comunque, riprova a riprendersi la fattoria assieme altri fattori come lui ma, a seguito di una sanguinosa battaglia, gli animali escono di nuovo vittoriosi.
Una sera Palla di Neve annuncia un piano per modernizzare la fattoria costruendo un mulino a vento, ma Napoleon si dichiara contrario e fa assalire il rivale dai cani, attuando un vero e proprio “colpo di stato” e autodichiarandosi comandante supremo della fattoria. Napoleon apporta un cambio governativo ponendo un comitato di maiali a capo di tutto. Inizia anche ad utilizzare lo strumento della propaganda tramite il compagno Clarinetto facendo girare la notizia che Palla di Neve intendeva in realtà aiutare il signor Jones a ritornare a essere il capo della fattoria al contrario di Napoleon che promette una vita più agiata in cambio di un duro lavoro tra cui la costruzione del mulino frutto della sua mente. Rapidamente il regime di Napoleon si fa sempre più brutale con il rafforzamento della polizia/cani di stato e giustiziando molti animali che ammettono di aver aiutato Palla di Neve.
Ovviamente, per evitare di contravvenire ai sette comandamenti, Napoleon fa modificare di nascosto alcuni di essi nel seguente modo:
- Nessun animale dormirà in un letto con lenzuola
- Nessun animale berrà alcolici in eccesso
- Nessun animale ucciderà un altro animale senza motivo
Nel mentre Napoleon si accorda con un fattore vicino, Frederick, che però poi attacca la fattoria riuscendo a demolire il mulino. Seppur gli animali vincono di nuovo anche stavolta vi sono molti morti e feriti tra cui il cavallo Gondrano che viene portato via su un furgoncino che, per propaganda, viene passato come furgoncino con destinazione il veterinario, in realtà il cavallo sarà portato al macello dato che Napoleon lo ha venduto al macellaio e con i soldi ottenuti ha comprato del whisky. Passano gli anni e vengono costruiti nel mentre due mulini che, in teoria dovrebbero ancor di più migliorare la condizione di tutti gli animali ma che in realtà ha sempre più condotto all’arricchimento della compagine dei maiali a sfavore di tutti gli altri che, seppur sono ridotti allo stremo ancor più di quando vi era Jones, sono continuamente bombardati dalla propaganda sul fatto che la situazione fosse peggiore con Jones.
Ma ormai tutto è cambiato per non cambiare nulla: gli ideali rivoluzionari sono completamente polverizzati e ciò si vede già nei Sette Comandamenti sostituiti da uno solo: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri” mentre la massima “Quattro gambe buono, due gambe cattivo” è rimpiazzata da “Quattro gambe buono, due gambe meglio”: i maiali iniziano ad assomigliare agli umani camminando su due zampe, vestendosi vistosamente, dormendo su enormi letti e bevendo whisky. La trasformazione si completa una sera quando Napoleon e gli altri maiali invitano a cena dei fattori locali con cui iniziano a giocare a poker fino a che, per un imbroglio, sia Napoleon che il fattore Pilkington iniziano a litigare e il tutto viene visto dall’esterno dagli altri animali, che non riescono più a distinguere il maiale dall’uomo.
Anche qui i temi sono palesemente legati al totalitarismo e se alla trama aggiungiamo che il movimento rivoluzionario che caccia Jones si chiama Animalismo, è chiaro il riferimento al Comunismo/Animalismo, al Napoleon/Stalin, al Palla di Nece/Trotskij al Jones/zar Romanov e così via. E, ancor più, riferendoci a 1984, all’Animalismo/Socing, al Napoleon/Grande Fratello, al Palla di Neve/Goldstein.
Possiamo dire, quindi, che Orwell ha dedicato tutti i suoi sforzi per farci comprendere il vero volto crudele del totalitarismo, le conseguenze della seduzione dei populismi che ci fanno barattare la nostra libertà e di come esiste un punto di non ritorno oltre il quale il totalitarismo ha vinto. E ne va di noi stessi non superare quel punto.
CAPITOLO 2
UNA SOCIETA’ BASATA SULLA LIBERTA’
2.1 OLTRE ORWELL PER APPREZZARE LA LIBERTA’
Come detto nell’Introduzione, citare Orwell per un’analisi filosofica sulla libertà, per quanto sia pregnante il tema della libertà nel suo corpus letterario, è atipico in quanto la produzione Orwelliana che comprende anche dei saggi è prettamente legata ai due testi sopra analizzati che sono un romanzo e una fiaba, non certo dei trattati filosofici. Sulla stessa scia si decide di utilizzare altre atipicità nell’analizzare come meglio apprezzare la libertà e sul come poter creare una società ideale in cui sia la stessa libertà il principio primo e ultimo a cui sempre tendere. Questa atipicità sarà data in questo capitolo citando altri romanzi, film e canzoni, facendo emergere chiaramente che il concetto di libertà travalica tutto e il bisogno naturale dell’uomo di tendere alla libertà investe tutta la produzione del genio umano.
La distopia di 1984 non è molto lontana dalla distopia di un altro celebre romanzo, ovvero “Fatherland” di Robert Harris pubblicato nel 1992. Si tratta di una storia alternativa (ucronia) in cui il totalitarismo della Germania Nazista esce vincitore dalla Seconda Guerra Mondiale e gli equilibri del mondo sono quindi totalmente stravolti. Hitler non si suicida e anzi è saldamente al potere di un potente Reich Tedesco, in America il Presidente è Joseph Kennedy (padre di Jhon F. Kennedy che storicamente è stato additato di avere un atteggiamento ambiguo col Nazismo) e nel Regno Unito il re è Edoardo VIII, anch’egli storicamente dal passato con qualche ombra di filonazismo. In questo mondo emerge chiaro come la propaganda fa assurgere all’universalità il fatto che la storia è scritta dai vincitori, non essendo infatti mai venuta a galla le efferatezze dei campi di sterminio e quindi in questa società distopica si continua tranquillamente a sterminare gli ebrei, vige la polizia politica della Gestapo, Goebbels continua la sua opera di propaganda e l’eventuale dissidenza del protagonista Xavier March che intende indagare sull’esistenza di questi campi di concentramento e sterminio dopo alcuni sospetti, viene messa a tacere ricorrendo anche alla tortura.
Fu Charlie Chaplin, comunque, a universalizzare la genesi e il vero volto del totalitarismo. Nel suo celebre film “Il Grande Dittatore”, come scrive Anna Fiaccarini nell’Enciclopedia del cinema:
«Chaplin aveva colto perfettamente gli stereotipi della rappresentazione del potere […]; evidente appare anche lo studio dei filmati di propaganda, l’analisi attenta delle pose e della tecnica oratoria di Hitler. […] La parodia s’innesca grazie all’irrigidimento del flusso vivo del discorso, e il linguaggio devia verso la sua struttura più schematica e esteriore: le espressioni comiche nascono inserendo suoni familiari senza senso nella rigida struttura di un’enunciazione pubblica. Chaplin riesce così a trasmettere in modo inimitabile la demagogia e l’isteria dei discorsi.
Non basta però la parodia a esorcizzare l’incubo del nazismo: Chaplin, nella sequenza finale […] pronuncia con ardore parole di denuncia e di lotta ai soprusi. Il passaggio brusco da un registro all’altro lascia interdetti i critici e gli spettatori, ma la forza del discorso è proprio in questo strappo.»[2]
Ed è nello stesso discorso finale del film che Chaplin fa emergere il volto tragico del totalitarismo e di come superarlo:
«Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore. Non voglio né governare né comandare nessuno. Vorrei aiutare tutti: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo unirci, aiutarci sempre, dovremmo godere della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca e sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, fatto precipitare il mondo nell’odio, condotti a passo d’oca verso le cose più abiette.
Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchine ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è vuota e violenta e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno avvicinato la gente, la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell’uomo, reclama la fratellanza universale. L’unione dell’umanità. Persino ora la mia voce raggiunge milioni di persone.
Milioni di uomini, donne, bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di segregare, umiliare e torturare gente innocente. A coloro che ci odiano io dico: non disperate! Perché l’avidità che ci comanda è soltanto un male passeggero, come la pochezza di uomini che temono le meraviglie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. Il potere che hanno tolto al popolo, al popolo tornerà. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi comandano e che vi disprezzano, che vi limitano, uomini che vi dicono cosa dire, cosa fare, cosa pensare e come vivere! Che vi irregimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie! Voi vi consegnate a questa gente senza un’anima! Uomini macchine con macchine al posto del cervello e del cuore.
Ma voi non siete macchine! Voi non siete bestie! Siete uomini! Voi portate l’amore dell’umanità nel cuore. Voi non odiate. Coloro che odiano sono solo quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati, non difendete la schiavitù, ma la libertà! Ricordate che nel Vangelo di Luca è scritto: «Il Regno di Dio è nel cuore dell’Uomo».
Non di un solo uomo, ma nel cuore di tutti gli uomini. Voi, il popolo, avete la forza di creare le macchine, il progresso e la felicità. Voi, il popolo, avete la forza di fare si che la vita sia bella e libera.
Voi che potete fare di questa vita una splendida avventura. Soldati, in nome della democrazia, uniamo queste forze. Uniamoci tutti! Combattiamo tutti per un mondo nuovo, che dia a tutti un lavoro, ai giovani la speranza, ai vecchi la serenità ed alle donne la sicurezza. Promettendovi queste cose degli uomini sono andati al potere. Mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. E non ne daranno conto a nessuno. Forse i dittatori sono liberi perché rendono schiavo il popolo.
Combattiamo per mantenere quelle promesse. Per abbattere i confini e le barriere. Combattiamo per eliminare l’avidità e l’odio. Un mondo ragionevole in cui la scienza ed il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati! Nel nome della democrazia siate tutti uniti!»
Sarà anche Bennato a mostrare il volto crudele del totalitarismo. Anzi, ancor più, Bennato in più canzoni non solo affronta il tema del valore della libertà, ma addirittura, fa emergere chiaro come è facile perderla, far conoscere agli altri “il prezzo” della nostra libertà. Nella canzone “Venderò” Bennato dà una feroce denuncia alla dittatura del mercato. La logica di mercato, che per certi versi è anche alla base della libertà, paradossalmente può divenire causa di perdita di essa quando si radicalizza nel voler dare un prezzo anche alla dignità umana. Anche il mercato non è esente dal totalitarismo dettato dal fanatismo di dire “ogni cosa ha il suo prezzo”[3]. Ed è lì che forte bisogna dire come dice il cantautore “mai nessuno saprà quanto costa la mia libertà”. Ma il “mercato” diventa “mercanteggiare”, ovvero vendere la propria libertà per un bisogno vero o presunto. D’altronde i totalitarismi sono nati facendo leva sulla scontentezza della gente pronta a vendere la libertà in cambio di più sicurezza nei confronti di qualche presunto nemico o per altri contesti. In “Dopo il Liceo che potevo far”, il protagonista della canzone, deluso dei propri insuccessi universitari spinto anche dall’ipocrisia sociale che rifiuta il limite e vuole tutti “uomini-macchina” come dice Chaplin eccellenti, entra nel tunnel del bisogno che viene soddisfatto da un’altra persona in maniera tale da soggiogare il protagonista della canzone. Un bisogno che viene acuito dal nemico (in questo caso Peter Pan) costruito ad arte dal Leader. La canzone termina con la trasformazione perfetta della persona, ormai tutta votata al populismo, ciecamente fedele al Leader e pendente dalle sue labbra solo per le promesse che ubriacano come il vino. Ecco un nuovo adepto del populismo illiberale.
«E non m’importa dov’è il potere
Finche continua a darmi da bere
Non lo tradisco e fino all’inferno
Lo seguirò, non lo tradisco e fino
All’inferno lo seguirò
Non lo tradisco e fino all’inferno lo seguirò»[4]
Il darmi da bere sono il contentino, le promesse con cui i populisti ubriacano la popolazione. Ma sono promesse vacue, anzi “Sono solo canzonette”, ma chi cade nella trappola deve ormai rendere conto al Leader. Proprio in questa canzone viene detto:
« Gli impresari di partito
Mi hanno fatto un altro invito
E hanno detto che finisce male
Se non vado pure io
Al raduno generale
Della grande festa nazionale
Hanno detto che non posso
Rifiutarmi proprio adesso
Che anche a loro devo il mio successo
Che son pazzo ed incosciente
Sono un irriconoscente
Un sovversivo, un mezzo criminale»[5]
Ma la canzone della produzione di Bennato che più di tutte può essere un chiaro riferimento anche a 1984 di Orwell è certamente “In Fila per tre”, dove emerge chiaro, sin dalle prime strofe, la massificazione della società che deve stare in fila per tre:
« Presto vieni qui, ma su non fare così
Ma non li vedi quanti altri bambini?
Che sono tutti come te
Che stanno in fila per tre
Che sono bravi e che non piangono mai
E’ il primo giorno però domani ti abituerai
E ti sembrerà una cosa normale
Fare la fila per tre, risponder sempre di sì
E comportarti da persona civile
Ehi!»[6]
Un lavaggio del cervello totale in cui il regime, come in 1984, detta legge anche nella morale e crea disparità tra le persone in favore del Leader:
« Vi insegnerò la morale e a recitar le preghiere
E ad amar la patria e la bandiera
Noi siamo un popolo di eroi e di grandi inventori
E discendiamo dagli antichi romani
E questa stufa che c’è basta appena per me
Perciò smettetela di protestare
E non fate rumore quando arriva il direttore
Tutti in piedi e battete le mani
Ehi!»[7]
E si è pronti anche a creare una vera e propria polizia pronta a difendere il regime perché l’ideologia, arroccata nella storia, come in 1984 porta la vittima a credere di vivere in una società governata da un Leader sempre dalla parte giusta:
«Sei già abbastanza grande
Sei già abbastanza forte
Ora farò di te un vero uomo
Ti insegnerò a sparare, ti insegnerò l’onore
Ti insegnerò ad ammazzare i cattivi
E sempre in fila per tre marciate tutti con me
E ricordatevi i libri di storia
Noi siamo i buoni perciò abbiamo sempre ragione
E andiamo dritti verso la gloria
Ehi!»[8]
Per poi, infine, mostrare il vero volto del regime totalitario. Un volto cinico e spietato in cui l’individuo è solo parte di un ingranaggio che deve cooperare senza alcuna possibilità di esprimersi liberamente. Ogni critica è rifiutata e rimandata al mittente che, se non si adatta al volere del regime, deve andarsene:
« Ora sei un uomo e devi cooperare
Mettiti in fila senza protestare
E se fai il bravo ti faremo avere
Un posto fisso e la promozione
E poi ricordati che devi conservare
L’integrità del nucleo famigliare
Firma il contratto, non farti pregare
Se vuoi far parte delle persone serie
Ehi! Ehi! Ehi!
Ora che sei padrone delle tue azioni
Ora che sai prendere le decisioni
Ora che sei in grado di fare le tue scelte
Ed hai davanti a te tutte le strade aperte
Prendi la strada giusta e non sgarrare
Se no poi te ne facciamo pentire
Mettiti in fila e non ti allarmare
Perché ognuno avrà la sua giusta razione
Ehi! Ehi! Ehi!
A qualche cosa devi pur rinunciare
In cambio di tutta la libertà che ti abbiamo fatto avere
Perciò adesso non recriminare
Mettiti in fila e torna a lavorare
E se proprio non trovi niente da fare
Non fare la vittima se ti devi sacrificare
Perché in nome del progresso della nazione
In fondo in fondo puoi sempre emigrare
Ehi! Ehi!
Ah! Avanti Ehi!
Avanti in fila per tre
Ehi! Avanti, avanti in fila per tre
Ehi! Avanti, in fila per tre
Ehi! Ehi! Avanti in fila per tre»[9]
Ma in tutta questa carrellata non possiamo, infine, non citare Lucio Dalla. In una sua famosissima canzone, Come è profondo il mare, traccia tutta la genesi e il pericolo del totalitarismo.
Una genesi che, come detto, nasce da un bisogno, da un nemico, dalla perdita di un passato “glorioso”:
« E’ inutile
Non c’è più lavoro
Non c’è più decoro
Dio o chi per lui
Sta cercando di dividerci
Di farci del male
Di farci annegare
Com’è profondo il mare
Com’è profondo il mare»[10]
Queste lamentele che fanno sempre più emergere persone che riescono a prendere il potere promettendo la qualunque, anche ciò che è impossibile:
«Con la forza di un ricatto
L’uomo diventò qualcuno
Resuscitò anche i morti
Spalancò prigioni
Bloccò sei treni
Con relativi vagoni
Innalzò per un attimo il povero
Ad un ruolo difficile da mantenere
Poi lo lasciò cadere
A piangere e a urlare
Solo in mezzo al mare
Com’è profondo il mare»[11]
E da lì comincia ad emergere volto del totalitarismo che porta le più grandi brutture della storia:
«Ma la terra
Gli fu portata via
Compresa quella rimasta addosso
Fu scaraventato
In un palazzo,in un fosso
Non ricordo bene
Poi una storia di catene
Bastonate
E chirurgia sperimentale
Com’è profondo il mare
Com’è profondo il mare»[12]
Ma la soluzione a tutto ciò (che verrà approfondito nel prossimo paragrafo) risiede nell’arma più potente che possediamo, ovvero il libero pensiero. Può il tiranno ridurci al silenzio, ma finchè ci sarà il libero pensiero non siamo ancora arrivati a quel punto di non ritorno:
« E’ chiaro
Che il pensiero dà fastidio
Anche se chi pensa
E’ muto come un pesce
Anzi un pesce
E come pesce è difficile da bloccare
Perchè lo protegge il mare
Com’è profondo il mare
Certo
Chi comanda
Non è disposto a fare distinzioni poetiche
Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare
Non lo puoi recintare
Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare»[13]
2.2 COSTRUIRE UNA SOCIETA’ FONDATA SULLA LIBERTA’
Abbiamo voluto chiudere il paragrafo precedente con la canzone di Lucio Dalla perché alla fine lì troviamo l’arma per creare una società veramente libera e che annovera la libertà come bene sommo. Quest’arma è il libero pensiero. Non a caso, infatti, in 1984 il pensiero viene imposto, la lingua viene svuotata del suo significato ed è vietata qualsiasi manifestazione del genio umano che può condurre a sviluppare una coscienza critica che mostra il volto tragico e misero del totalitarismo. Una cosa molto simile si trova nel romanzo di Ray Bradbury Fahrenheit 451, in cui, come in 1984, viene presentata una società distopica. Il libero pensiero, rappresentato dai libri, è da eliminare. Il protagonista della storia si chiama Montag e presta il proprio servizio ne “la milizia del fuoco”, dando fuoco alle case di coloro che hanno violato la legge detenendo di nascosto i libri. Montag, come Smith, ha un’evoluzione che lo porta a scontrarsi con il regime imposto chiedendosi cosa contengano i libri e perché le persone rischino per leggerli e per difenderli. Ciò nasce non con l’incontro con una ragazza come in 1984 ma con un’anziana donna che preferisce bruciare nella sua casa anziché abbandonare i libri. Montag, quindi, salva alcuni libri che comincia a leggere di nascosto insospettendo i suoi superiori e Mildred, la moglie fruitrice compulsiva di tv e radio e completamente anaffettiva nei confronti del marito, che denuncia la presenza di libri in casa (proprio come in 1984 i familiari si denunciavano l’un l’altro alla psicopolizia in caso di eventi sospetti). Arriva, quindi, la milizia pronta a bruciare la casa e arrestare Montag che riesce a fuggire, ma viene inseguito dal “Segugio meccanico”, una terribile macchina apparentemente infallibile che si occupa di cacciare i delinquenti. Nella fuga il protagonista entra in contatto con un gruppo di uomini fuggiti dalla società e che custodiscono il patrimonio letterario dell’umanità tramandando a memoria i libri, per non infrangere la legge. Anche qui vi è la propaganda, dato che la televisione comunica la falsa notizia della morte di Montag, ormai dipinto come il nemico da abbattere. Ma il vero nemico è la guerra nucleare con un ordigno nucleare che viene sganciato sulla città e Montag, coi suoi nuovi compagni, si avvia, alla fine del romanzo verso di essa per prestare soccorso ai sopravvissuti sperando di poter ricostruire una società diversa da quella in cui ha vissuto.
Questo finale, a differenza di 1984, è aperto. E da questo finale possiamo muoverci per analizzare come dovrebbe essere una società libera e come può difendere la propria libertà.
Tutto ruota sul libero pensiero. È la scuola la palestra di vita su cui dover formare il pensiero. Ma accanto alla scuola anche la famiglia e la società devono contribuire a fondare il cittadino attivo del futuro. Un cittadino attivo, proprio come diceva Gaber. Infatti, abbiamo parlato di libertà, ma che cos’è la libertà? In una delle sue più celebri canzoni, Gaber canta:
« La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.»[14]
Libertà è quindi non solo un diritto ma un dovere da esercitare. La libertà va, quindi, guadagnata giorno per giorno, attraverso il sempre esame critico di tutto ciò che avviene attorno a noi. Un esame critico che deve avvenire senza preconcetti ideologici perché un altro nemico della libertà è l’ideologia portata alle estreme conseguenze. Sempre Gaber, in un’altra sua canzone, dice:
« L’ideologia, l’ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia
è la passione, l’ossessione
della tua diversità
che al momento dove è andata non si sa
dove non si sa, dove non si sa.»[15]
L’ideologia non deve essere, quindi, una cosa da esplicarsi in slogan (la canzone è “Destra e Sinistra” dove tutto viene ideologicamente diviso) ma deve essere un’idea di società più ampia e più nobile. L’idea nasce da un confronto critico e non da slogan e quindi, ancora una volta, torniamo alla palestra del libero pensiero. Perché se non alleniamo il pensiero ci ritroviamo ad essere pigri, e chi è pigro si adagia alla massa, rendendosi suscettibile alla furbizia di chi vorrebbe instaurare un regime totalitario. Il libero pensiero, quindi, diventa oppositore del conformismo a cui, anche qui, Gaber dedica una canzone che qui riportiamo nella sua interezza:
« Io sono un uomo nuovo
Talmente nuovo che è da tempo
Che non sono neanche più fascista
Sono sensibile e altruista orientalista
Ed in passato sono stato un po’ sessantottista
Da un po’ di tempo ambientalista
Qualche anno fa nell’euforia mi son sentito
Come un po’ tutti socialista
Io sono un uomo nuovo
Per carità lo dico in senso letterale
Sono progressista
Al tempo stesso liberista antirazzista
E sono molto buono sono animalista
Non sono più assistenzialista
Ultimamente sono un po’ controcorrente
Son federalista
Il conformista
È uno che di solito sta sempre dalla parte giusta
Il conformista
Ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa
È un concentrato di opinioni
Che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani
E quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire
Forse da buon opportunista
Si adegua senza farci caso
E vive nel suo paradiso
Il conformista
È un uomo che volteggia a tutto tondo che si muove
Senza consistenza il conformista
S’allena a scivolare dentro il mare della maggioranza
È un animale assai comune
Che vive di parole da conversazione
Di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori
Il giorno esplode la sua festa
Che è stare in pace con il mondo
E farsi largo galleggiando il conformista
Il conformista
Io sono un uomo nuovo
E con le donne c’ho un rapporto straordinario
Sono femminista
Son disponibile e ottimista europeista
Non alzo mai la voce sono pacifista
Ero marxista-leninista
E dopo un po’ non so perché mi son trovato
Cattocomunista
Il conformista
Non ha capito bene che rimbalza meglio di un pallone il conformista
Areostato evoluto che è gonfiato dall’informazione
È il risultato di una specie
Che vola sempre a bassa quota in superficie
Poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato
Vive e questo già gli basta
E devo dire che oramai
Somiglia molto a tutti noi il conformista
Il conformista
Io sono un uomo nuovo
Talmente nuovo che si vede a prima vista
Sono il nuovo conformista.»[16]
Certamente questa Nostra è un’idea utopica, apparentemente impossibile da realizzare dinnanzi ai dati che ci pervengono oggi. Dati che ci mostrano una scuola sempre più produttrice di analfabeti funzionali. Una scuola ridotta ad un ufficio burocratico e ben lontana da una palestra di vita. Dati che ci mostrano una cittadinanza sempre più poco attenta alla politica, con impressionanti vette di astensionismo e, nel voto, il sempre più affermarsi di forze populiste. Dati, infine, che ci mostrano una certa anafettività della stessa nostra natura umana. Siamo ormai votati a diventare macchine senza pensare che dentro queste pseudo macchine batte un cuore e lavora un cervello. Siamo, quindi, un misto di emozioni e razionalità. Ed è per questo che ora più che mai abbiamo bisogno di una società libera e votata alla libertà. Altrimenti saremo solo ingranaggi amorfi e ci lasceremo scorrere la vita senza averne mai vissuto un attimo.
Queste, sicuramente, sono parole scritte in uno slancio di idealità quasi aggrappandosi all’utopia, ma almeno sappiamo che qualunque battaglia per la libertà è una battaglia giusta perché ne va di noi stessi per non fare la fine di Winston Smith.
E, come diceva Guccini, anche nonostante tutti i nostri limiti, questa battaglia va fatta, questa attenzione va posta.
«Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
Perché il Male ed il Potere hanno un aspetto così tetro?
Dovrei anche rinunciare ad un po’ di dignità,
Farmi umile e accettare che sia questa la realtà?
Il Potere è l’immondizia della storia degli umani
E anche se siamo soltanto due romantici rottami,
Sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte:
Siamo i “Grandi della Mancha”,
Sancho Panza… e Don Chisciotte!»[17]
CONCLUSIONE
Tornando al patrimonio musicale italiano e richiamandoci alla speranza del paragrafo precedente, non possiamo non citare Franco Battiato quanto canta che “Il mio maestro mi insegnò come è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”[18]. Questo verso probabilmente fa eco alle teorie di Gurdjieff nel trovare una nuova vita superiore (l’alba) che superi la morte (l’imbrunire) attraverso un faticoso percorso di ricerca della verità che porti a una nuova consapevolezza e ad un livello di vita superiore. Nel nostro presente la morte è caratterizzata dalla tragicità dell’esempio, ancora una volta, dato dai regimi illiberali. Abbiamo una guerra alle porte dell’Europa condotta dalla Russia guidata da Putin che più volte ha osteggiato il liberalismo come modello. Una indiscussa potenza economica mondiale è la Cina e di questo Stato non può certamente dirsi di essere un modello di libertà. In questo contesto geopolitico, che si riflette anche nel nostro micro-cosmo con tanti piccoli regimi illiberali che si possono trovare anche nel nostro posto di lavoro, diventa certamente difficile riuscire a trovare l’alba dentro l’imbrunire. Ma, ancora una volta non dobbiamo disperare. È vero che il romanzo 1984 di George Orwell non ha un lieto, ma è anche vero che noi non siamo ancora cittadini di Oceania. Si può, quindi, ancora invertire la rotta.
La miglior conclusione, con l’augurio per tutti noi di riappropriarci di noi stessi e della nostra libertà (da ciò poi discenderà naturalmente la creazione di uno Stato fondato sulla libertà) si trova ancora una volta in una canzone. È Roberto Vecchioni a chiudere questo nostro lavoro con il più bell’augurio che si possa fare ai ragazzi e non solo che sognano la libertà.
Non dobbiamo massificarci nonostante la maggioranza amorfa vada da altre parti e ci faccia credere sbagliati:
«E ti diranno parole rosse come il sangue
Nere come la notte
Ma non è vero, ragazzo
Che la ragione sta sempre col più forte
Io conosco poeti
Che spostano i fiumi con il pensiero
E naviganti infiniti
Che sanno parlare con il cielo
Chiudi gli occhi, ragazzo
E credi solo a quel che vedi dentro
Stringi i pugni, ragazzo
Non lasciargliela vinta neanche un momento
Copri l’amore, ragazzo
Ma non nasconderlo sotto il mantello
A volte passa qualcuno
A volte c’è qualcuno che deve vederlo»[19]
E quando la massa si rivolterà contro di noi, gli assalti saranno fortissimi, la voglia di cedere è tanta e quindi siamo pronti a svendere la nostra libertà ricordiamo sempre:
«Lasciali dire che al mondo
Quelli come te perderanno sempre
Perchè hai già vinto, lo giuro
E non ti possono fare più niente»[20]
Ricordandoci sempre che la cosa più importante non è la fugacità della compagnia della massa amorfa, ma della nostra libertà e dignità personale:
«Nessun regno è più grande
Di questa piccola cosa che è la vita
E la vita è così forte
Che attraversa i muri per farsi vedere
La vita è così vera
Che sembra impossibile doverla lasciare
La vita è così grande
Che quando sarai sul punto di morire
Pianterai un ulivo
Convinto ancora di vederlo fiorire»[21]
Ed è in quel momento, presi dalla forza di questa consapevolezza, al posto di Smith, noi abbiamo una pagina aperta della nostra vita pronta ad essere scritta solo da noi grazie all’unicità del nostro libero pensiero:
«Sogna, ragazzo, sogna
Ti ho lasciato un foglio
Sulla scrivania
Manca solo un verso
A quella poesia
Puoi finirla tu»[22]
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Bibliografia
- Andrea Pedrinelli (a cura di), Il signor G. Canzoni, video, letture per conoscere Giorgio Gaber, Milano, Ergon, 2005.
- Anna Fiaccarini, Il grande dittatore, in Enciclopedia del cinema, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2004.
- Augusto Camera – Renato Fabietti, Elementi di Storia. XX secolo, Zanichelli, Bologna 1999.
- Domenico Massaro, La Comunicazione Filosofica, vol. 3, il pensiero contemporaneo, Paravia, Torino 2009.
- Emanuele Severino (a cura di), Storia del Pensiero Occidentale, 16 voll., Mondadori, Milano 2020.
- Emilio Cecchi, “1984” di George Orwell, in scrittori inglesi e americani, vol. II, Milano 1964.
- Fabio Zuffanti, Franco Battiato. Tutti i dischi e tutte le canzoni, dal 1965 al 2019, Roma, Arcana, 2020
- Francesco Donadio, Edoardo Bennato: venderò la mia rabbia, Arcana, Roma 2011
- George Orwell, “Why I Write” (1946) in The Collected Essays, Journalism and Letters of George Orwell Volume 1 – An Age Like This 1920–1940 p.23 (Penguin).
- George Orwell, 1984, Milano, A. Mondadori, 1950.
- George Orwell, La fattoria degli animali, Milano, A. Mondadori, 1947.
- Luigi Gagliano, Percorsi di storia 1789-1989 alle radici del presente, Bonfirraro, Barrafranca 2012.
- Paolo Jachia, Francesco Guccini. 40 anni di storie, romanzi, canzoni, Roma, Editori Riuniti, 2002.
- Paolo Jachia, La canzone d’autore italiana 1958-1997, 1998
- Paolo Jachia, Roberto Vecchioni, da San Siro all’Infinito. Cinquant’anni di album e canzoni (1968-2018), Milano, Ancora 2019.
- Ray Bradbury, Fahrenheit 451, traduzione di Giorgio Monicelli, collana Oscar Mondadori, Arnoldo Mondadori Editore, 1999.
- Robert Harris, Fatherland, traduzione di Roberta Rambelli, Club degli editori, 1993
- Salvatore Rosati, Orwell, George, in Dizionario Letterario Bompiani. Autori, III, Milano, Bompiani, 1957, pp. 30-31.
- Umberto Piancatelli, Lucio Dalla – La storia dietro ogni canzone, Barbera Editore, 2013
Sitografia
- https: //www.ilcinemaritrovato.it.
- https://it.wikipedia.org/
- https://www.frasicelebri.it/
- https: //www.musicalstore.it/wordpress/
- https: //www.rockol.it/
- https://www.skuolasprint.it/
- https://www.treccani.it/
[1] Orwell G., “Why I Write” (1946) in The Collected Essays, Journalism and Letters of George Orwell Volume 1 – An Age Like This 1920–1940 p.23 (Penguin).
[2] Anna Fiaccarini, Il grande dittatore, in Enciclopedia del cinema, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2004
[3] La canzone a cui si fa riferimento è “Venderò”.
[4] La canzone da cui è tratto il testo è “Dopo il liceo che potevo far…”
[5] La canzone da cui è tratto il testo è “Sono solo canzonette”.
[6] La canzone da cui è tratto il testo è “In fila per tre”.
[7] ibidem
[8] ibidem
[9] ibidem
[10] La canzone da cui è tratto il testo è “Come è profondo il mare”.
[11] ibidem
[12] ibidem
[13] ibidem
[14] La canzone da cui è tratto il testo è “La libertà”.
[15] La canzone da cui è tratto il testo è “Destra e Sinistra”.
[16] La canzone da cui è tratto il testo è “Il conformista”.
[17] La canzone da cui è tratto il testo è “Don Chisciotte”.
[18] La canzone a cui si fa riferimento è “Prospettiva Nevski”.
[19] La canzone da cui è tratto il testo è “Sogna, ragazzo, sogna”.
[20] idem
[21] idem
[22] idem
Alain Calò, nato a Nicosia, laureato in ingegneria industriale, attualmente studia Ingegneria Spaziale presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Ha collaborato alla stesura del testo “La guerra tra noi” presentato al pubblico nel gennaio 2014. Sempre nel 2014 ha pubblicato il romanzo “Pericolo scolastico fisso – ‘Tritato’ di filosofia politica”. Nel 2016 esordisce nel mondo del teatro firmando il dramma “La cura del Padre della Misericordia”, opera dalla quale nello stesso anno nasce l’omonimo film mediometraggio in cui rivesto il ruolo di sceneggiatore e regista. Nel 2018 fonda il concorso artistico letterario “Impavidarte – la biennale della cultura” (dopo una prima edizione con altro nome nel biennio 2016-2017) che ha ricevuto riscontro sia a livello Nazionale che Internazionale. Del Concorso ha anche curato la pubblicazione dell’Antologia delle opere inedite finaliste. Riveste il ruolo di Presidente dell’Associazione “Impavidarte” la quale promuove eventi culturali quali rassegne letterarie, convegni, mostre.
Nel 2021 vince il primo premio della Scuola di Liberalismo di Roma con un elaborato sulle fake news che successivamente sarà pubblicato da Armando Siciliano Editore con il titolo “Fake News – pericoli e opportunità per la nostra libertà”. Sempre nello stesso anno vince una delle porse di Studio messa in palio dalla Scuola di Liberalismo di Messina. Con questo elaborato viene insignito nel febbraio 2023 dalla Scuola di Liberalismo di Messina di una borsa di studio in onore di Gaetano Martino e stanziata dalla Fondazione Luigi Einaudi.